Padre narcisista o figlio paranoico?

Buonasera, gentili Psicolgi.

Vorrei esporVi un dubbio che sta appesantendo la mia vita ormai da tempo, ed ora più che mai.

Mio padre è una persona secondo me molto insoddisfatta dei suoi risultati, sempre pronta ad intavolare litigi per banalità, per poi, con altrettanta imprevedibilità, tornare almeno in apparenza buono e amorevole, quasi indifeso.
Poche volte ammette il proprio torto, se ne ha, e quando ha ragione non transige minimamente.
I suoi "sbalzi d'umore" influenzano la serenità della famiglia, che quindi lo asseconda sempre per paura della sua "testa calda".
Quando qualcuno non risponde alle sue telefonate si arrabbia molto e a lungo, mentre più volte è capitato che resti irreperibile mentre si trova in luoghi dove è facile essere in pericolo, come da solo in campagna o da solo in auto in piena notte, facendo spaventare mia madre.
In questi casi, non avendo ragione accampa delle giustificazioni e se non vengono accettate siamo noi "esagerati".
Con me ha sempre alternato l'atteggiamento, a parole, di un padre buono, che desidera il meglio per me, ama le carezze, l'affetto eccetera a momenti di critica estrema.
Nel mio periodo adolescenziale è stato un continuo di litigi e questioni che apriva per sciocchezze per poi arrivare al dire cose come "vali 2 lire", "non hai regole", "sei strano e presuntuoso", "sei tutto da rifondare", "stupido" e chi più ne ha più ne metta.
Spesso, quando doveva andare a lavoro di prima mattina, mi attaccava prima di uscire, come se lo facesse apposta per lasciarmi arrabbiato.
In alcuni momenti, paonazzo in viso, mi diceva "D'ora in poi ti starò addosso, giuro che ti cambio! ".
Ora, però, voglio mettermi in dubbio prima di etichettarlo come brutta persona, anche perchè se avessi ragione significherebbe di trovarmi davanti ad una specie di mostro.
Ultimamente ho l'impressione che utilizzi un comportamento manipolatorio nei miei confronti.
All'università mi ha descritto metaforicamente come il suo "operaio che DEVE studiare" come se non dipendesse da me, anche se in realtà è così.
Mi sono documentato a riguardo su internet e sembra rientrare nella descrizione del padre narcisista.
Suo padre è stato un uomo molto controllante ed egoista nei suoi confronti, e questo è un dato di fatto.
C'è da dire che io mi sembro un po' paranoico: quando vedo qualcosa che non va cado spesso preda di sospetti, sono una persona che si fa molti dubbi, a volte vedo del marcio in alcune sue semplici parole o occhiate, quindi sono nel pallone più totale, in un limbo tra il dubbio nei miei confronti e quello nei confronti di mio padre.
A parte il consulto di uno psicologo faccia a faccia, che al più presto mi attiverò per ricercare, cosa potreste dirmi, ipotizzare o consigliarmi sulla base della situazione che ho descritto?
Le informazioni che si trovano online riguardo il Narcisismo sono valide o fuorvianti?
Ve lo chiedo per diradare anche solo di poco la nebbia di confusione che ho in testa.
Sarebbe già molto.
Grazie.
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Dr. Giovanni Federico Psicologo 54 4
Gentile utente,

comprendo il suo stato d’animo, nonché l’insieme di dubbi, perplessità, insicurezze che una situazione come quella da lei descritta possa generare.

Tuttavia, più che individuare un’etichetta diagnostica per suo padre (peraltro anche piuttosto articolata per una diagnosi online com’è quella del disturbo narcisistico di personalità), mi soffermerei sulla sua persona, nella possibilità di intercettare le modalità di pensiero e le sfumature emotive che rendono questa situazione poco tollerabile per lei.

In prima istanza vorrei porre alla sua attenzione come una critica, anche se formulata con un linguaggio forte , non debba essere necessariamente considerata una minaccia per lei e per la sua autostima. Potrebbe, anzi, trovare una ridefinizione cognitiva nel momento in cui la stessa divenisse strumento in grado di attivarla in termini motivazionali.

Inoltre, se da un lato ha offerto una descrizione piuttosto particolareggiata di quelle che sono le modalità d’interazione dialettica di suo padre, la narrazione è priva di un elemento altrettanto importante del sistema famiglia: sua madre. Come si comporta in queste circostanze? È d’accordo con suo padre? Prende posizioni a sua difesa ?

Lei dichiara che suo padre le sta appesantendo la vita da ormai molto tempo e che solo ora questa pesantezza ha raggiunto l’acme. Sarebbe interessante sviscerare meglio questo passato.

