Stress. mi sento morire

Buonasera dottori
Vi scrivo perché non ce la faccio più.
A lavoro mi riempiono di nuovi incarichi gravosi.
Ogni settimana mi prospettano nuovi incarichi. E solo in questa settimana se ne sono concretizzati tre. Io mi sento come se fossi minacciato di morte. Vorrei poter fare il mio lavoro, seriamente e con dedizione, ma con tranquillità e nelle mie ore normali. Mentre queste incessanti richieste infrangono il mio desiderio di maggiore tranquillità.
Da qui ai prossimi tre mesi, si prospetta u Inferno e non senti di avere le risorse per affrontarlo. Vedo tutte le persone vivere tranquille la loro vita. Mentre io è come se avessi costantemente un coltello alla gola. Il problema è sia il carico di lavoro, che la difficoltà dei compiti, per cui non mi sento preparato/competente. Non so piu cosa fare. Sono disperato.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buonasera,

intanto mi sento di dirle che comprendo il suo stato d'animo. A volte succede di essere sopraffatti da incarichi e compiti, come se fossimo macchine in grado di soddisfare qualsiasi richiesta. Inoltre c'è chi preferisce ritmi più pressanti e chi invece ha bisogno di calma e tempi più diluiti.

Il suo racconto ha suscitato in me diverse domande, in particolar modo le chiedo se potrebbe negoziare con i responsabili parte del lavoro. Inoltre, mi sono anche chiesto se è il tipo di persona che sacrifica se stesso pur di portare a termine il compito oppure no.

Una seconda domanda riguarda la scelta di questo lavoro, se ne è soddisfatto?

Una terza domanda è relativa all'ambito affettivo. Senz'altro non elimina gli incarichi e la sensazione di avere un coltello alla gola, ma può essere importante se si sente affettivamente gratificato. Ad esempio se c'è qualcuno che l'aspetta a casa dopo il lavoro, qualcuno con cui condividere i suoi vissuti?

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
"Io mi sento come se fossi minacciato di morte"

Gent.le Utente,
le nostre reazioni dipendono dal significato che scegliamo di attribuire alla nostra esperienza e quello che lei ha scelto è un significato che implica una minaccia per la sua vita.
Sembrerebbe che la percezione di pericolo abbia attivato un circuito neurofisiologico che non passa per la corteccia prefrontale ( attraverso la quale elaboriamo processi cognitivi) determinando una reazione di allerta come se la sua stessa vita fosse minacciata.
Questa reazione così immediata non è stata ridimensionata dalla ricerca di possibili strategie e/ contromisure, lasciandola in balia di un'angoscia profonda.
In passato si è già trovato ad affrontare reazioni simili di fronte a situazioni stressogene?

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

[#3]
dopo
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Buongiorno e grazie ad entrambi. Scusate se non ho risposto prima, ma come le altre volte in circostanze simile mi spengo e dormo il più possibile per evadere dalla realtà.
X il dottore De Sanctis: potrei forse negoziare la quantità, ma non l'incapacità di farlo. Il mio livello non me lo consente.
Sì, sacrifico me stesso,quando posso. Faccio straordinari quando ne ho le forze, prendo le vacanze all'ultimo quando ho fatto tutto. Ma soprattutto penso praticamente solo al lavoro.

Del tipo di lavoro, no. Avrei di mio scelto altri ambiti in base alle mie predisposizioni. Ma ormai che devo fare? Comunque continuerei a farlo, se non fosse cosí impegnativo e stressante. Se intende invece il posto di lavoro nello specifico, è molto ansiogeno per me. Non ci sono capi quando si tratta di avere controlli, aiuti, pareri. Spuntano fuori solo per darti nuovo lavoro.
Infine, non ho nessuno che mi aspetta, se non la mia anziana madre. Non go nemmeno una casa mia.

Per la dottoressa Canplone, certo tutte le volte in circostanze simili esperisco la medesima sensazione di morto. Nella stessa misura mi sento morto ora che sto andando in quel postaccio.

Grazie.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buongiorno,

so che non è facile, mi sento di incoraggiarla però a non rassegnarsi a questa realtà. Ci sarebbero tante cose su cui fermarsi a riflettere. Ad esempio quando dice di essere incapace non so, mi sono chiesto se è un suo vissuto oppure se lo è davvero come dice. Non la conosco, ma sinceramente non credo che lei lo sia. Non so cosa pensa di un mio interrogativo, che lei possa tendere al perfezionismo, come se dovesse eseguire tutti i compiti prima di potersi sentire finalmente libero? Però il problema, in questo caso, potrebbe essere che compiti e doveri non finiscono mai.
E lei magari finisce per pensare soltanto a questi, senza avere uno spazio suo né una vita sentimentale, almeno al momento, in cui sentire passione e conforto, e creare il suo futuro senza essere più solo.

