Vita vegetativa e cervello

Salve,
in questi giorni il "caso Englaro" ha messo in evidenza uno dei problemi maggiori in sanità: fino a che punto curare e quando fermarsi e come fermarsi.
Personalmente sono dibattuta e sono alcuni anni che medito di fare una sorta di testamento biologico per evitare su di me sia accanimento terapeutico che diagnostico. Vorrei sapere se entrando in una struttura ospedaliera il paziente ha diritto di allegare alla sua cartella clinica la dicitura o una lettera testamento che dichiari di non voler essere rianimato in caso la rianimazione lo facesse restare senza "alcun rapporto interpersonale con l'altro in termini di comunicazione verbale, gestuale o visiva".
Questa "lettera" verrebbe presa in considerazione dandone una copia al medico curante, al reparto che lo ha in "cura", alla direzione sanitaria e ad un "curatore" che esso sia medico, avvocato o parente?

Nessuno risponde a queste domande, nelle varie trasmissioni che ho seguito, e ne è nata una sorta di "onda politica" con lo scopo di rendere disumano questo momento che forse questo padre avrebbe voluto evitare, o forse ha utilizzato a favore di tutti color che soffrono.
Vivo spesso alcune settimane in neuroriablitazioni e quello che ho visto mi ha fatto pensare molto. Ho visto parenti rabbiosi che odiavano lo Stato per non permettere loro strutture adeguate (dalla sicilia arrivare al nord sperando in miracoli terapeutici).
Ho visto genitori sperare che la morte arrivasse subito per non vedere figli attaccati a macchine impietose. Ho visto un paziente terminale conscio della sua fine mollato da solo per un mese e mezzo, e l'unico sorriso gli veniva dal personale che lo accudiva e da noi pazienti che a turno passavamo a fargli compagnia. XXXXX se ne è andato in silenzio, magrissimo, devastato... e mi sono chiesta più volte se veramente desiderava morire li o a casa nel suo letto in pace.
Qui siete numerosi medici presenti che spero leggeranno questa mia, vorrei dire che quando si perde la dignità umana, quando tutto il tuo corpo è assoggettato ad altri per me è non vita. Vorrei che venisse rispettato il mio desiderio Darviniano che natura faccia il suo corso.
Quanti di Voi la pensano come me, quanti la pensano allo stesso modo ma stanno in silenzio temendo "ritorsioni" e quanti di voi un domani vorreste fare la stessa fine di Eluana?
Spero non prendiate questo post come provocatorio, una cosa semplice semplice vorrei capire:
lo stato reattivo che dicono appartenga alla giovane donna, è solo un riflesso condizionato oppure questo dubbio che Lei "partecipi" potrebbe veramente essere "vita"...ma quale?
Io sono favorevole per lo stacco della spina, comprendo l'eutanasia, comprendo i medici combattuti legati al giuramento di Ippocrate, ma un domani, saremo più vegetali appesi a macchine e meno uomini con dignità?

scusatemi la logorroica lettera, ma ho compreso forse anche quel fratello medico che amavo, che un giorno mi disse: "un domani restassi un vegetale, sai cosa fare"... e venni istruita.
Ringrazio il fatto che il suo "cuore" abbia ceduto prima che io dovessi arrivare a decidere per lui e fargli un dono di amore. Lui sapeva che non curandosi avrebbe terminato prima la sua vita senza soffrire o perdere la dignità che tanto lo contraddistingueva.

Voi che cosa decidereste per la vostra vita non vita??

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Dr. Antonio Zingale Neurochirurgo 224 6
Quandi ci si rivolge al medico , l'intento è quello di ottenere cure per contrastare la malattia e quindi vivere in condizioni migliori o più a lungo anche se l'esito può essere una situazione di vita non dignitosa. Se durante il trattamento avvengono complicazioni il medico deve comunque continuare a curare in scienza e coscienza perchè tale era la volontà iniziale del paziente. Sarebbe semplice, ma anche eticamente deprecabile, lasciar morire il paziente se dovessero insorgere delle gravi complicanze che comunque derivano da un tentativo di curarlo. Se i familiari dovessero desiderare di non fare più nulla esiste sempre, allo stato attuale, la possibilità delle dimissioni contro parere medico. Per quanto attiene il caso di Eluana bisogna tenere presente che a fronte di alcune situazioni analoghe che si determinano necessariamente in determinate proporzioni statistiche quando si attuano determinati protocollo terapeutici , attuando le cure odierne, tanti altri traumatizzati vengono salvati e possono condurre una vita dignitosa. Qualora non si volesse accettare la possibilità questo sfortunato esito bisognerebbe decidere anche di non curare tutti i traumatizzati gravi e lasciarli al loro destino tornando così ad una situazione di barbarie.