Aggiunge, inoltre, che suo padre le sembra una persona molto insoddisfatta. Sulla base di cosa? Nell’ambito del vostro sistema famiglia, vi sono discussioni in tal senso? Suo padre parla con lei o con sua madre di cose per le quali si possa ravvisare uno stato di insoddisfazione?

Di qui sarebbe quindi assolutamente utile, a mio avviso, approfondire le modalità e/o le strategie di comunicazione che adoperate in famiglia. Parlate di queste cose? Lei ha mai provato ad esprimere chiaramente il suo stato di malessere, evitando l’uso della provocazione e/o dello scontro? Come si pone suo padre in questo senso? E sua madre? E lei, come si sente inserito nel contesto della comunicazione familiare? Si sente compreso? Incompreso? Vi sono alleanze più o meno esplicite?

In definitiva, credo che un percorso con un professionista, dal vivo oppure - stante la situazione attuale - in via telematica, possa diradare quella nebbia di cui parla e restituirle maggiore serenità.

La invito, infine, a riflettere sugli aspetti che - nei limiti di un primo consulto a distanza - ho provato a mettere a fuoco e, se vuole, a tenermi aggiornato.

Cordiali saluti.

Giovanni Federico, PhD
Web: https://www.neuropsicologo.net
Mobile: (+39) 349 85 27 200

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dopo
Utente
Utente
Grazie per la risposta, Dottore,
ricordo che quando ero bambino, pur volendo bene mio padre, non riuscivo a perdonarmi il fatto che, la sera, se lui, come capitava spesso, restava fuori e per cena c'eravamo solo io, mia madre e mia sorella, io ero felice. In quelle situazioni, infatti, si creava un'atmosfera di pace e serenità più unica che rara, che si infrangeva all'istante quando tornava a casa.
Nella fase adolescenziale, in cui le critiche di mio padre erano più fitte e quasi quotidiane, io le percepivo come un disturbo, un qualcosa di fastidioso che minacciava il mio equilibrio emotivo. Se abbiano avuto conseguenze negative sulla mia personalità questo non saprei dirlo, ma di fatto sono un ragazzo molto introverso e spesso, socialmente, manco di assertività e iniziativa. Ripensando a come sono cresciuto, credo di aver sviluppato da solo e "di nascosto" dalla mia famiglia i tratti caratteriali, gli interessi e i gusti che oggi sono in me predominanti. In famiglia sono sempre stato istintivamente chiuso, ho imparato ad esprimermi poco, a dissimulare, per poi lasciare libera la mia personalità una volta fuori dalla portata di mio padre, mia madre o mia sorella, di due anni più piccola. Nel contesto domestico ho sempre preferito, per quanto possibile, stare per conto mio, anche a costo di uscire a passeggiare senza una meta, pur di restare da solo con me stesso.
La mia vita fuori dalla famiglia è molto equilibrata, o forse semplicemente poco attiva. Ho vari amici, ma solo con pochi mi sento a mio agio, non ho mai avuto dipendenze o condotte negative. Non ho mai avuto una relazione con una ragazza, ma se la avessi so che istintivamente tenderei a tenerla gelosamente segreta agli occhi dei miei, soprattutto di mio padre o, se non possibile, ad alzare muraglie di privacy e di cose non dette.
Per quanto riguarda mia madre, lei ha sempre difeso mio padre, in una maniera che, ma questa è solo una mia impressione, mi sembra a volte cieca e acritica. Spesso le sue critiche sono ben diverse da quelle di mio padre, ma non sembra accorgersene. Se dipendesse esclusivamente da lei, so che molte questioni nemmeno ci sarebbero.. comunque sia, lo difende sempre, salvo casi rarissimi. Capita anche che lui incolpi lei di essere troppo indulgente nei miei confronti.
Credo che mio padre si aspettasse di più dalla sua vita, questa è una mia idea, perchè lui non lo da a capire e non ne parla spesso in famiglia, ma ne sono molto convinto. Inoltre, la figura di suo padre, mio nonno, è stata fortemente ingombrante e zavorrante nella sua vita, questo è sicuro.
La storia della mia famiglia è costellata di episodi in cui io cerco di fare valere il mio punto di vista, o semplicemente difendere le mie ragioni, per poi vedere puntualmente precipitare la situazione in pesanti sfuriate di mio padre, piene di insulti, di paura e tensione. Non voglio dire di essere lo zerbino di una famiglia, maltrattato e incompreso, questo no, ma di sicuro non ho mai potuto sperare di far valere un mio punto di vista se cozzava anche minimamente con quello dei miei, soprattutto di mio padre. Mia sorella non sembra avere il mio stesso livello di problemi, pur essendo più piccola.
Io, di contro, mi sento un po' paranoico, ma purtroppo, non mancando in ogni caso una struttura razionale ai miei sospetti, ai miei disagi eccetera, non riesco a distinguere tra pare mentali o soprusi ricevuti, e dubitare ingiustamente di un genitore o uno schema familiare è pericoloso tanto quanto lo sarebbe scaricare su me stesso colpe altrui, diventandone così doppiamente vittima.
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Dr. Giovanni Federico Psicologo 54 4
Gentile utente,

