Vivere una favola: depressione bipolare e fuga dalla realtà

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Esiste un periodo di passaggio, nella produzione di Vasco Rossi, dalle canzoni "adrenaliniche" a quelle "depresse", ed è il disco "C'è chi dice no".

La vena pessimistica e decadente in Vasco Rossi c'è sempre stata, e anche nelle canzoni ispirate alla vita "al massimo" c'erano implicazioni distruttive e consapevolezza del vuoto morale che circondava, e anzi ispirava, la vita spericolata. Le giovani generazioni sono già fallite, o meglio fatte fallire, non hanno "santi ed eroi", non hanno un terreno, per quanto provvisorio, su cui crescere, a cui tornare in caso di bisogno. Hanno il vuoto consumistico, e anche il piacere della droga è un piacere consumistico, anche se può essere espressione di dissenso ("qualcosa per tenersi a galla").

 

Ad un certo punto però, oltre questa ambivalenza tra eccessi e malinconia subentra la descrizione di una depressione autentica, ed è "Vivere una favola".

In questa canzone si descrive un senso di depersonalizzazione, un uomo che si sente isolato e distante, mentalmente, dalla vita che gli si muove intorno in maniera vorticosa. La modernità, l'evoluzione rapida delle mode e dei significati lo lasciano indifferente, o lo angosciano anziché essere attrattive. Vive in bilico tra il desiderio di "correre nei prati" con tutte le altre persone che lo lasciano indietro e quello di far fermare tutto e di godersi una pace assoluta su una nuvola, su un'isola.

Questo stato è tipico della depressione cosiddetta "letargica", con la persona che riesce sempre a desiderare il piacere, ma si sente sommersa, lontana, come se lo vedesse solo da lontano, ai piedi di un monte, o all'orizzonte di una scogliera. Sente impossibile raggiungere il piacere, e lo sente anche troppo veloce, frenetico, per poterci entrare in sintonia. Vorrebbe, ma pensa di doversi invece adattare alla sua assenza, e allora si volta dall'altra parte e cerca l'oblio, il sonno, il non pensare, almeno la tranquillità. Sapere che si può essere felici fa male, perché si sente che la felicità non busserà alla nostra porta, un treno che non ferma alla nostra stazione.

 

Nella canzone, il mondo degli scoppiettanti anni 80 è "la città", che è innanzitutto grande, dove questo "grande" dà un senso di angoscia, una grandezza che pesa più che essere motivo di esaltazione. Tutto è grande, sono grandi le novità, le verità, e si affollano tutte insieme, una dietro l'altra, e anche questo è fonte di angoscia, anziché di esaltazione. Macchine veloci, persone capaci, un luna park vorticoso che visto con gli occhi della depressione è qualcosa di mostruoso, apocalittico, un monumeto all'infelicità. Un mondo che ti respinge magneticamente fuori. Il depresso si affaccia alla finestra guardandolo attraverso una lente che glielo fa sembrare lontanissimo, dentro un binocolo, anche se è semplicemente nella strada sotto di lui. Non ci arriverà mai, non ha le energie per entrarci dentro.

 

Il depresso si agita, grida dalla sua solitudine che non vuole correre, non vuole competere, o meglio non vuole perdere, perché della competizione si vede solo come perdente. Sente addosso il giudizio altrui, teme che gli altri ridano della sua debolezza, specie se una volta non era debole, ma anzi era intraprendente, forte, pieno di vita. Cosa darebbe, per vivere una favola! Ma allo stesso tempo cosa darebbe perché questa favola fosse fuori dal mondo, perché il solo pensiero di mettersi a correre sul prato per concorrere alla vita lo angoscia in maniera paralizzante.

 

Questa insomma è la descrizione perfetta di un episodio di depressione bipolare, o meglio di melancolia eccitata, come si diceva anticamente. Una tristezza e una debolezza non calme, e misurate in riferimento a un piacere lontano e perduto. Queste fasi sono quelle in cui, in chi usa sostanze, si passa tipicamente dal ricorso agli stimolanti (nella fase precedente, quando si era euforici) a sostanze sedative o inebrianti, come l'alcol e gli oppiacei. Non si tratta tanto della ricerca di effetti diversi, quanto dell'allineamento tra lo stato umorale e il tipo di sollecitazione "sopportabile": l'euforico tollera la cocaina perché lo spinge in senso euforico, il depresso non la tollera perché lo agita, cosicché si sposta su ciò che calma e non fa pensare. Il tutto però ruota non intorno ad un "su e giù" del piacere, che è sempre centrale, ma ad un "su e giù" della percezione della propria forza ed efficacia nel conquistarsi il piacere.

