Sensi di colpa irrisolti

Ho 31 anni, convivo ormai da un anno col mio compagno.
Vengo da una famiglia all'apparenza normale, ma con molte complicazioni dentro: in casa coi miei vive tutt'ora mio nonno 90enne assolutamente non autonomo e continuamente bisognoso di assistenza.
Una situazione terribile, contando che i miei non hanno voluto fin dall'inizio cercare una persona che se ne occupasse, confidando di suddividere questi compiti in famiglia (me, mia sorella, mia madre e mio padre).
I miei lavorano praticamente h24 e non hanno mai voluto modificare il loro orario lavorativo (pur potendo con le leggi previste); mia sorella studia h24 e io anche, stavo per consegnare la tesi e lavoravo.
La notte non era possibile chiudere occhio, a causa delle urla continue di mio nonno.
Ho cominciato ad avanzare qualche proposta ai miei per potenziare la sorveglianza al nonno tramite un'apposita persona, o se addirittura cercare una struttura dove poterlo comunque andare a trovare sempre.
Da qui è cominciata una battaglia senza fine: avanzando queste proposte, io non sarei stata degna di vivere in una famiglia cristiana (così mi è stato detto); io, quindi, sono una persona egoista e immatura, che non vuole bene a nessuno e pensa solo a se stessa.
Secondo i miei, infatti, io avrei dovuto essere pronta a non lavorare per stare dietro al nonno (se necessario, lavorare di notte), senza lamentarmi più di tanto; inoltre, avrei anche potuto evitare di vedere il mio ragazzo o i miei amici la domenica pomeriggio, visto che avevo così tanto lavoro da fare.
Possibile che a quasi 30 anni la famiglia possa ancora decidere di tenerti in gabbia come se tu fossi una sorta di "mezzo a disposizione" per le necessità, non considerando che potresti potenzialmente avere anche una tua vita?
Poco tempo dopo la laurea, trovo un lavoro che mi dà uno stipendio decente e decido di andare a convivere.
Non ne hanno voluto sapere nulla, non mi hanno aiutata a portare nell'altra casa nemmeno un lenzuolo.
Mi sono sentita completamente sola e in colpa per mesi e mesi.
Dopo il lockdown dello scorso anno, ho fatto fatica a rientrare in casa dopo tre mesi che non vedevo i miei; di nuovo, mi sono sentita colpevole di tutto.
Le discussioni per un po' sono continuate, anche se al momento, però, le cose sembrano essersi via via aggiustate e io da quando vivo sola mi sento molto meglio, molto più sicura di me.
Per il nonno, è stata trovata una persona quasi fissa, a parte la notte che ancora non c'è nessuno.
Il motivo per cui vi scrivo è che ancora la notte non riesco a dormire perché sento di non aver "smaltito" tutti i sensi di colpa che mi sono portata dentro per questi mesi: nonostante la distanza che ho messo coi miei abbia funzionato come edulcorante di una situazione impossibile, io ancora mi sento una persona orribile per non essere disponibile come loro vorrebbero.
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Dr. Diego Chiariello Psicologo, Psicoterapeuta 5
Salve, da quanto ben esposto è evidente come per lungo tempo, forse una vita, lei abbia svolto la funzione di "ammortizzatore" familiare. Certo, il suo racconto parte dal periodo legato alla malattia del nonno, ma da quello che racconta l'intero nucleo familiare non si è posto minimamente il problema dei suoi impegni e più in generale del fatto che anche lei avesse una vita di cui occuparsi: La sua (quasi non ne avesse una).
Ognuno ha gestito la faccenda probabilmente nella maniera più abituale: relegare a lei l'impegno assai complicato di assistere il nonno, specie durante un momento storico della sua vita già gravido di impegni.
Eppure, è riuscita a mettere una distanza spaziale da questa dinamica familiare (una cosa per nulla scontata), riprendendosi il suo tempo.
Il vissuto di colpa che adesso sperimenta, andrebbe riconfigurato alla luce della sua storia di vita, per metterne a tema i tratti "costituzionali" che da tempo immemore probabilmente l'accompagnano.
Nell'aver scardinato un sistema familiare che si regolava attraverso di lei, facendo leva unicamente su di lei, posso solo immaginare il tenore emotivo che oggi vive nelle comunicazione con la sua famiglia: "quel sentirsi una persona orribile" come lei si definisce.
In un rapporto emotivamente regolato sulla dialettica " solo quando ci sei per noi, non sei una figlia ingrata", mi chiedo come la faccia sentire oggi il suo essersi (fortunatamente) sottratta al ruolo di "ammortizzatore".
Verosimilmente, bene da un lato e contemporaneamente orribile e in colpa.
Sarebbe utile e necessario approfondire attraverso un percorso terapeutico questi aspetti che non possono che essere "interpretativi" in questo spazio (dato che andrebbero raccontati e configurati all'interno di una relazione terapeutica).
Per dare finalmente senso e chiarezza al suo sentirsi in colpa appena si avverte (e la fanno avvertire) come una persona non disponibile.
Infatti, come ha ben chiaro (per quanto le sfuggono le ragioni e motivazioni), oggi è lei stessa a sentirsi una persona "orribile" per il fatto di non corrispondere alle loro ( e alle sue stesse) aspettative di disponibilità.
Le auguro di fare quanto prima chiarezza in modo da appropriarsi del malessere che ancora non le consente di vibrare in sintonia con se stessa e la sua vita tutta da vivere.

