La solitudine è la mia comfort zone ma ne voglio uscire

Gentili dottori, dottoresse

Sono qui per condividere con voi il peso che grava sul mio benessere psicologico.
Vivo all'estero per ragioni professionali, e sebbene questa scelta mi abbia aperto a nuove opportunità, ha anche scatenato una profonda solitudine nella mia vita.


La mancanza di legami significativi mi fa sentire sempre più isolato, e invece di incoraggiarmi a cercare nuove connessioni, la solitudine alimenta il timore di essere giudicato o respinto dagli altri.
Questo circolo vizioso rende ancora più difficile per me intraprendere nuove relazioni sociali.


Inoltre, non riesco a contattare i miei vecchi amici nella città dove sono cresciuto, temendo la loro reazione quando scopriranno che lavoro all'estero.
Vivere all’estero è disdicevole agli occhi di chi vive in Italia, e il fatto stesso che non mi sono fatto vedere per cosi tanti anni è motivo di imbarazzo.
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Dr. Mariateresa Di Taranto Psicologo 157 17 3
Gentile utente,

comprendo la sua difficoltà e come essa possa gravare su di sé.
Trasferirsi all'estero in effetti può aprire nuovi scenari, nuove opportunità, lavorative e non solo, ma come tutte le conquiste e le possibilità, comporta delle rinunce, delle perdite. La rinuncia del conosciuto e del familiare per aprirsi all'inedito e all'estraneo. La perdita di un posto che, seppur con i suoi limiti e le sue criticità, abbiamo forse conosciuto e sentito come una nostra casa, un nostro luogo. E insieme ad esso la lingua, la cultura, le abitudini, gli affetti.

Potrebbe aver colto uno snodo cruciale in merito al circolo vizioso per cui più si ritira dall'altro e dal legame, più tende a percepirli come minacciosi, e come risposta difensiva si chiude ancor più in sé stesso, innalza ancor più il muro che la divide dagli altri.
Questa solitudine che acutamente definisce la sua "comfort zone", ha però un altro risvolto, doloroso. E' intimamente collegata alla malinconia, alla nostalgia di quanto avrebbe potuto esserci e non c'è e per questo, forse ha i colori del rifiuto, della desolazione e dell'abbandono.

Mi dispiace che lei non riesca a contattare i suoi amici a causa di quello che molto probabilmente è in fondo solo un suo pregiudizio e un suo pensiero. Infatti, molte persone ammirano chi riesce a lasciare tutto, chi riesce ad abbandonare il proprio porto sicuro per trasferirsi altrove, lontano, in un porto sconosciuto. Per fare ciò infatti occorre una dose massiccia di coraggio, una capacità di adattarsi, di cominciare e ricominciare partendo da sé, magari disponendo di poco e niente e magari da quel poco o niente, riuscire a costruire tanto.

Io le suggerisco di contattare i suoi amici e provare a creare dei legami anche lì dove vive. Inizialmente ciò le risulterà difficile, in quanto sarà come abbandonare il proprio rifugio per uscire allo scoperto, per esporsi al mondo, agli altri e a tutti i rischi insiti in ciò: il rifiuto, la difficoltà a interagire e a sopportare la percezione di inadeguatezza. Tali rischi, tuttavia, si accompagnano a molti aspetti positivi, quali il piacere di ricongiungersi agli altri, di tornare a sentirsi parte di qualcosa e non più scollegati, di beneficiare della ricchezza delle relazioni, dei legami. E inoltre, non dimentichi che lei ha già abbandonato una volta il suo luogo d'origine per incamminarsi verso qualcos'altro. Provi a farlo una seconda volta.

Le suggerisco inoltre di prendere in considerazione l'ipotesi di rivolgersi ad uno psicologo, magari anche online, per farsi sostenere in questo momento delicato, per lavorare sulla sua percezione di inadeguatezza e magari anche per sanare e curare gli strascichi dovuti ai suoi distacchi.

Auguri per tutto.

Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it