Dr. Antonio Zingale

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dopo
Attivo dal 2008 al 2010
Ex utente
ok, molto comprensibile il Suo pensiero. Ma io mi domando questo, se un domani io restassi attaccata ad una macchina per esempio con la SLA, ora secondo lei, passare giorni allettati, cateterizzati, sottoposti a manovre liberatorie intestinali irritanti, nutriti con la peg, e poco assistiti perchè lo Stato non ti garantisce assistenza continuativa e porta allo stremo la famiglia che assiste, io come paziente che subisce mi troverei emotivamente sfatto a vedere morire chi ho accanto lentamente con me... quindi se prima io decidessi, non voglio vivere, la scienza e coscienza vostra mi obbligherrebbe a subire le "barbarie" legate ad una macchina....
dove sta il limite giusto?
Darvin e la selezione naturale, oggi la vita si è allungata grazie alla medicina, ma a chi dona vita se poi si resta appesi esclusivamente a macchine e magari soli per ore perchè non vi sono volontari o amici o parenti adibiti 24 ore su 24?

non ci ha mai pensato Lei un domani si trovasse in questa situazione cosa vorrebbe per se stesso e per coloro che la amano?
subirsi e farsi subire?
questa è la mia domanda... non chiedo che lei mi dica io staccherei la spina...le chiedo se lei farebbe ci fosse una legge un testamento biologico...

argomento difficile lo so...
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Dr. Antonio Zingale Neurochirurgo 224 6
Nel caso della sclerosi laterale amiotrofica una volta formulata la diagnosi il malato dovrebbe essere edotto della sua evoluzione e delle limitate possibilità di cura e della evoluzione infausta. Purtuttavia non deve essere il medico a decidere di non curare (=decretare ed eseguire la condanna a morte!!) ma il paziente o i familiari delegati ad accettare o rifiutare la cura (es.:chiedere le dimissioni volontariamente). sentito il parere del sanitario (decorso previsto , percentuale di rischio di una terapia, tipo di risultato previsto ottenibile nella migliore o peggiore ipotesi ecc.)Capisco, la speranza è l'ultima a morire, ma la medicina ha dei limiti come d'altronde anche l'uomo il quale ha, come tutti gli esseri viventi, un ciclo vitale limitato e ne ha anche la consapevolezza. Dobbiamo rassegnarci al fatto che " polvere siamo e in polvere torneremo" prima o poi (dal latino : Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris).
Ed è proprio della storia naturale di una malattia anche come eventualmente modificata dalle terapie disponibili che bisognerebbe discutere con il paziente ed i familiari per evitare tante attese spesso troppo ottimistiche sulla qualità oltre che la quantità della vita residua.
E' purtroppo un argomento (il nostro destino mortale), questo, che la società cerca di evitare di trattare quasi a significare che questo destino è riservato ad altri ma non a coloro che lo descrivono.
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dopo
Attivo dal 2008 al 2010
Ex utente
Salve,
concordo con Lei, ma perché non si accetta la morte come evento normale della vita?
Comprendo sia faticoso, ma personalmente non vorrei mai vivere attaccata ad una macchina e mi piacerebbe sapere come tutelarmi, in caso incappassi in un medico "obiettore" ad oltranza.
Entro in coma, e resto attaccata ad una macchina, perchè altri decidono per me? è questo che si dovrebbe chiarire, ed allegare alla scheda sanitaria, registrandola nei dati computerizzati: io alda, non voglio alimentazione forzata, respirazione forzata, qual'ora le mie condizioni restassero tali da impedirmi di interagire attivamente con il corpo e la mente con il mio prossimo, e qual'ora il corpo non fosse in sintonia con la mente, e la mia sofferenza diventasse una vita appesa e lucida solo a delle macchine, di poter dire, anche solo con un gesto degli occhi, staccatemi tutto.

