Ragazze Fuori di Seno compie 15 anni: quando le relazioni diventano parte della cura
Il 26 novembre RFS - Ragazze Fuori di Seno, il forum di medicina narrativa sul tumore al seno ospitato su Medicitalia, festeggia 15 anni.


Nato nel 2010 da un’idea del chirurgo senologo e oncologo dr. Salvo Catania, oggi è considerato il primo blog al mondo di medicina narrativa per quantità di contenuti, dedicato alle donne con carcinoma mammario, oltre che un punto di riferimento online per chi affronta la malattia.
Quindici anni dopo, siamo orgogliosi di vedere che RFS continua a crescere come comunità e gruppo di auto mutuo aiuto. Le terapie cambiano, le tecnologie si aggiornano, ma il cuore del progetto resta lo stesso: offrire un porto sicuro dove chi affronta il tumore al seno possa dire “io ci sono” e sentire, dall’altra parte dello schermo, una risposta altrettanto importante: “noi ci siamo con te”.
Indice
Come nasce Ragazze Fuori di Seno?
Molto prima che si parlasse di “medicina narrativa”, il dottor Catania aveva già iniziato a raccogliere le parole delle pazienti in un volume dedicato al carcinoma mammario “Il carcinoma mammario dalla parte della paziente”1.
All’epoca qualcosa mancava in modo clamoroso: le donne potevano, a volte, scrivere al medico, ma non c’era uno spazio di condivisione tra loro, tra “compagne di viaggio”.
Quando ha iniziato a partecipare a Medicitalia in qualità di consulente per le aree di chirurgia senologia e oncologia, il dottor Catania ha capito che poteva trasformare quella corrispondenza privata in un luogo pubblico ma protetto, dove la narrazione avesse una finalità clinica: dare senso alle tappe del percorso diagnostico-terapeutico, ridurre le ansie, riportare fili di continuità dove le pazienti vedevano solo pezzi sparsi.
Così nel 2010 nasce Ragazze Fuori di Seno: non un semplice forum di supporto, ma uno spazio strutturato in cui pazienti e caregiver possono raccontarsi, confrontarsi e dialogare con un medico facilitatore.