ho letto con attenzione la sua narrazione ed ho come la sensazione che lei, in effetti, non sia mai esistito in qualità di figlio nell’ambito del suo sistema familiare, assumendo una dimensione inscrivibile in uno psichismo da terzo genitore ed ingaggiando, conseguentemente, una battaglia - con quote d’odio più o meno sommerse - nei riguardi di suo padre, evidentemente da lei vissuto come una figura con la quale competere più che come una risorsa in grado di supportarla.

Devono essere parecchie le quote energetiche che impegna in questa lotta. La domanda da porsi, a questo punto, é decisamente semplice: cui prodest?

Continua a sottolineare l'aspetto centrale del suo racconto, già ripreso nel precedente messaggio, relativo al peso delle critiche di suo padre. Aggiunge, però, una trama emotiva, nella forma di "qualcosa di fastidioso che minacciava il suo equilibrio emotivo". Segue, quindi, un’ipotesi accusatoria velata nella forma dell’incertezza: "Se abbiano avuto conseguenze negative sulla mia personalità questo non saprei dirlo, ma di fatto sono un ragazzo molto introverso e spesso, socialmente, manco di assertività e iniziativa".

Si è mai chiesto da dove origini la sua ridotta tolleranza alla critica? Tutto sommato, al netto delle modalità robuste attraverso cui suo padre esprime il suo dissenso rispetto a determinati aspetti della sua vita, questi continua a garantirle un’esistenza da figlio che lei parrebbe disconoscere.

A questo punto, il bilancio cognitivo degli eventi deve tener conto, da un lato, delle sue ferite narcisistiche, presumibilmente generate dalla sua ridotta tolleranza alla critica, e, dall’altro, della posizione di convenienza materiale e psichica connessa al ricevimento di determinati benefit (e.g., pagamento delle tasse universitarie, piatto a tavola a pranzo ed a cena, tetto sotto cui stare, etc.).

Per dirla in altro modo, la valutazione delle circostanze che lei descrive determina la possibilità di attivare un semplicissimo algoritmo cognitivo scaturente dalla seguente meta-cognizione: "posso sopportare le critiche di mio padre tenendo conto dei benefici che da ciò ne ricavo?". Si tratta di fare i conti con uno degli strumenti cognitivi più umani (e potenti) che esista: il compromesso.

Ad ogni modo, non disperi. Qualora l’esito di questa riflessione fosse negativo ed il relativo compromesso reputato inattuabile, vi sarebbero delle strategie comportamentali percorribili ed assolutamente congrue ad attivare processi di profonda ristrutturazione cognitiva. Qualche suggerimento:

1. rendersi autonomo economicamente, ovvero trovare un lavoro;
2. andar via di casa, ovvero pagare un fitto;
3. continuare a studiare, ovvero pagarsi autonomamente gli studi;
4. rispondere solo a sé stesso.

Siamo nell’ambito del più genuino (ed efficace) approccio cognitivo-comportamentale, con elementi di psicologia della personalità (la sua e solo poi, eventualmente, quella di suo padre) che necessiterebbero di adeguato approfondimento.

Mi preme, inoltre, farle osservare come lei abbia, in un precedente consulto della scorsa settimana, esposto grossomodo le stesse criticità, ricevendo dalla collega riscontri più o meno sovrapponibili ai miei che, però, probabilmente non incontrarono le sue aspettative. Noti come, in un certo senso, si riproponga in questa sede il meccanismo di scarsa tolleranza alla critica summenzionato, stavolta nei termini della mancata aderenza delle risposte ricevute al suo schema cognitivo. Di nuovo, siamo nell’orbita della ridotta capacità di gestire la frustrazione.

In definitiva, prima di aprire un terzo consulto (magari stavolta dal titolo "Figlio narcisista, padre paranoico", dal momento che invertendo gli addendi il risultato non cambia), La inviterei a rimanere su quest’ultimo aspetto che, a mio avviso, potrebbe essere meritevole di attenzione clinica nell’ambito di un percorso da farsi con un professionista, dal vivo o telematicamente.
Valuti concretamente questa possibilità.

