L'intelligenza umana dipende dalla asimmetria del cervello

Un recente studio (vedi riferimento in calce) ha dimostrato che il cervello umano ha livelli molto più elevati di asimmetria del cervello degli scimpanzè. Una differenza che potrebbe essere alla base delle diversità cognitive tra l’uomo e i primati e della superiorità intellettiva umana.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori della George Washington University ed è stata descritta su un articolo pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B. È noto che il cervello umano sia asimmetrico strutturalmente e funzionalmente, ma sinora l’asimmetria non era stata considerata in relazione a forma e funzioni cerebrali dei primati.

Ricorrendo alle risonanze magnetiche in vivo, la ricerca ha misurato i livelli di asimmetria del cervello di 72 scimpanzè dai 6 ai 50 anni d’età e di 73 esseri umani dai 18 ai 60. Gli studiosi hanno scoperto che il cervello umano mostra livelli molto più elevati di asimmetria rispetto a quello degli scimpanzè (Pan troglodytes). Caratteristiche che evidenziano la maggiore plasticità del cervello umano, tratto evolutivo fondamentale per lo sviluppo delle superiori abilità cognitive dell’uomo

 

Ritengo questo studio una ulteriore tappa fondamentale per comprendere e rispondere ai molti interrogativi che la fisiopatologia dell’encefalo lascia ancora inesplorati.

La fisiologia e l’anatomia hanno sempre negato un rapporto diretto tra peso e volume cerebrale e intelligenza o tra essi e la genialità o per alcune doti come quelle matematiche o per la musica o le arti.

Se non sbaglio il cervello di Dante pesava poco più di 1200 gr, mentre quello di Einstein credo sui 1800 gr.

Questo studio, a mio parere, tende a dimostrare che l’intelligenza umana, e comunque le funzioni superiori, possano dipendere dalla cosidetta neuroplasticità, ovvero l’intelligenza potrebbe svilupparsi se entra in funzione tale meccanismo.

Che cos’è la neuroplasticità?

Noi sappiamo che a seguito di lesioni cerebrali con danno funzionale (afasia, paresi di un arto, di uno o più nervi cranici) la zona colpita rimane gravemente danneggiata, ma l’osservazione clinica ci mostra come quelle funzioni, inizialmente compromesse, possono ritornare totalmente o in parte alla normalità.

Ovviamente più è estesa l’area lesionale, meno sarà possibile il recupero funzionale.

Il meccanismo che consente il ripristino funzionale dell’area lesionata sta nella possibilità di modifica delle connessioni neurali attive, ossia del potenziale meccanismo di recupero a seguito di lesioni del sistema nervoso.

Recenti ricerche di neurobiologia consentono di poter prospettare che una tale riorganizzazione potrebbe essere mediata sia a livello fisiologico che anatomico, quindi con l’attivazione neuronale e delle loro connessioni o, forse, con lo sviluppo di nuove connessioni (sinaptogenesi).

Si teorizza quindi che esistono latenti connessioni neurali e sinapsi silenti che, diciamo così, si pongono al servizio di una particolare funzione, allorchè il percorso funzionale del controllo primario o principale risulta danneggiato.

Quindi esiste una funzione vicariante, ovvero un processo mediante il quale i tessuti neurali, che normalmente non sono coinvolti nello svolgimento di un compito particolare, alterano le loro proprietà assumendo il controllo del compito principale non più attivo.

Tale funzione vicariante la si osserva empiricamente in clinica, ma sappiamo che essa è l’espressione di ciò che si verifica in una zona del cervello adiacente al tessuto danneggiato.

L’elevata capacità di riorganizzazione del sistema nervoso centrale non è attribuita dai ricercatori al sistema nervoso maturo, ritenendo essere il ruolo del funzionamento neuronale vicariante maggiore nella popolazione pediatrica, ma allo stesso tempo, a fronte delle osservazioni cliniche, il ruolo di tale vicarietà nel recupero negli adulti, rimane ancora oscura.

Analoghi concetti quindi possono essere applicati allo sviluppo dell’intelligenza e/o di altre funzioni cerebrali superiori, prospettando forse inquietanti scenari in cui, innescando il meccanismo della neuroplasticità, si potrà favorire o migliorare l’intelligenza di un individuo.

 

Fonte:

Increased morphological asymmetry, evolvability and plasticity in human brain evolution Proc. R. Soc. B June 22, 2013 280 1761 20130575; 1471-2954

Data pubblicazione: 02 maggio 2013

2 commenti

#1
Dr. Armando Ponzi
Dr. Armando Ponzi

Il cervello di Einstein pesava 1230 gr.
Non mi è chiara l'associazione tra asimmetria e intelligenza e a quale livello si situa: è noto che vi sono aree specializzate asimmetriche nel cervello: ora paragonare il livello di asimmetria tra uomo e scimpanzè, ad esempio scegliendo le aree preposte al linguaggio, il risultato apparirebbe ovvio.
E' possibile avere ulteriori informazioni sul concetto di 'sprouting neuronale' a livello centrale e come opera in condizioni fisiologiche (appare abbastanza evidente il meccanismo di compenso in caso di patologia)
La ringrazio.

#2

Grazie per la precisazione sul peso del cervello di Einstein.

Lo studio, che ovviamente non va considerato definitivo, è solo una osservazione che, mi sembra di capire, evidenzierebbe l'eventuale rapporto, non già tra aree funzionali ben specifiche e conosciute, ma più genericamente con le funzioni superiori quali appunto l'intelligenza, il calcolo matematico, il pensiero, la capacità di sintesi ecc.
Poichè l'asimmetria verrebbe considerata una espressione della neuroplasticità cerebrale, l'ipotesi (del tutto teorizzabile) è che l'attivazione, il "risveglio" di neuroni "dormienti" (mediante farmaci ancora da scoprire o, forse, cellule staminali)possa migliorare l'intelligenza di un individuo.
Siamo ancora un pò nella fantascienza, ma lo studio mi pare sia una buona base per proseguire su questa strada.
Anche per quanto riguarda la vicarietà dei neuroni in una area lesionata,c'è ancora molto da scoprire, come ho accennato nella parte finale della news.

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