Dipendono dalla relazione insoddisfacente che ho

Da circa un anno attraverso un intenso e rinnovato mal de vivre che non so definire e gestire. Ho alle spalle un passato di tossicodipendenza piuttosto grave, e da sette anni sono in cura presso un SERT con terapia di mantenimento metadonico (ormai in dirittura d'arrivo, sono a 0,8 ml dai 45 iniziali, non faccio piu' uso di sostanze da almeno tre anni) e supporto psicologico conclusosi mio malgrado a dicembre (la dottoressa che mi seguiva è andata in pensione). Ho un quadro familiare problematico e invischiante (madre clinicamente depressa che ha sempre rifiutato di sottoporsi a cure, padre ansioso in trattamento farmacologico). Ho da due anni una relazione insoddisfacente che si trascina faticosamente con una donna molto più grande di me. Il mio interesse primario è la scrittura e mesi fa ho lasciato il lavoro (un contratto in ogni caso in scadenza da lì a breve) nell'illusione di potermici dedicare con profitto. Di conseguenza ho lasciato casa e ora convivo con la mia compagna, ma ciò ha influito negativamente sulla qualità della nostra relazione. Non scrivo quasi nulla, eppure non ho problemi di ispirazione o di tecniche, ma difficoltà, mi pare, legate alla pianificazione, motivazione e alla continuità. Nello stesso tempo, non riesco a cercare un lavoro qualsiasi o semplicemente ad aggiornare il mio cv. Sono immobilizzato e fatico a prendere qualsiasi tipo di decisione. La mattina mi sveglio sempre molto tardi, senza scopi o progetti precisi. Non esco, ho difficoltà a gestire proficuamente il mio tempo e metto in atto strategie di evitamento ad ampio raggio. Tristezza, disperazione, ansia, demotivazione e senso di colpa crescente sono le cifre costanti del mio umore, ogni giorno. La psicologa che mi seguiva (servizio pubblico) ha sempre escluso la depressione, senza mai chiarire il mio quadro clinico. L'arrendevolezza mi sopraffà nel momento in cui realizzo che le questioni piu' urgenti (ricerca di un lavoro e di una casa) dipendono dalla relazione insoddisfacente che ho (surrogato dell'autonomia e indipendenza che non ho), e che non posso (o non riesco a) scindere le cose. Vorrei rivolgermi a uno specialista, ma non so a chi affidarmi e come scegliere (ho bisogno di un* psichiatra o di un* psicoterapeuta?)
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Dr. Francesco Mori Psicologo, Psicoterapeuta 1.2k 33 31
Gentile utente,
credo che la fine della terapia, improvvisa e non desiderata, abbia avuto delle ripercussioni. Sembra un periodo difficile in cui non riesce a concretizzare le sue scelte, o comunque a trarne un beneficio.
In ogni caso la scelta dello specialista rimane sua.
Conosce credo la differenza tra l'approccio più medico dello psichiatra, che può utilizzare anche i farmaci, e quello connesso all'esplorazione delle dinamiche interne dello psicologo.
Lei di che cosa sente avere bisogno?

Restiamo in ascolto

Dr. Francesco Mori
Psicologo, Psicodiagnosta, Psicoterapeuta
http://spazioinascolto.altervista.org/

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dopo
Utente
Utente
La ringrazio per la risposta, Dottor Mori,

sicuramente la fine della terapia ha influito sul mio umore e sulla mia condizione, ma sinceramente credo di non aver mai tratto soddisfazione o, mi pare, giovamento effettivo da essa, in quanto era votata, per questioni lampanti, piu' direttamente ai miei problemi con le sostanze che ad altro. Dopo sette anni di incontri settimanali da un'ora adesso sono qui; se è pur vero che ho smesso di fare uso di stupefacenti e non posso che considerarlo un traguardo importante, sono ben consapevole che la tossicodipendenza è una malattia cronica e recidivante, e d'altronde l'ho sempre considerata come un sintomo, piu' che il problema.

Vorrei capire perché, nonostante in apparenza mi siano chiare alcune dinamiche della mia personalità, mi lascio andare a quello che considero un circolo vizioso senza speranze che non riesco a spezzare. Vorrei avere piu' serenità e soprattutto la forza di reagire e superare questo immobilismo che mi fa paura. Non riesco a cercare un lavoro, non riesco a dedicarmi con serietà alla scrittura, non riesco ad aprimi all'esterno, a chiudere una relazione che non mi soddisfa, emanciparmi emotivamente dalla mia famiglia (grossa fonte di ansia e disagio), a godermi piccoli momenti di piacere o di svago che non mi provocano piu' alcuna soddisfazione; mi giudico severamente e in maniera implacabile e ultra-critica; amplifico le mie mancanze, non pongo rimedio al mio disagio, eccedo in introspezioni, in ultima istanza mi sento inutile e temo che qualsiasi sforzo, da cui in ogni caso mi tengo ben lontano, risulti iniquo. Eppure, spesso fantastico sul futuro e provo una strana sensazione di eccitazione, nel momento in cui costruisco scenari fantastici di benessere e appagamento, svincolati però da un mio impegno effettivo. Ho una percezione di me falsata, temo. E non so come porre rimedio.

Le chiedo scusa se mi sono dilungato.
Con cordialità.