L’obiettivo era chiaro: colmare tre grandi vuoti che tante donne segnalavano dopo la diagnosi – la solitudine, la difficoltà di orientarsi tra informazioni affidabili e il bisogno di un gruppo che le accompagnasse nella quotidianità, non solo in corsia.
Da dove arriva il neologismo "ragazzafuoridiseno"?
Il dr. Catania racconta che, per anni, aveva chiamato alcune pazienti “pazienti eccezionali”: donne che, nonostante diagnosi pesanti, riuscivano a tenere insieme coraggio, lucidità, ironia e una fortissima voglia di vivere.
Negli anni ’90, dopo l’esperienza con una paziente psicoanalista e poeta (Adriana Pagnoni), che in un libro lo definisce “pazzo… perché crede nella vita”, Catania sente che gli manca una parola per definire quel tipo di pazienti. Da lì nasce il neologismo “ragazzafuoridiseno” proprio per indicare chi, pur avendo avuto un tumore al seno, continua ostinatamente a credere nella vita.
Quindi “Ragazze Fuori di Seno” non indica solo il fatto di avere (o aver avuto) un tumore al seno, ma un modo particolare di affrontarlo:
- attive, non passive;
- capaci di usare la scrittura, l’ironia, le relazioni come parte della cura;
- con “un pizzico di follia” buona, quella che permette di rilanciarsi nella vita dopo il terremoto della diagnosi.
Il nome è nato come neologismo del dottore per indicare queste “pazienti eccezionali” è diventato il titolo del forum e persino di un libro “Storia di una ragazza fuori di seno”.
La persona al centro del percorso di cura
Il dottor Catania, come molti specialisti della sua generazione, racconta di essere partito da una visione centrata quasi esclusivamente sul “corpo da salvare”: l’obiettivo era vincere la battaglia contro il tumore, ridurre la mutilazione, applicare le tecniche più avanzate. La parte umana veniva dopo, e spesso non veniva proprio.
Poi arrivano alcuni incontri che cambiano la prospettiva:
- la malattia di sua madre, a cui da giovane medico si sentii comunicare una vera e propria “sentenza di morte”;
- l’incontro con Ada Burrone e il mondo di Attivecomeprima, dove ha visto che il cancro non è solo chirurgia e chemioterapia, ma anche relazione, ascolto, linguaggio non verbale;
- e poi Rita e Anna, due pazienti che gli hanno restituito parola per parola ciò che le aveva ferite o aiutate, costringendolo a rivedere il suo modo di parlare, di guardare, di stare accanto.
Da lì nasce la consapevolezza che curare il tumore non basta, se nel frattempo si lascia la persona sola con una biografia “frantumata”.
RFS rende visibile questo cambio di paradigma: non solo luogo informativo, ma laboratorio clinico-relazionale dove la storia individuale viene rimessa al centro e condivisa in gruppo.
Come togliere potere alla paura grazie al linguaggio diretto
Chi frequenta il forum descrive il dottor Catania come un medico “molto diretto”, capace di usare termini forti – cancro, metastasi, recidiva – ma anche metafore, ironia e vignette. Non è uno stile improvvisato: è una scelta consapevole per togliere potere alle parole che fanno più paura.
Nel forum si lavora su quella che lui stesso definisce una sorta di “sazietà semantica”: più la parola viene pronunciata, discussa, collocata in un contesto comprensibile, meno diventa un tabù paralizzante (cancro, metastasi, morte...).
L’ironia, quando è condivisa, diventa una forma di “anestesia emotiva controllata”: permette di guardare in faccia la malattia senza esserne completamente schiacciati.
La sedia a dondolo, le marmotte, l'aria fritta, i fili colorati: il lessico RFS
In 15 anni, all’interno del forum, è nato un vero e proprio lessico comune, citiamo alcune espressioni:
- la “sedia a dondolo” indica lo stato di rimuginio continuo, quel movimento mentale che va avanti e indietro senza portare da nessuna parte;
- le “palle” sono le metastasi, nominate in modo meno minaccioso per riuscire a parlarne senza esserne terrorizzate;
- i “criceti” sono i pensieri che corrono in tondo nella testa, spesso di notte;
- le “marmotte” sono le long survivors che magari scrivono poco, ma riappaiono periodicamente per dire “io ci sono ancora”, rassicurando chi sta iniziando ora il percorso;
- le “ragazze ansia e sapone” sono le neodiagnosticate, scivolose di paura e di domande, da prendere con particolare cura;
- i selfie durante la chemioterapia, spesso sorridenti, sono diventati uno strumento per ribaltare l’immagine della “paziente passiva”: la cura è dura, ma chi è in sedia ha ancora un volto, una storia, una rete;
- i fili colorati: sono fili portafortuna con cui le compagne ricoprono quotidianamente chi è in agenda per interventi, esami, terapie, ritiro referti;
- l'aria fritta è una delle preferite dalle ragazze, vuol dire che quello che loro immaginano sia grave in realtà non è niente di preoccupante in senso oncologico.
Queste espressioni, insieme a molte altre, nate quasi per gioco, hanno assunto nel tempo un valore terapeutico: permettono alle partecipanti di riconoscersi in ruoli, stati d’animo e posizioni condivise, creando una grammatica affettiva che rende il gruppo più coeso.
Dalla blog-terapia alla “cura di sé” in gruppo
L’esperienza di RFS è stata oggetto di articoli, convegni e di una tesi di laurea2 che l’ha analizzata come luogo di “cura di sé” attraverso narrazione e scrittura.
Il prima tipico è questo: una donna arriva dopo la diagnosi, terrorizzata, spesso sola, con l’idea del cancro come condanna a morte. Ha passato notti su Google, ha in testa un miscuglio di termini tecnici e di immagini catastrofiche, non riesce più a vedersi come persona intera, è “solo” una malata di tumore al seno.
Il dopo, per molte, è diverso:
- imparano a leggere il proprio percorso (intervento, terapie, follow-up) come una storia con delle tappe;
- diventano più consapevoli e attive nel rapporto con i curanti, fanno domande più precise, tollerano meglio l’attesa degli esami;
- soprattutto, cominciano a re-inserire la malattia dentro la loro vita, non la vita dentro la malattia: tornano a parlare di lavoro, figli, sessualità, viaggi, ricette.
Non è un cambiamento magico, ma è un lavoro lento di gruppo: una narrazione dopo l’altra, una risposta dopo l’altra, le donne passano dal “perché proprio a me?” a “come posso vivere comunque?” Perché "di cancro si può morire, ma anche no!".

