Interruzione psicoterapia: si o no?

Gentili dottori, sono un ragazzo di 29 anni, studente universitario. A circa 21 anni ho iniziato una psicoterapia di gruppo ad indirizzo "analitico-esistenziale" a causa di attacchi di panico, derealizzazione/depersonalizzazione e un lieve stato depressivo, che si è protratta per circa 8 anni fin quando non ho deciso di interromperla. Il professionista che mi ha avuto in cura è uno psichiatra psicoterapeuta e sin dall'inizio non mi ha fornito una diagnosi precisa ne tanto meno un programma terapeutico (ho avuto delle indicazioni sommarie attinenti i sintomi che ho sopra descritto). Nel corso della terapia (che non ha mai previsto l'utilizzo di farmaci) e a distanza di alcuni anni dall'inizio, ho registrato alcuni miglioramenti, tra cui una discreta remissione dei sintomi e un migliore funzionamento e soddisfazione in ambito relazionale (amici, famiglia) che si è mantenuta per un certo lasso di tempo. Allo stesso modo in altri ambiti non ci sono stati mai grandi progressi, mi riferisco principalmente alla sfera sessuale, del rapporto di coppia, della dimensione lavorativa (l'università è andata avanti a rilento e non sono mai stato veramente convinto del percorso scelto) e più in generale non mi sono mai sentito veramente fuori dai problemi per i quali, sotto la spinta dei miei genitori, ero arrivato a rivolgermi allo specialista (nonostante i miglioramenti ho sempre avuto un certo stato d'ansia generalizzato, derealizzazione e difficoltà vivere la mia vita e i rapporti serenamente). Negli ultimi 3 anni di terapia la mia condizione psicologica e dei diversi ambiti importanti della mia vita è lentamente e progressivamente peggiorata fino ad arrivare ad una stasi quasi totale. Nonostante i miei tentativi di riportare questo peggioramento in gruppo non ho mai ottenuto risposte soddisfacenti per quanto attiene le possibili cause della regressione ne realistici suggerimenti in merito a delle possibili soluzioni. Ciò che è stato fatto è una continua e sfiaccante analisi dei contenuti onirici, unita ad una generica proposta esitenziale basata su valori peraltro assolutamente condivisibili ma che io non riesco ad applicare. Per quanto riguarda il suddetto peggioramento il terapeuta non ha mai riconosciuto alcuna responsabilità da attribuire alla terapia (ne pertanto ha mai preso in considerazione l'idea di inviarmi ad altro specialista ritenendo questa possibilità solo una perdita di tempo) ma ha sempre ravvisato in me l'ostacolo alla guarigione, attribuendomi atteggiamenti di pretesa eccessiva nei confronti del percorso terapeutico e forte resistenza al cambiamento. A distanza di due anni dall'interruzione della psicoterapia mi sono per disperazione nuovamente rivolto allo psichiatra che mi aveva inizialmente seguito, poichè dai consulti effettuati nel frattempo con diversi specialisti (psicologi, psichiatri), avevo ottenuto quasi esclusivamente ampie prescrizioni di psicofarmaci...(continua)
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

il fatto che <<a distanza di alcuni anni dall'inizio, ho registrato alcuni miglioramenti, tra cui una discreta remissione dei sintomi e un migliore funzionamento e soddisfazione in ambito relazionale (amici, famiglia)>> dimostra che qualche beneficio l'ha avuto.

Tuttavia, se non è convinto del percorso intrapreso è Lei stesso che deve decidere se cambiare professionista oppure no.
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Dr. Massimiliano Iacucci Psicologo, Psicoterapeuta 146 4 20
Gentile utente,

se non è più motivato, se ha dei dubbi, se dopo 8 anni di terapia non è soddisfatto,
ne parli con il suo terapeuta.
Non mi sembra però corretto attribuirle la stasi o i mancati progressi della terapia negli ultimi 3 anni.
State facendo un lavoro in due.

L'articolo 27 del codice deontologico degli psicologi recita.

Articolo 27 Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l'interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.

Ci faccia sapere,

Sauti

Dr. Massimiliano Iacucci - Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
https://www.ordinepsicologilazio.it/albo/massimilianoiacucci/

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dopo
Utente
Utente
(segue)...che non avevano portato il benchè minimo miglioramento. Lo psichiatra mi ha ripreso in cura e dopo avermi (finalmente!) dato una diagnosi precisa (disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione), mi ha fatto scalare tutti i farmaci. Ora la sua proposta è che io ricominci la psicoterapia di gruppo che avevo abbandonato (peraltro sostanzialmente con le stesse persone con cui l'ho condotta per tutta la sua durata, dato che mai ho visto in tanti anni uno che se ne fosse andato perchè l'aveva terminata), ma io mi sento totalmente sfiduciato nei confronti del professionista e del percorso, nonchè privo di speranza e prospettiva alcuna. Ho provato a portare queste perplessità nuovamente al terapeuta che mi ha risposto con la solita antifona, rincarando la dose dicendo che sarei folle ad interrompere nuovamente la psicoterapia in questo momento cruciale del mio percorso.
La mia condizione attuale è questa:
.Umore depresso quasi tutto il giorno, quasi tutti i giorni.
.Marcata irritabilità
.Fragilità emotiva
.Difficoltà a concentrarmi
.Derealizzazione cronica ,che si manifesta anche attraverso processi di pensiero tesi a confermare la tesi secondo la quale la realtà sarebbe solo un frutto della mia immaginazione.
. Blocco totale (da anni) dell'attività sessuale
.Difficoltà relazionali
La mia idea al momento sarebbe quello di non intraprendere nuovamente la psicoterapia di gruppo col vecchio psichiatra e di rivolgermi per un consulto ad un diverso psicologo-psicoterapeuta.
Sperando di essere stato il più possibile esaustivo mi scuso per l'estrema lungaggine. Attendo qualsiasi risposta e vi ringrazio in anticipo per l'attenzione concessa.
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro ragazzo,

