Un disagio insormontabile

Gentili medici,
Sono un uomo anziano (48 anni) che convive da quasi venticinque con un severo disagio psichico la cui definizione clinica complessiva rientra nell’ansia, nella depressione e nei disturbi ossessivo compulsivi
In qusto lungo periodo di sofferenza che potrà risolversi solo con il mio decesso hanno contribuito ad attutire i sintomi più eclatanti i farmaci e la psicoterapia (prima psicoanalitica e poi cognitivo comportamentale).

Mi sono oramai abituato ad accettare la condizione di malato mentale che fa di me un umano dimidiato, ma non sono egualmente rassegnato ad abbandonarmi al quotidiano senso di smarrimento, di vacuità e di non senso che invade la mia esistenza.
L’età ragguardevole, la cultura minima, la mia cronica inconcludenza nello studio e nel lavoro, la mia solitudine affettiva (relazioni labili e superficiali, vissute solo sul piano mentale dell’idealizzazione accanto ad episodi di eros squallido ed elementare) contribuiscono a descrivere la mia persona come abietta e indegna di vivere.

Per tempo ho trovato conforto nel credere, ma ultimamente tendo a considerare come autosuggestione anche questa esperienza di Altro.

Vivere è terribile -penso- eppure ho paura della morte e neppure ho il coraggio testardo -che spero di trovare- di suicidarmi.

Perdonatemi questo messaggio: temo che non possa riguardare le risposte della medicina e della psicologia.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> ma non sono egualmente rassegnato ad abbandonarmi al quotidiano senso di smarrimento, di vacuità e di non senso che invade la mia esistenza

Questo potrebbe essere un aspetto del disturbo ossessivo di cui dice di soffrire.

Le domande esistenziali, e la non rassegnazione ad abbandonare i tentativi di dar loro risposta, in presenza di un quadro ansioso, sono spesso da attribuire all'ossessività.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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dopo
Utente
Utente
Gentile Dottore,
anzitutto la ringrazio per la risposta, mi permetto, se posso una digressione: sul fatto che nel mio interrogarmi concorra un fattore ossessivo sono èiù che d'accordo, sul fatto che il pormi certe domande sia integralmente attribuibile ad una struttura del pensiero informata dalla malattia mentale sono più perplesso.

Vede, nel mio scarno orizzonte di senso, le due sole forme di vita degne di essere vissute sono la vita speculativa e la vita religiosa.

Se smarrisco queste prospettive, crollo
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Si può diventare dipendenti da molte cose. Spesso da cose che ci danneggiano.

Lei può essere arrivato, nel tempo, a identificarsi come una persona "speculativa". Ma potrebbe molto più semplicemente essere una persona che non limita la propria ossessività. Che magari rifugge le esperienze dirette per rifugiarsi appunto nella speculazione perché una sensibilità troppo alta le impedisce di apprezzare i feedback negativi che inevitabilmente si ricevono, quando ci si confronta con i fatti.

Nel mondo della speculazione, tutto è possibile e potenzialmente bello e perfetto.

Speculare significa immaginare le cose come ci piacerebbe che fossero.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
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dopo
Utente
Utente
se posso, ancora, indubbiamente non nego il dato ossessivo - che lei sottolinea giustamente- ma desideravo spiegarmi meglio circa il mio riferimento alla vita speculativa.

Quando parlo di vita speculativa, non intendo il rifugio nel fantasticare - cosa che ritengo comunque nobilissima- quanto una complessiva attitudine a quella espressioni del vivere che si esprimono nello studio, nella riflessione teoretica e nell'attività artistica.

Le faccio un esempio concreto: i miei disturbi psicopatologici iniziano a manifestarsi con chiarezza dopo il liceo, quando sono, in qualche modo, costretto dall'obbedienza alla volonta' familiare, a frequentare giurisprudenza e non filosofia (le ho poi concluse entrambe, la seconda ovviamente mentre già lavoravo)

Ecco, molto banalmente, è stato un periodo di sofferenza perché mi sentivo costretto a dedicare del tempo ad uno studio poco o niente appagante.

Con questo voglio significare in modo elementare che il pensiero (inteso come lettura, studio, scrittura) è per me, insieme alla dimensione religiosa, qualcosa di irrinunciabile.