Anche il fatto di avere scelto altri ambiti di base per le sue predisposizioni è un aspetto significativo. Quando le ho posto la domanda non intendevo l'attuale posto di lavoro, mi sono espresso male. La ringrazio per averlo capito e per la pazienza che mostra. Anche nelle sue risposte lei è puntuale e collaborativo, e queste sono qualità importanti.
Condivido con lei che ci sono predisposizioni da sviluppare e immagino l'amarezza di non averle potute seguire. Ha avuto forza ad adattarsi a un tipo di lavoro diverso rispetto alle sue aspettative, un lavoro che non avrebbe scelto ma, nonostante questo, continuerebbe comunque a fare.

Il mondo del lavoro è difficile per tante ragioni, di cui lei stesso parla. Come le dicevo all'inizio però, anche se so che non è facile, è importante che lei non si rassegni, non si spenga. Forse negoziando il lavoro e i tempi, potendo valutare se stesso all'altezza, imparando a sacrificarsi di meno, le cose potrebbero alleggerirsi un po'. Ho avuto anche l'impressione, non so se sbagliata, che potrebbe sentirsi solo, mentre invece sarebbe necessario condividere e quando possibile aprirsi, cercando di vivere intorno a sé un clima disteso, di unione e scambio.

Ugualmente non so se magari potrebbe anche mettersi in moto nel tentativo di effettuare alcune ricerche di lavoro, affinché possa trovare posti in cui utilizzare le sue predisposizioni e sentire di realizzarle. Magari non sarà possibile, ma mi sono chiesto se si è rassegnato anzitempo, se ha fatto tutto quello che poteva, o se appunto ha rinunciato troppo presto.

È fondamentale che lei possa pensare a se stesso e possa esprimersi, facendo dei progetti per sé e trovando il suo spazio sia a lavoro sia nella sua vita privata.

Se avesse voglia di parlarne, posso chiederle se ha avuto occasione di parlare con uno psicologo dal vivo, se ha avuto un confronto o svolto un intervento terapeutico?
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
" potrei forse negoziare la quantità, ma non l'incapacità di farlo. Il mio livello non me lo consente"

Allora la invito a tentare la negoziazione, riguardo al senso di inadeguatezza sembrerebbe derivare da una rigida rappresentazione di sé, aspetto che può essere affrontato in un percorso terapeutico.

"Ma soprattutto penso praticamente solo al lavoro."

Al di là del carico di lavoro come vede c'è un approccio che di fondo nasce dentro di lei ma anche su questo aspetto si può lavorare in modo efficace con uno psicoterapeuta.
In sostanza si tratta di sperimentare attraverso la relazione terapeutica la possibilità di rivolgere uno sguardo diverso verso se stesso al fine di recuperare il potere personale.
Infine bisognerebbe creare le condizioni favorevoli a sviluppare una vita relazionale che possa aiutarla a ridimensionare l' attenzione che rivolge al lavoro oltre che gratificare i suoi bisogni affettivi.
[#6]
dopo
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Buongiorno.
Provo a rispondere. Anche se i temi sono davvero tanti. Per il dottore De Sanctis, circa l'incapacità. Soffro di scarsa autoefficacia nel lavoro: penso che abbia origina dal fatto che non essendoci aderenza fra la mia professione e le mie passioni istintive, mi sono sempre sentito un intruso nell'ambito della mia professione. Questo andava bene finché ero giovane e da me non ci si aspettava più di tanto. Ora sono pagato x offrire un insieme completo ed indipendente di competenze e abilità. Poiché non mi sento all'altezza, e fondamentalmente non meglio, se non peggio, di qualsiasi altra persona, allora provo tanta tanta ansia da inadeguatezza. Da qui ogni nuovo incarico lo vivo come una minaccia al mio equilibrio precario.
É vero quello che dice circa la solitudine e l'apertura agli altri. Negli anni molte amicizie sono naufragate, fino al punto in cui non ho nessuno a cui aprirmi. In ogni caso, in passato i miei esperimenti di apertura sono stati fallimentari. O le persone si sono allontanate, oppure non ne trae origine beneficio, oppure non erano strutturate per accogliere i problemi altrui.
La solitudine infine é anche a lavoro. Nel mio ufficio, le poche persone che ci sono non possono essere toccate da nuovi incarichi (a causa di una situazione specifica). Rimane un collega (sottopagato) che può offrire un numero limitato (e non negoziabile) di ore. Inoltre é proprio per la mia qualofica, che sono io deputato ad accogliere i nuovi lavori. Solo che questo mi rovina la vita.
L'unica cosa che ho pensato di fare é cercare un nuovo lavoro, ma, ammesso che lo trovi, pure quella novità mi mette una grossa ansia. Ho pensato di trovarmi una situazione per me meno ansiogena: una posizione di minor risalto, con una serie di colleghi miei pari ed un responsabile a capo. Mi chiedo se c'è mercato per me in una tale soluzione, anche a costo si venire pagato molto meno. Alla fine la salute é quello che conta. E la mia vita al momento é accantonata.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
"Soffro di scarsa autoefficacia nel lavoro"