quali sono state le motivazioni fornite dal collega per inserirla in un contesto di psicoterapia di gruppo?

Mi sembra di capire, da quanto dice, che i benefici inizialmente avuti siano legati al miglioramento degli aspetti affettivo-relazionali che hanno, probabilmente, facilitato anche una parziale remissione dei sintomi di natura ansiosa.
Questo potrebbe essere l'obiettivo che, a suo tempo, vi eravate, più o meno esplicitamente, fissati.

Oggi, mi sembra, tuttavia, che le sue richieste vadano in tutt'altra direzione ed il suo malessere abbia bisogno di un approccio individuale.
Il fatto che lei nutra dei dubbi sul riprendere la terapia con il medesimo professionista, credo sia significativo; e allora le chiedo "perché questi dubbi? Cosa la tiene legato ancora a lui?".

E' chiaro che la mia è una domanda un po' provocatoria che vuole spingerla ad una maggiore riflessione sulla sua richiesta di consulto.

Il fatto stesso che lei ci scriva, oltre a quanto scrive, mi sembra sintomatico di una richiesta di accogliemento "privilegiato" che suggerirebbe un approccio individuale, e non di gruppo.

Ha parlato con il collega che l'ha seguita della possibilità di un approccio di questo tipo o il collega lavora solo con gruppi?

Da qui, a distanza e senza conoscerla, sono tutte ipotesi... ma spero possano fornirle spunti di riflessione.

Restiamo in ascolto.

Un caro saluto


Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com

[#5]
dopo
Utente
Utente
Grazie a tutti per le celeri risposte.
Per rispondere al Dott. Callina:

>quali sono state le motivazioni fornite dal collega per inserirla in un contesto di psicoterapia di gruppo?<
L'unica motivazione da sempre fornita è stata quella secondo cui la terapia di gruppo è "più veloce".

>Il fatto che lei nutra dei dubbi sul riprendere la terapia con il medesimo professionista, credo sia significativo; e allora le chiedo "perché questi dubbi? Cosa la tiene legato ancora a lui?"<
I miei dubbi riguardano la possibilità che, riprendendo la medesima terapia con il medesimo specialista, io possa non risolvere i problemi che affliggono il mio quotidiano e che da anni oramai non si riescono ad intaccare. Ciò che mi tiene legato a lui è la paura di sbagliare andando contro il suo parere. Infatti, come ho scritto sopra, lui ritiene che farei un grave errore a non riprendere la terapia con lui in questo momento.

>Ha parlato con il collega che l'ha seguita della possibilità di un approccio di questo tipo o il collega lavora solo con gruppi?<
Il medico lavora anche facendo delle sedute individuali ma mi ha proposto di riprendere il gruppo. Non mi ha fornito una motivazione esatta però.
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro ragazzo,

<<lui ritiene che farei un grave errore a non riprendere la terapia con lui in questo momento.>>

non posso conoscere le ragioni del collega rispetto a questa opinione... tuttavia la decisione spetta solo a lei, e a nessun altro.
Se lei nutre dubbi rispetto alla possibilità di poter risolvere il suo malessere riprendendo la terapia di gruppo, direi che parte già con il piede sbagliato.

A volte le risorse tra terapeuta e paziente, anche in un setting individuale, si esauriscono in modo del tutto naturale; bisogna prendere atto, entrambi, terapeuta e paziente, che forse la strada per il benessere del paziente è un'altra.

Ripeto, io non conosco le motivazioni del collega... ma quello che sento dalle sue parole è una volontà a non voler proseguire in questo percorso, inquinata solo dal timore che il professionista possa avere ragione perchè in una posizione di "superiorità".

Forse anche questo aspetto di affidarsi all'altro e a non riuscire a prendere delle decisioni, a dubitare delle sue scelte, fa parte del suo modo di "stare nel mondo" e di "stare con se stesso" che andrebbe approfondito.
Cosa ne pensa?

Dal canto mio, pur non conoscendola e con i pochi elementi a disposizione dettati dai limiti del consulto online, non sento in lei la motivazione necessaria che è *indispensabile* affinchè il processo di cura dia i suoi frutti.

Forse può provare a contattare un altro professionista della sua zona e vedere come si sente, che grado di empatia riesce ad instaurare in un percorso individuale e poi, serenamente, decidere come procedere.

Restiamo in ascolto.

Un caro saluto