credo sia un mio diritto legittimo, lo stendo qui il mio testamento biologico? le idee le avrei ben chiare, quasi quasi... avrei un bel po' di testimoni! mi aiutate a stenderlo?

ps: sono lucidissima!
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Dr. Antonio Zingale Neurochirurgo 224 6
Perchè l'istinto a sopravvivere è più forte di quello a morire ( infatti il suicidio è considerato un evento collegato alla malattia psichiatrica depressione maggiore) specie in una società opulenta.
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dopo
Attivo dal 2008 al 2010
Ex utente
Salve, doc Zingale,
mi sto chiedendo come mai solo Lei, risponde a questo tread e i suoi colleghi, qualunque specialità appartengano non hanno manifestato alcun pensiero che possa essere al di fuori degli schemi del Giuramento di Ippocrate, ma bensì integrati ad un pensiero umano e personale. Quindi la miglior arma per non affrontare questo argomento MORTE non facile sia per LORO il silenzio?

fa così paura a LORO la morte che non si mettono in discussione? oppure hanno il terrore della vita un domani potesse diventare immobilità legati a macchine?
Vedendola da vicino la morte ogni giorno nelle vostre corsie la si evita scaramanticamente a livello personale?

ritornando al testamento biologico, quindi, io in grado di intendere di volere, potrei essere catalogata come paziente affetta da patologia psichiatrica di depressione maggiore? Non riesco a comprendere se la sua frase abbia questo doppio senso.
Quindi vorrei me la spiegasse meglio.


Premesso che sono affetta da sclerosi multipla RR con una disabilità, scala EDSS 6,5, quindi inizio ad avere limitazioni visibili e limitanti, personalmente conduco una vita sociale discretamente attiva, con progetti che sto realizzando: scrivo, vinco concorsi, sono prossima a pubblicare un libro, faccio volontariato dano aiuto in un ufficio, quando le ricadute non mi bloccano per mesi seduta sua una sedia...
Ma, devo riconoscere che sono purtroppo legata a persone esterne che con orari definiti da asl e strutture di volontariato mi limitano. Non per questo mi deprimo, mi ci adeguo, ma devo continuare ad essere io adeguarmi?
Lei si adeguerebbe un domani? Io ho perso il lavoro a 36 anni, e non mi sono sparata, o rinchiusa a piangermi addosso, ho trovato altri interessi per vivermi!!!
Di conseguenza dovrei adeguarmi anche alla non vita appesa ad una macchina perchè ho sempre avuto una grande voglia di vivermi?
La mia patologia, potrebbe evolvere come sta facendo ora in maniera lentissima, come domani mattina sappiamo bene io e lei in che condizioni potrei magari ritrovarmici.
Allora, se io ora in grado di intendere e di volere volessi fare questo testamento biologico che stanno organizzando a livello bioetico in maniera direi disumana, con un cappio al collo, visto che ci vuole persino un notaio che ci tuteli, ma che in ogni caso non potrebbe darci aiuto visto che alimentazione acqua non verranno mai interrotti... che razza di tutela ai miei diritti umani avrei?

a questo punto inizio a comprendere come il suicidio anche se assistito, sia veramente per me non patologia psichiatrica, ma bensì un mio diritto a smettere di soffrire e far soffrire soprattutto coloro che un domani smetterebbero di vivere per causa mia.

Allora, forse ci sarebbe da lottare affinchè questo Stato ci permetta di avere assistenza costante "assistita" non solo sul piano fisico ma anche psichico e sociale permettendoci ancora interazioni... Coloro che potrebbero aver voglia di viversi in questa situazione e dalle testimonianze sono persone che socialmente stanno molto bene economicamente e possono permettersi questa non indipendenza facendo forse anche gli EROI...??

Chi mi conferma quindi che decidere alla non vita non sia esso un atto anche di grande coraggio?

ora mi Lei mi uccide metaforicamente... ma mi piacerebbe veramente conoscere il pensiero anche di altri o sono tutti così... scusatemi il termine "poco coraggiosi" ad affrontare questo argomento che vivono solo di riflesso nelle corsie e non trovandosi in primis con patologie pesanti abbiano mai pensato: "cosa farei io un domani"?

non me voglia se perpetro, ma vorrei capire dove io sbaglio a pensarla in questa maniera.
grazie per l'aiuto a capire.
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Dr. Giovanni Migliaccio Neurochirurgo 13.6k 398 77
Cara signora,
bisogna distinguere tra il paziente, in coma, tenuto in vita da una macchina e un paziente che vive senza alcun supporto meccanico.
Il primo, dopo un tempo medio che non va oltre il mese (escludendo i casi del polmone d'acciaio), se non risponde alla terapia instaurata,necessariamente muore.
Il secondo (caso Eluana per es.) è un paziente che vive e senza alcuna malattia d'organo. Diciamo che ha un handicap, ovvero quello di non poter comunicare e quindi avere una vita di relazione.
E' comunque una persona viva, come lo è il demente, il cerebropatico affetto da spasticità ecc.
L'argomento è certo di estrema delicatezza e nessuno ha la verità in tasca.
Io però ritengo che nella vita bisogna avere dei percorsi e dei traguardi che non necessariamente sempre debbano essere delle autostrade (americane però, perchè le nostre sono più simili a una via cittadina ,ormai).
Da questi percorsi e traguardi (chiamiamoli ideali?) non ci dovremmo discostare molto anche a costo di sacrifici.
Sono in sostanza i princìpi!
Molti, nel corso dei secoli, sono morti perchè ideali si raggiungessero.
Nei medici c'è un ideale che è poi l'impegno che si son dati scegliendo questo difficile, ingrato mestiere, ma che è il più bello del mondo, quello di dare e mantenere la salute e la vita.
Quel medico che interrompe una vita dal momento del suo concepimento con l'aborto a quello che procura la morte nel giustiziando, ha scelto di non essere <nel profondo> "IL" medico.

(per inciso la mia posizione è quella di un laico)

Cordili e affettuosi saluti
[#8]
dopo
Attivo dal 2008 al 2010
Ex utente
Salve Dottor Migliaccio,
rispetto moltissimo quello che ha scritto, riguardo alla "profondità" etica. Concordo, chi decide di essere medico deve giustamente salvaguardare la salute e la vita.
Darvin e Spencer li ricordiamo erano i fautori per la "selezione naturale" che con il passare dei secoli, ora tramite la ricerca, la scienza e la ing. biomedica, si stanno perdendo nella memoria. Abbiamo così corpi tenuti in vita, ma che in sostanza non hanno più vita di relazione...
Questo mi sto chiedendo, una volta la morte arrivava pietosa o impietosa, ma grazie a madre natura che provvedeva in merito. Comprendo che oggi si sia allungata di molto la vita, ma un domani, è giusto che io viva contro la mia volontà appesa ad una macchina, a maggior ragione se sono in grado di intendere e non posso partecipare alla vita come tutti gli altri?
argomento delicato, magari poi accadesse che io ci restassi appesa, conoscendomi probabile riuscirei a rompere le "scatole" anche usando gli occhi e un monitor del pc, ma in questo momento mi chiedo anche se sia giusto che coloro che mi assisteranno dovranno subirmi... e se non potessero farlo, io trovarmi sola in un ricovero a lungadegenza ad attendere "tempi migliori"...ossia la pace del corpo e della mente? e dover subire il degrado fisico?
la si percepisce Dottor Migliaccio, la vita che sfugge, le abilità che si perdono, anche se si lotta con le palle, mi permetta di dirlo! E si percepisce anche la sofferenza di chi hai a fianco.
allora chi ha ragione e chi torto?
riguardo all'aborto... avrei da dire la mia: se venissi brutalmente violentata a 18 anni, devo per forza tenermi un figlio non cercato ma imposto da chi mi ha violentato? è etico questo?
ricambio i saluti con stima e affetto!