I miei più cordiali saluti.
[#4]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dottore,
La ringrazio per la risposta.
Riguardo il mancato riconoscimento di me come "terzo genitore" di me stesso nella mia famiglia, credo che lei possa avere ragione. Spesso mi comporto in modo poco auto-responsabile, forse perchè non mi vengono lasciate in mano le redini della mia vita, a causa di perverso controllo o al contrario di genuina iperprotettività, o perchè semplicemente non mi accorgo di averle già in mano... sinceramente non saprei rispondere.
Le quote energetiche di questa lotta, sì, sono enormi, questo è sicuro. Non ho più la forza di fare niente, né studiare, né altro che non sia un depresso oziare o, come dicevo alla sua collega, giocare a scacchi (in maniera prima intensa, ormai saltuaria). Questa, però, non è da intendere come una "vacanza abusiva" a spese dei miei genitori, che pagano mentre me la spasso. Vorrei che sia chiaro, se non lo è già, che non me la spasso affatto, e questi ultimi tre anni sono stati i peggiori della mia vita. Non solo i miei spendono soldi, infatti, ma io impiego energie e soprattutto tempo prezioso. Quindi, pur adottando un'ottica egoistica, non è per nulla conveniente per me tutto questo. Sono riconoscente dell'aiuto economico che mio padre e mia madre mi forniscono, un aiuto, col passare del tempo, mi rendo conto anche di questo, sempre meno scontato. Il mio discorso si incentra più che altro su parametri psicologici, principalmente una pressione psicologia che reputo superflua in ambito universitario, iniziata già tre anni fa. Come ho spiegato nell'altro consulto alla disponibilissima Dottoressa Potenza, quello che mi chiedo è se questa pressione sia "normale" ma interpretata da me come nociva perchè paranoico, o se sia stata costruita ad hoc da mio padre per bloccarmi o modificare maliziosamente il mio approccio allo studio facendolo diventare meccanico e sterile dal punto di vista creativo, causa un suo presunto narcisismo. Non prediligo, razionalmente, nessuna tra le due ipotesi e proprio per questo sono confuso. Tra le due, però, emotivamente parlando, come ho detto anche alla sua collega, mi rallegrerebbe più quella del "me in torto" proprio perchè su di me posso lavorare, su mio padre non potrei.
Ho aperto questo consulto, pur avendone già parlato con la collega semplicemente perchè ho ritenuto questo tema più generale di quello universitario specifico dell'altro consulto. Inoltre volevo sentire "più campane", tutto qui. Ora che lei riconferma quanto detto dalla Dottoressa, sono tutt'altro che deluso, anzi, mi sento rincuorato, perchè ciò che voglio non è ragione, ma chiarezza. Non avrò, quindi, motivo di aprire nessun terzo consulto, anche perchè non è mia intenzione quella di abusare della disponibilità di voi medici.
Per quanto riguarda, invece, la bassa tolleranza alle critiche, me lo dicono anche i miei, e il fatto che lo deduca anche lei dal poco che legge mi fa credere che sia effettivamente così.
Inoltre, spesso mi ritrovo a rimuginare su singole parole, gesti o linguaggi non verbali di mio padre, ricollegandoli ad una sua presunta mentalità narcisistica o, comunque, malafede, con scopi manipolatori. Questo sospettare so, però, essere potenzialmente sintomo anche di una mia presunta paranoia.
Lei parla di "ferita narcistica", crede che il mio possa essere narcisismo oltre che paranoia? Capita spesso che un narcisista veda gli altri come narcisisti?
In ogni caso, grazie per la disponibilità.
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Dr. Giovanni Federico Psicologo 54 4
Gent.mo utente,

entrare nel merito di come un narcisista "veda gli altri" (ammesso che li veda) aprirebbe uno dei capitoli più densi della letteratura clinica, non restituendole alcun reale beneficio. Ciò che è certo (e chiuderò subito la parentesi), è che un narcisista ha modalità e strumenti cognitivi di individuazione di sé negli altri (i.e., usare l'altro come specchio) assolutamente fuori dal comune...

Ribadisco anche in questa sede il consiglio di concentrare l'attenzione sui suoi schemi di pensiero e sui correlati psicologici connessi alla ridotta tolleranza alle critiche, più che sull'analisi dei tratti personologici di suo padre.

Sottolineo ancora, infine, quanto possano rivelarsi efficaci, in questa situazione, l'algoritmo cognitivo di cui alla mia precedente risposta ed i consigli che le sono stati forniti la scorsa settimana dalla collega, Dott.ssa Potenza.

I miei più cordiali saluti.
[#6]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dottore,
posso immaginare la complessità dell'argomento.
Ad ogni modo, farò tesoro dei consigli suoi e della Dottoressa Potenza, impiegandoli, per quanto mi è possibile, per risolvere o quantomeno migliorare questa mia problematica in atto.
Grazie nuovamente e buona serata.
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