Una telefonata allunga la vita ma... causa cefalea

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Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

Una telefonata allunga la vita” è stato uno spot-cult di successo lanciato nel 1993 ed apprezzato a livello internazionale, anche da Spielberg, che mostrava in un fortino della Legione straniera un condannato a morte che aveva chiesto, come ultimo desiderio, di fare una telefonata e che ovviamente… non finiva mai di parlare. Ma stare a lungo a telefono è esente da conseguenze?

Deepti Vibha, professore di Neurologia ad All India Institute of Medical Sciences, New Delhi, ha pubblicato il 4 Marzo 2020 su Neurology il lavoro Smartphone use and primary headache (https://doi.org/10.1212/CPJ.0000000000000816) con l’obbiettivo di determinare l’associazione fra l’uso del cellulare e l’insorgenza ex novo di cefalea o del suo aggravamento in pazienti che ne siano già affetti.

Il ricercatore è stato motivato a condurre questa ricerca basandosi sull’osservazione che pazienti e loro familiari riferiscono di un incremento della cefalea a seguito dell’uso del telefono cellulare.

In uno studio basato su un campionamento trasversale, svolto fra giugno 2017 e dicembre 2018, sono stati arruolati 400 pazienti, di età ≥ 14 anni, che risultavano già affetti da cefalea primaria, che include emicrania, cefalea di tipo tensivo ed altre forme di cefalea, e sono stati suddivisi in due gruppi.

Sono stati classificati SU (smartphone users, ossia utilizzatori di smartphone) 206 soggetti e come NSU (non-utilizzatori di smartphone) i restanti 194, che risultavano essere di età più avanzata e di livello culturale e socio-economico inferiore.

I SU sono stati ulteriormente suddivisi in base alla loro dipendenza dallo smartphone in "low SU" (score da 0 a 1) e "high SU" con score ≥1. 

La maggior parte degli NSU (n=130) usavano cellulari di precedente generazione (feature phone) mentre 76 non usavano alcun tipo di cellulare. Anche se nella popolazione di pazienti predominavano soggetti di sesso femminile, nel gruppo degli SU i maschi erano più numerosi in comparazione con il gruppo degli NSU, rispettivamente 39.3% vs 25.8% (P =.004).

 

A ciascun partecipante è stato somministrato un questionario sulle caratteristiche della cefalea e sulla terapia in atto.

L’end-point primario della ricerca era di stabilire se l’uso dello smartphone potesse essere associato ad una cefalea di nuova insorgenza o se avesse avuto un ruolo nell’aggravarne l’intensità.

Obbiettivo secondario era di determinare se vi fossero differenze nel bisogno di farmaci per la terapia preventiva e dell’attacco della cefalea.

Le caratteristiche della cefalea erano sovrapponibili in entrambi i gruppi, tranne che per una più elevata incidenza di forme di emicrania con aura nel gruppo SU (NSU: 15 [7.7%] vs SU: 36 [17.5%]; p = 0.003).

 

I ricercatori hanno trovato che il 96% dei soggetti SU hanno avuto maggior necessità di assumere analgesici rispetto all’81% del gruppo dei NSU, con un numero maggiore di pillole (8/mese vs 5/mese P = <. 001); inoltre negli SU è stato anche rilevato un più scarso effetto antidolorifico (NSU: 157 [80.9%] vs SU: 197 [95.6%]; p < 0.001).

Benché questi risultati necessitino di essere verificati da studi longitudinali ancora più approfonditi, essi tuttavia indicano che occorre considerare con una certa apprensione per la salute l’uso intensivo dello smartphone, che va incrementandosi sempre più rapidamente, essendo causa di un certo numero di sintomi di cui il più comune è la cefalea.

Heidi Moawad, professore alla Case Western Reserve University School of Medicine, Cleveland Ohio commenta che questa ricerca, seppur non definisca il meccanismo putativo dell’associazione fra l’uso del cellulare e la cefalea, pone comunque in evidenza che una associazione esiste e che una via per mitigarne gli effetti deleteri potrebbe risiedere nell’utilizzo di sistemi “hands-free” che non implichino una protratta tensione del collo nel corso di lunghe conversazioni.

 

Data pubblicazione: 07 marzo 2020

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