Non esiste una patologia del genere è solo il riflesso di una scarsa considerazione di sé che sembrerebbe generalizzata alle relazioni interpersonali infatti prosegue:

"In ogni caso, in passato i miei esperimenti di apertura sono stati fallimentari. O le persone si sono allontanate, oppure non ne trae origine beneficio, oppure non erano strutturate per accogliere i problemi altrui."

In realtà lei confonde il rapporto di amicizia con la relazione psicoterapeuta/cliente, gli amici possono offrire ascolto e sostegno temporaneo ma non possono prendere in carico una richiesta di aiuto come se fossero dei professionisti.
Quindi non è che i tentativi erano fallimentari è che l'aspettativa non era realistica.

"L'unica cosa che ho pensato di fare é cercare un nuovo lavoro, ma, ammesso che lo trovi, pure quella novità mi mette una grossa ansia. Ho pensato di trovarmi una situazione per me meno ansiogena: una posizione di minor risalto, con una serie di colleghi miei pari ed un responsabile a capo."

L'evitamento e l'autosabotaggio sono reazioni disfunzionali che rischiano di amplificare il suo disagio ma garantiscono un "vantaggio" secondario: non mettersi in discussione.
E' proprio sicuro che valga la pena di pagare un "prezzo così alto?
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buonasera,

voglio lasciarle alcune suggestioni in questa sede, legate alla lettura del suo racconto. Mi sembrano rilevabili due aspetti.

Il primo riguarda il lavoro che non corrisponde alle sue passioni e predisposizioni. È vero che nel momento in cui aumentano compiti e progetti, si crea sempre più una maggiore distanza tra quello che lei deve fare e quello che non vorrebbe fare. È suggestivo in tal proposito che si senta un intruso, cioè colui che occupa uno spazio che non sente suo, poiché non sente appartenenza. In tal caso è giusto che lei provi a seguire le sue passioni e a investire in base alle sue predisposizioni, quanto più è possibile.

Tuttavia è anche vero che la parola intruso ha una sfumatura suggestiva, che non vorrei trascurare e vorrei utilizzare per introdurre il secondo aspetto, di cui ci terrei a parlarle. Si tratta di un vissuto di intromissione, di chi cioè si occupa di affari e questioni altrui senza averne il diritto. Mi sono chiesto se questo abbia a che fare con una percezione di sé di cui ha parlato, di non sentirsi cioè all’altezza.

E così mi sono chiesto: quanto può incidere questo vissuto di non sentirsi all’altezza, di esperire inadeguatezza? Questo può avere inciso in certe scelte, avere causato delle rinunce ad esempio. E potremmo riferire questo sia al fatto che non ha seguito le sue predisposizioni sia al fatto che non si sente capace di accogliere i nuovi lavori, nonostante immagino i suoi responsabili credano in lei.

Quando ipotizza una posizione di minore risalto per lei, non sembra parlare del fatto che desidera seguire le sue passioni. Allora penso che sia importante capire se e quanto la sua idea derivi da una percezione svalutata che lei ha di se stesso. Dalla fatica, magari dalla paura, di essere protagonista della sua vita, di avere ed esprimere una voce in capitolo, nel lavoro così come nella vita privata. Una voce importante, la sua.

Senz’altro fare un lavoro più tranquillo e pensare alla qualità della propria vita è fondamentale, ma è giusto che sia una scelta e non una rinuncia. Anche perché c’è il rischio che quel senso di inadeguatezza interferisca, prima o poi, anche nel lavoro di minore risalto.