 

Testo della canzone: 
http://www.angolotesti.it/V/testi_canzoni_vasco_rossi_1563/testo_canzone_vivere_una_favola_41328.html

 

 

 

Data pubblicazione: 08 giugno 2014

13 commenti

#1
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Utente 317XXX

Mi può spiegare cosa significa "su e giù" della percezione della propria forza ed efficacia nel conquistarsi il piacere?

#2
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Significa l'alternanza della percezione della propria forza e della propria capacità di arrivare agli obiettivi che si desiderano, con alternanza di momenti in cui ci si sente forti e vicini al successo ed altri in cui ci si sente deboli e troppo lontani.

#3
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Però, secondo me, la percezione è un pò diversa. Quando si è "euforici" le sensazioni ti invadono, non hai bisogno di andare a cercarle, ci sono e tu non puoi fare nulla. Quando si è depressi più che deboli ci si sente vuoti.

#4
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Ti invadono e te le vai anche a cercare. Quando si è giù ci si sente vuoti ma anche non in grado di andarsi a prendere quel che manca. Si sta fermi e si soffre nel vuoto. In teoria sarebbe semplice altrimenti: ti senti vuoto, ti muovi e vai a prenderti qualcosa per colmare il vuoto. Invece no, al contrario.

#5
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Non sono d'accordo sul "te le vai a cercare".Cosa potrebbe fare una persona che soffre di disturbo bipolare? Incatenarsi durante la fase "euforica"?

#6
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Appunto, e' esattamente la stessa cosa che sto dicendo io. Se sei euforico ti cerchi il piacere.

#7
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Secondo me non è esattamente la stessa cosa. Non puoi decidere di non cercarlo,perchè c'è, punto; quindi non sei "libero". Cosi come quando sei "depresso" non puoi cercarlo perchè non c'è e tutto questo non dipende da te.

#8
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Non puoi decidere di non cercarlo, infatti lo fai. Decidere non significa libertà , solo un livello consapevole di orientamento. Lo stesso concetto di libertà in vasco rossi e' uno stato d'animo e non una liberazione da qualcosa. Perfettamente d'accordo quindi, ma in neurobiologia il concetto giuridico di libertà non c'è'. Quindi decidere non significa scegliere liberamente, ma consapevolmente

#9
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Ok, ma il "consapevolmente" non è del tutto "cosapevole".

#10
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Nel senso che chi è in uno stato umorale non ha consapevolezza di esserlo ? Non esattamente, è solo che ritiene fondato il suo umore, ma questo è tautologico, essendo l'umore un punto di vista. Il cosiddetto sentimento di realtà" è una lettura rapida e molto efficace della realtà, che prevale sulla parte più "razionale", anzi la forma. I pensieri complessi sulla realtà dipendono dal sentimento di realtà. Non che un euforico non sappia concepire uno stato non euforico, ritiene giusto su di sé quello euforico e la visione che dà.

#11
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A volte non ha consapevolezza di essere in uno stato "euforico", ma io intendevo dire che non ha "consapevolezza" di molte delle cose che fa, pensa e dice. L'individuo "euforico", secondo la mia esperienza, è come se non indossasse la "maschera",come se non avesse filtri e quindi dice e fa in modo diverso da un individuo non euforico.

#12
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Chi è euforico ha la consapevolezza di quel che accade, ma la misura come normale, questo però non è un giudizio di realtà, è un sentimento di realtà. Io posso ritenere che scalare una montagna per me sia facile se sono euforico, non perdo il senso di cosa significhi scalare una montagna, e so che mi sento "bene" a differenza di altri momenti, ma se mi viene contestato dirò che sono normale, o "sto bene" o semplicemente che voglio continuare a stare così, perché il cervello non registra come "da cambiare" l'euforia, cosa che invece fa con la depressione (anche lieve) in chi ha provato l'euforia, è uno dei connotati specifici della depressione bipolare. Per cui un conto è l'automatismo, che non prevede scelta, un conto è la decisione consapevole, ovviamente "congrua" con l'umore, e un conto è il "non rendersi conto" delle cose. Questo accade in corso di psicosi, e riguarda il giudizio di realtà, cioè dire che in cima al monte c'è un tesoro perché mi è venuto in mente che è così.

#13
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Utente 317XXX

Spiegato così è tutto molto molto chiaro. Grazie mille.

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