Brain fog da stress?

Gentili dottori, scrivo per parlarvi di un problema che ormai mi perseguita da quasi nove anni.

Premetto che, nonostante personalmente tenda a sottovalutarmi, chiunque si relazioni con me mi reputa invece una persona brillante: parenti, amici, professori universitari, se c’è una cosa su cui sono sempre riuscito a mettere tutti d’accordo è proprio il farmi riconoscere delle doti, innanzitutto dialettiche, di ottimo livello.

Purtroppo è dal lontano 2015 che, di frequente, su queste fantomatiche capacità cognitive cala una vera e propria coltre di nebbia che puntualmente mi getta in uno stato di profonda frustrazione; non saprei più dire se alla base della crisi originale risieda un vero e proprio evento scatenante, ma ciò che so per certo è come le dinamiche siano rimaste pressoché immutate nel tempo e continuino, ad oggi, a manifestarsi esattamente come fecero già allora: nello specifico, l’elemento comune resta l’immane difficoltà ad esprimermi - trasversalmente, tanto oralmente quanto in forma scritta che addirittura a pensieri - con quelle dimestichezza e proprietà di linguaggio che in condizioni normali sono praticamente la norma.

È consueto che all’apice del disagio il mio lessico, così come la mia celerità nel formulare un concetto, si riducano a tal punto da farmi quasi preferire il silenzio ad una prestazione stentata, claudicante ed ovviamente imbarazzante, e che un simile appiattimento si protragga poi omogeneo anche per giorni interi; d’altro canto, è altrettanto possibile che l’andamento risulti invece più altalenante, con una serie interminabile di alti e bassi che alternano momenti di lucidità a fasi di disorientamento totale.

Per quanto da allora questo spauracchio non mi abbia più abbandonato, rimanendo una presenza costante nella mia vita, ad oggi conto tre periodi di pesante flessione in cui il problema è assurto a vera e propria esperienza totalizzante e perniciosa: quello iniziale, del biennio 15/ 16, uno di tre mesi a metà del 17 ed infine l’ultimo, l’attuale, che va avanti - quasi - ininterrotto da fine 2020.

Prima di procedere con le mie perplessità, specifico anche come sia già in cura da anni presso uno psichiatra/psicologo e come, soprattutto, ogni precedente vittoria che ha messo fine alle crisi maggiori sopracitate - a due di esse, perlomeno - sia finora coincisa con episodi specifici, ugualmente pervasivi, in grado di agire da vero e proprio diversivo catalizzando la mia attenzione e ritagliandosi in breve tempo il ruolo di priorità assoluta ai danni dei timori stessi.

Risultato?
Guarigione immediata, lunghi periodi di tregua e zero strascichi.
Concludo dunque con le domande, conscio dei limiti del consulto a distanza ma confidando che ascoltare altri pareri possa lenire le mie preoccupazioni: è plausibile escludere un’origine neurodegenerativa del disturbo?
In secondo luogo, e dando per buona la pista psicosomatica, il quadro da me descritto è ascrivibile a una casistica precisa? In altre parole, c’è in letteratura un profilo che ricalchi il mio? Perché spesso temo, seppur irrazionalmente, di essere solo in questa battaglia contro un nemico che tutt’ora conosco benissimo e disconosco completamente.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
La questione va riportata sulle modalità e sui contenuti.

È plausibile che la sua caratteristica principale sia legata ad una modalità di controllo che la può portare a stanchezza cognitiva in alcuni periodi.

Il fatto che ponga domande su cui ha avuto chiarimenti è piuttosto indicativo.

Andrebbero esplorati questi aspetti con il suo specialista.



Dr. F. S. Ruggiero


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