Fermarsi a riflettere su questi temi penso sia importante. Come lei stesso riconosce, i temi sono tanti e il nostro dialogo ne apre ulteriori. Allora è importante che possa trovare uno spazio di ascolto in una sede idonea, avendo i tempi necessari per pensare e guardarsi dentro, per poter approfondire i suoi vissuti interiori e le sue esperienze sia lavorative sia affettive. E riuscire così a essere se stesso e a costruire un senso di appartenenza e condivisione.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#9]
dopo
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Buonasera,
innanzitutto grazie ad entrambi per le parole generosamente spese.
In risposta alla Dott.ss Camplone, ci tengo a precisare che una delle poche cose chiare nella mia testa è che gli amici non sono i miei curanti. Non avevo nessuna aspettativa del genere, semmai mi sfogavo naturalmente ed, in un caso, pretendevo dell'empatia che la persona non era in grado per sua natura di dare. In ambito relazionale mi sento sufficientemente capace a livello di abilità: ad esempio non sono uno che si chiude in situazioni sociali, e anche se sono un po' timido mi sforzo di esprimermi. Per quanto riguarda la parte successiva, è un interrogativo interessante. Non se risponderle, perché non se cercandomi una vita facile, starei assecondando la mia natura, oppure evitando le mie paure, con il rischio di pagare il famigerato prezzo troppo alto. Mi chiedo, io sono circondato da persone che vivono bene nella loro posizione di subalterne. Probabilmente l'hanno scelto, più o meno consapevolmente. Mi chiedo perché io non possa essere una di quelle persone, e dovere per forze fare una scalata, che mi costa così tanto sforzo? Questo non è giù un prezzo molto alto?

In risposta invece al dott. De Sanctis. Per paura e incapacità/immaturità non seguii le mie predisposizioni. La famiglia non pagava gli studi. Provai l'università (in un corso che comunque era un compromesso), ma ero troppo immaturo per portare a termine un percorso di lavoro e di studi, senza il supporto di nessuno. Così mi buttai sul lavoro, nell'ambito del mio diploma.
Poi l'università la iniziai e finii più tardi attorno ai 30. Ma non seguii quella strada, più affine a me, perché avevo paura di rischiare e rimanere senza soldi, dato che a quell'età mi sentivo già grande, e volevo andare a vivere da solo. Ora, sei anni (quasi sette) dopo, eccomi qui.
A questo punto, mi basterebbe guadagnare il minimo indispensabile, farmi le mie otto ore e dedicarmi nel tempo libero alle mie passioni. Prendere delle certificazioni, tentare dei percorsi alternativi di professione/hobby che occupassero anche solo poche ore alla settimana. Eppure niente, il lavoro attuale è troppo impegnativo per me. Mi attribuiscono il ruolo di responsabile, in un ambito professionale in cui non mi identifico, e nel quale riesco a sufficienza. Penso che dipenda dal fatto che chi svolge il mio lavoro sia donna e quindi, purtroppo, costretto a scegliere tra carriere a lavoro. Quindi rimango sulla piazza io, in assenza di alternative, che ho venduto il mio tempo.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicologo, Psicoterapeuta 4.9k 86 75
"Ho pensato di trovarmi una situazione per me meno ansiogena"

Non è la situazione in sé ad essere ansiogena è il significato che scegliamo di attribuirle che influisce sul modo nel quale reagiamo.
Lei desidera cambiare lavoro perché esclude di poter generare un cambiamento interiore, che è possibile ma che richiede l'avvio di una relazione terapeutica che non può essere sostituita da una consulenza on line.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
La scelta di fare un lavoro che le faccia guadagnare quello che le serve, per poi essere libero nel resto del tempo, è una possibilità certamente. Così come immagino avrà già valutato l’eventuale ricerca di un lavoro più affine alle sue predisposizioni.

Mi sembra di capire che abbia dovuto accettare dei compromessi e si è adattato con buona volontà a percorrere strade anche distanti dalle sue aspettative. Questo è importante.

Nelle sue parole, tuttavia, continuo a sentire alcuni vissuti emotivi cruciali, delicati e profondi, che meritano la massima attenzione. La paura ad esempio, il senso di disperazione e sconforto, forse un senso di solitudine e non so se anche di rabbia.

Come consiglio mi soffermerei in modo approfondito su di essi e sul suo mondo interiore, non è trascurabile.
Questo perché alcuni vissuti possono interferire nel suo modo di pensare e di vedere, nei suoi comportamenti, nelle sue scelte. È importante che segua una strada non perché è stanco o perché ha paura ad esempio, ma perché la sente possibile e giusta per sé. È importante che creda in se stesso.

Dev’essere quindi una scelta, qualsiasi essa sia, e per farla lei dev’essere libero da certi condizionamenti. Sia che prosegua a fare il suo lavoro attuale, guardandolo magari con altri occhi, sia che provi legittimamente a cambiarlo.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis