Amore ambivalente

Buongiorno, ho 33 anni e sono gay. Sto vivendo una relazione da un anno con un ragazzo più giovane di me di 4 anni, che in questi ultimi mesi si sta rivelando molto travagliata. Almeno per me. Si percepisce da ambo le parti che siamo innamorati, e l’attrazione fisica è reciprocamente molto intensa. ma io sono l’osso duro della coppia. Quello più cupo, silenzioso, introverso, emotivo. Lui è espansivo, intelligente, spiritoso, e logorroico. Scrivo queste righe perché mi sono reso conto di aver adottato da tempo un comportamento ambivalente nei suoi confronti, è come se mi fossi sdoppiato: lo amo e lo odio intensamente allo stesso tempo. Percepisco vicinanza da parte sua, mi mette al di sopra di ogni cosa, vuole andare a vivere con me, mi dice ogni giorno che sono la persona più importante della sua vita, mi fa capire quanto sono fortunato al giorno d’oggi ad avere qualcuno accanto che mi comunica con sincerità parole di questo tipo: mi fa sentire amato, in senso profondo e completo. Ed è tutto ciò che nella vita ho sempre desiderato. Eppure sento dentro di me una forza di pari intensità che mi chiede di allontanarmi da lui, che mi genera forte ansia, che mi fa saltare a volte il sonno e l’appetito, e mi fa comportare in modo assurdo: mi sono reso conto che proietto su di lui i miei stati d’animo negativi considerandolo dunque colpevole. Lo trasformo cioè in bersaglio delle mie ansie, in oggetto di sfogo. Il risultato è che litighiamo quasi ogni giorno, ma lui alla è sempre lì pronto alla fine a risolvere la questione. Mi sembra quasi che me ne stia approfittando del fatto che non mi molla: siccome so che non lo fa, allora sono più sicuro e tranquillo nel colpirlo. Questa situazione ci sta però stancando molto. Mi sembra di fare un passo avanti e uno all’indietro, con il risultato di restare immobile. A volte mi domando se è proprio questo il problema: accettare che esista dentro di me una parte che teme di perdere la propria libertà, che ami la solitudine e il silenzio senza sentirsi un soggetto “strano” per questo; accettare l’idea di essere immobili, non fare per forza un passo avanti, ma semplicemente rimanere fermi e osservarci, vivere. È uno stato sofferente il mio soprattutto perché gli atteggiamenti ed emozioni che vivo ricalcano a pieno quelli vissuti nella precedente relazione terminata due anni fa e durata molto a lungo. È come se fossi diventato consapevole che il problema è tutto mio: nonostante io trovi dei compagni che vogliono seriamente addirittura vivere con me, si innesca una forza contraria, repellente, che entra in reazione con il mio desiderio di amare ed essere amato, portando all’esasperazione il rapporto stesso.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buongiorno,

il suo racconto parla di alcuni temi importanti che riguardano la sua persona e la coppia. In questa sede scelgo di lasciarle alcune suggestioni evocate in me dalle sue parole.

Un pensiero che voglio comunicarle riguarda la descrizione che lei fa di sé e del suo ragazzo. Descrive se stesso come "più cupo, silenzioso, introverso, emotivo" e lui è "espansivo, intelligente, spiritoso, e logorroico". Se ha descritto se stesso come introverso e il suo ragazzo come estroverso, mi hanno colpito le singole definizioni che ha utilizzato. Vorrei soffermarmi con lei su questo.

La prima caratterizzazione riguarda l'intelligenza di lui. Leggendo questa parola, mi sono chiesto come giudica se stesso, se non accetta fino in fondo il fatto di essere introverso ad esempio, quasi come se questo fosse il segno di una minore intelligenza o capacità.

La seconda caratterizzazione, che vorrei mettere a fuoco, riguarda l'aspetto logorroico che sottolinea di lui. Anche in questo caso, questa descrizione mi ha lasciato alcune sensazioni e fatto porre due domande. Sente di poter prendere i suoi tempi o, in alcuni casi, non si sente ascoltato nei suoi bisogni? E inoltre, anche in relazione al discorso sull'intelligenza, lo sente troppo perfetto al contrario di lei?

È una ricchezza quando alcuni tratti della personalità sono complementari nella coppia. Allo stesso tempo però questa differenza netta può generare un confronto con l'altro che può diventare difficile, soprattutto se non si dà valore a noi stessi.

Un ulteriore pensiero che voglio lasciarle riguarda il fatto che una coppia implica un legame, che riduce inevitabilmente la propria libertà. Questo non vuol dire non averne più, ma bisogna comunque tenere in conto che non si è più soli. Una quota di ambivalenza, potremmo dire di complessità relazionale, è umana.

Infine, un'ultima riflessione. Parla di lui come suo bersaglio, come se lei a volte andasse all'attacco. Sembra sottolineare che diventa distruttivo, desiderando invece modificare questo suo comportamento, che vi sta stancando. Lui diventa il "colpevole", forse poiché genera in lei alcuni vissuti che non riesce ancora a collocare dentro di sé, ad ascoltare e magari ad accettare. Per utilizzare una sua parola, invece di "proiettare", sente importante "reintroiettare" ciò che proietta e dare un senso ai suoi vissuti. Questo è un ulteriore punto cruciale, su cui sarebbe necessario fermarsi dal vivo.

Sarebbe anche interessante, in una sede idonea, approfondire la sua storia precedente e le similitudini che riconosce con l'attuale.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it