“Le terapie curano, le relazioni guariscono”: dall’online al reale
In questi 15 anni RFS non è rimasto confinato allo schermo. A partire dal 2013 il dottor Catania ha organizzato diversi convegni dal titolo emblematico “Quando il virtuale si incontra con il reale”, in città diverse, per permettere alle donne di conoscersi, abbracciarsi, riconoscersi al di là dei nickname.
Il motto che accompagna questo percorso – “le terapie curano, le relazioni guariscono” – riassume l’idea che i farmaci agiscono sul tumore, ma la differenza tra sopravvivere e tornare a vivere la fanno spesso i legami costruiti lungo la strada. Non a caso, molte amicizie nate sul forum sono diventate reti concrete di supporto: c’è chi si accompagna alle visite, chi si organizza per stare insieme durante la chemio, chi si ritrova in occasione degli incontri nazionali.

Cancer ghosting e la forza di un “io ci sono”
Tra i temi emersi dagli anni di discussione su RFS c’è anche il “cancer ghosting”: la tendenza di alcune persone – amici, colleghi, talvolta perfino familiari – ad allontanarsi dopo la diagnosi, lasciando la donna con una doppia ferita, la malattia e il senso di abbandono.
Nel forum la risposta passa da una formula semplice e potentissima: “IO CI SONO”.

Scritta la sera prima di un intervento, il giorno di un controllo, durante l’attesa di un referto, diventa un gesto concreto di cura reciproca. Le parole non sostituiscono la presenza fisica, ma costruiscono una base emotiva che molte pazienti descrivono come decisiva per non sentirsi “evaporare” socialmente.
Numeri che diventano storie
A 15 anni dalla nascita, i numeri di RFS raccontano la portata del progetto: circa 3.000 utenti iscritte, oltre 820.000 commenti e 36 milioni di visualizzazioni totali.
Ma dentro queste cifre ci sono soprattutto storie. In uno dei bilanci clinici e narrativi più recenti, Catania ha ricordato come, su migliaia di partecipanti, i decessi registrati siano una piccola frazione (0,5%) e come il gruppo possa contare su 190 long survivors, donne che convivono con o dopo la diagnosi da venti, trenta, quarant’anni.

Questi dati non servono a offrire illusioni, ma a dare un volto concreto alle statistiche sui tassi di sopravvivenza al tumore al seno, che negli ultimi anni sono aumentati grazie ai progressi nella diagnosi precoce e nelle terapie.
Nel forum, numeri e storie si intrecciano: le percentuali diventano testimonianze, le linee guida si traducono in percorsi personalizzati, le curve di sopravvivenza si trasformano nei racconti delle long survivors che tornano periodicamente a scrivere “sto bene, la vita va avanti”.
In altre parole, i tassi di sopravvivenza vengono trasformate in storie di sopravvivenza: non per vendere ottimismo, ma per fornire un’immagine più aderente alla realtà di oggi. Il messaggio che Salvo Catania vuol passare attraverso RFS è: “non posso prometterti il risultato, ma posso mostrarti che la speranza ha basi concrete, e che qualunque cosa accada, non sarai sola nel percorso”.

Il 5 dicembre il Corriere della Sera ha pubblicato un'intervista al dr. Salvo Catania:
Riferimenti bibliografici
- Il carcinoma mammario dalla parte delle pazienti di S. Catania e R. Nobili
- Raccontare la malattia: un forum dedicato al tumore al seno di Beatrice Duranti