Depressione: psicofarmaci o psicoterapia? Lo decideremo con una PET

v.martiadis
Dr. Vassilis Martiadis Psichiatra, Psicoterapeuta

Allo stato attuale, la scelta del tipo di trattamento da proporre ai pazienti affetti da depressione è fondamentalmente basata sulla preferenza del medico o del paziente, i quali, dopo aver deciso il tipo di trattamento, procederanno per tentativi ed errori: in caso di risposta positiva si continuerà con il trattamento prescelto, in caso di mancata risposta il trattamento verrà cambiato o associato ad un altro tipo. In genere, poco meno 40% dei pazienti risponde al primo tipo di trattamento impostato, generando notevoli ritardi nel raggiungimento della remissione dei sintomi depressivi.

La Dott.ssa Helen Mayberg e i suoi collaboratori della Emory University di Atlanta (Georgia, USA) hanno pubblicato, sulla celebre rivista scientifica JAMA, i risultati di uno studio, finanziato dal National Institute of Health, nel quale avrebbero individuato un marcatore in grado di predire quale sarà il migliore trattamento per ogni singolo paziente, psicofarmacologico o psicoterapico.

Gli studiosi hanno sottoposto a PET (tomografia ad emissione di positroni), un esame neurodiagnostico che valuta il metabolismo del glucosio nelle diverse aree cerebrali, un gruppo di 38 pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore, prima di assegnarli ad un trattamento farmacologico con escitalopram, a dosi variabili tra 10 e 20 mg/die, oppure ad un ciclo di 16 sedute di psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT).

Dopo 12 settimane di trattamento, dei pazienti in trattamento psicoterapico, 12 hanno risposto positivamente mentre 9 non hanno mostrato miglioramenti; dei pazienti in trattamento con escitalopram, 11 hanno risposto positivamente mentre 6 non hanno mostrato miglioramenti.

Gli studiosi hanno quindi analizzato e confrontato, attraverso un complesso software, tutte le scansioni PET dei pazienti responder alla terapia farmacologica, dei pazienti responder alla psicoterapia e del gruppo di non responder alle due terapie.

Dall’analisi dei dati è emerso che una regione cerebrale nota come insula anteriore presenta delle fortissime differenze tra i diversi gruppi. In particolare, un accentuato metabolismo del glucosio in questa regione, predice una buona risposta all’escitalopram e una scarsa risposta alla CBT, mentre, un ipometabolismo del glucosio in questa stessa regione, predice una buona risposta alla CBT e una scarsa risposta all’escitalopram.

Se i risultati di questo primo studio fossero confermati su numeri di pazienti più ampi,  la scansione PET dell’insula anteriore potrebbe diventare un importante strumento per guidare la scelta del trattamento, psicofarmaci o psicoterapia, in pazienti con depressione maggiore. In questo modo sarebbe possibile ottimizzare le scelte terapeutiche e indirizzare, con ragionevole sicurezza e senza ulteriori sprechi di tempo, ogni singolo paziente verso il miglior trattamento possibile.

Fonte:  JAMA Psychiatry. Published online June 12, 2013.

Data pubblicazione: 24 giugno 2013

5 commenti

#2
Foto profilo Dr. Salvo Catania
Dr. Salvo Catania

Bell'articolo Vassilis !

Subito stavo per scriverti " Prospettiva veramente interessante pur se molto costosa". Poi ripensando che terapie mirate piuttosto che tentativi di terapie approssimate finiscono in trattamenti molto lunghi per ridurre quasi sempre i costi per la collettività...
Pertanto doppiamente interessante!

#3
Foto profilo Dr. Vassilis Martiadis
Dr. Vassilis Martiadis

Caro Salvo,
Ti ringrazio per il commento. Sapere se una terapia avrà effetto o meno, ancora prima di iniziarla, credo sia il sogno di ogni psichiatra e, forse, di ogni medico. Allo stato attuale la metodica va confermata bel suo valore predittivo ed é sicuramente costosa, ma il progressivo ridursi dei costi delle indagini di neuroimaging potrebbe renderla effettivamente utilizzabile nella pratica clinica. In effetti, evitare lo spreco di risorse, come un trattamento che non avrà efficacia e tutto ciò che comporta in termini di utilizzo di risorse economiche e sociali, farebbe pendere la bilancia costi/benefici a favore di questi ultimi. Staremo a vedere, in speranzosa attesa.
Grazie.

#4
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Dr. Fernando Bellizzi

In effetti riuscire a trovare la causa organica o psicologica del proprio disagio rappresenta comunque un passo avanti per la cura del paziente e aumentare l'efficenza della cura stessa!
E poi questo è un ulteriore passo verso l'annoso problema del fatto se siamo davanti a patologia primaria o secondaria!

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