Dr. Diego Chiariello
Psicologo-psicoterapeuta

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dopo
Utente
Utente
Gentile dott. Chiariello,
la ringrazio molto per la sua risposta.
In quello che dice mi ci ritrovo molto: è vero, mi sento bene per aver ripreso in mano la mia vita, ma allo stesso tempo molto in colpa per aver "abbandonato" i miei in una situazione complessa. Sono consapevole che la gestione della situazione che c'è nella mia famiglia non è mia responsabilità, ma allo stesso tempo, quando ho proposto una "soluzione" ai miei, in modo che la cosa (per quanto dolorosa e difficile) non diventasse una malattia per tutti, ho sentito una spinta dentro di me che portasse a un cambiamento delle cose. Ho sentito veramente tanto l'esigenza di migliorare la situazione, non solo per me, ma per tutti: mia madre è distrutta, è completamente assorbita dal lavoro (a volte scrive anche al computer anche mentre mangia) e quando potrebbe avere un momento di svago ha il nonno da badare; mio padre per lavoro esce di casa la mattina alle 8 e torna alle 22 la sera; mia sorella studia tantissimo e vive chiusa in camera sua.
Sono convinta che se non avessi fatto le mie scelte di indipendenza, forse io e il mio ragazzo ci saremmo lasciati, visto poi il lockdown che c'è stato (e il fatto che sicuramente in casa, per il covid, non avrebbero preso bene il fatto che avessi contatti con lui - ma questo poteva anche essere giustificato, sebbene complesso da gestire).
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dopo
Utente
Utente
[seguito della risposta]
Diciamo, insomma, che ho proprio difficoltà a inquadrare la mia indipendenza mentale dalla famiglia. E ho paura che questo abbia ripercussioni anche nel rapporto che ho col mio fidanzato.
Senza contare che tutte le volte che vado a casa dei miei, torno sempre con l'amaro in bocca, come quando fanno battute sul mio lavoro, sul fatto che secondo loro guadagno troppo per quanto faccio (e i giovani che fanno il loro stesso lavoro, ovviamente secondo loro molto più duro del mio, guadagnano ingiustamente meno).
Perché dovrei sentirmi dire queste cose? Non credo che siano cose che un genitore normale direbbe a un figlio.
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Dr. Diego Chiariello Psicologo, Psicoterapeuta 5
Gentile utente, ciò che adesso le occorre per comprendere il suo ruolo rispetto alla sua famiglia (ma soprattutto a se stessa e ai suoi vissuti), a mio avviso, è un breve percorso terapeutico presso un professionista delle sue zone.
Rispetto alla situazione del nonno, come lei può ben vedere, la soluzione si è tranquillamente trovata e nessuno ha dovuto sacrificare tempi e impegni. Una soluzione che si è palesata soltanto quando lei si è (fortunatamente) sottratta, non semplicemente ad una richiesta, ma ad una "missione" che non poteva soddisfare senza sacrificare la sua vita.
Inoltre, lei parla di abban-dono (per quanto sia virgolettato), mentre nella realtà dei fatti, lei si è semplicemente fatta dono della la possibilità di costruirsi il suo progetto di vita, come è giusto che sia.
Capisco che lei avverte comunque tutto questo come un abbandono nei confronti della famiglia con relativi sensi di colpa ( specie poi se tali vissuti sono alimentati da considerazioni genitoriali sprezzanti), e proprio per questo, al di là di questa mia lettura "superficiale", credo le gioverebbe fare maggiore chiarezza, per cominciare a comprendere per davvero la sua posizione in queste dinamiche che ha chiaramente a cuore ma che nel frattempo le tolgono il sonno.
Un augurio per il suo meritato successo lavorativo e di coppia, e il rinnovo ad affidarsi a un professionista per un altrettanto meritato benessere esistenziale.