Quanto incidono le motivazioni psicologiche alla base di una depressione nell'efficacia dei farmaci?

Buonasera dottori, scrivo questa domanda sia per curiosità sia per motivazioni personali.
Quello che vorrei sapere è: la resistenza ai farmaci antidepressivi può essere dovuta al fatto che alla base il paziente ha un problema psicologico alla base che ne impedisce la guarigione?


Mi spiego meglio con un esempio: mettiamo caso un ragazzo cada in forte depressione perché non riesce ad accettare di essere brutto, lo psichiatra gli prescrive diversi farmaci a dosaggi teoricamente curativi ma il paziente non ha miglioramenti.
Questa mancata risposta è dovuta a motivi diciamo biologici (il cervello del ragazzo è immune alle molecole antidepressive) o al fatto che il problema psicologico alla base della depressione è talmente forte da annullare l'effetto del farmaco?
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Dovrebbe entrare nello specifico della questione, per cui dovrebbe indicare i trattamenti che ha ricevuto, i dosaggi ed i tempi di trattamento, per capire meglio.

Le domande di curiosità, in assenza di specifici riferimenti a se stessi, possono non ricevere risposta.

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Diabetologo, Medico delle dipendenze 47k 1k
C'è un problema concettuale. Que che Lei chiama "problema psicologico" è il disturbo che la terapia dovrebbe risolvere, per cui quando parla di cervello che risponde o meno al farmaco, è la stessa cosa.
Il cervello è il problema psicologico insieme a tutto il resto, non è che ci sono due cervleli, di cui uno dialoga col farmaco e l'altra parte no, o una parte "psicologica" non corrispondente al cervello.

Altro punto: se uno non risponde al farmaco x, non risponde al farmaco x, non è che "immune ai farmaci antidepressivi".
La depressione in sé, come anche altre condizioni, prevedono un assetto mentale che non vede nella cura una soluzione, non vede neanche la malattia talvolta, e identifica altre cause alla base. Ciò è quello che si chiama depressione, non è un problema psicologico nel paziente depresso da considerarsi separatamente.

Dr.Matteo Pacini
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Sì, mi scusi dottore. Per quanto mi riguarda sono al momento al 18/19simo giorno di assunzione di cipralex al dosaggio di 20 mg al dì. Premettendo che ho assunto lo stesso farmaco da anni tutti i giorni a 5mg in quanto ebbi problemi di ansia/depressione nel 2015, a novembre ho avuto una forte caduta depressiva in seguito ad un evento scatenante. Dopo settimane alterne di umore fortemente basso al altre dove sembrava stessi relativamente bene, a dicembre mi decido ad andare dallo psichiatra e passo a 10 mg, ma stesso problema: giorni con umore down ed altri con umore buono. Poi sono salito a 15 mg e ora a 20 mg.

Ora, è da venerdì scorso che sperimento nuovamente un abbassamento del tono umorale dopo diverse settimane nelle quali mi sembrava di poter dire di essere sulla buona strada. Non sto male come accadeva nei mesi scorsi quando l'umore andava giù e stavo a dosaggi più bassi, ma comunque non sto bene.

Per questo volevo sapere: se il mio cervello è "predisposto" a rispondere adeguatamente al cipralex, può essere che l'efficacia potenziale del farmaco sia annullata, o comunque ridimensionata, dalle motivazioni psicologiche alla base del quadro depressivo?
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Grazie anche a Lei dottor Pacini. La mia domanda, riducendola a minimi termini, avrebbe potuto essere descritta così: se un farmaco è adatto per un paziente lo è indipendentemente dal fatto che il paziente faccia psicoterapia? O la mancata e/o inefficace psicoterapia può arrivare a bloccare l'efficacia del farmaco?
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Il problema riguarda l'utilizzo della terapia a dosaggi insufficienti precedentemente, non si capisce quale sia stato il motivo, ma ciò l'ha sottoposta ad un trattamento pressocché inutile.

L'aumento invece deve prendere in considerazione la diagnosi di trattamento.

Stiamo parlando di depressione? o parliamo di un'altra diagnosi?

Il trattamento a dosaggio terapeutico sarebbe rimasto tale per una ventina di giorni, e ciò non decreta nessuna inefficacia.

Se la terapia non è mantenuta almeno per 6-8 settimane, qualsiasi variazione repentina è una mal-pratice.

Si può tenere un dosaggio di valutazione ma prima o poi la definizione della patologia va fatta per poter introdurre la terapia più adatta.

Non è una questione di fare o non fare la psicoterapia, che, tra l'altro, può non essere applicabile o può essere inefficace per quel determinato paziente.

La situazione va definita in modo corretto, e dopo i tempi giusti di valutazione, la terapia deve essere più personalizzata.

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Grazie ancora per la risposta. La mia diagnosi è depressione.
Sono partito per un quarantina di giorni con 10 mg, poi circa 2 mesi a 15 mg ed ora sono a 19 giorni a 20 mg. Quando sembrava che avessi risolto con 10 mg si è ripresentato il periodo di umore depresso, per questo abbiamo aumentato a 15 e anche a questo dosaggio stessa storia.

Lei dice che è stato sbagliato andare per tentativi con i dosaggi e che dovevo passare direttamente a 20mg? È ancora presto (19 giorni) per valutare l'efficacia?
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Intendevo dire che i dosaggi vanno mantenuti nei tempi.

Sui 40 giorni potremmo starci, ma dopo due mesi di 15 mg, se sono presenti ancora oscillazioni, la questione va ridefinita.

La probabilità che il farmaco in questione non sia adatto nel suo caso è plausibile, pertanto andrebbe ridefinita la diagnosi.

Oltre al fatto che le variazioni umorali vanno contestualizzate quando avvengono.

Questo non vuol dire che non risponda ad altre terapie ma è possibile che l’escitalopram non sia il farmaco adatto a lei, per la sintomatologia attuale.

Dipende inoltre anche dalla sua percezione di riduzione di umore, e la aspettativa su come pensa che debba essere.

In definitiva, la diagnosi non sembra molto chiara, una ridefinizione può essere in qualche modo utile.

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Quindi è inutile aspettare ancora qualche altra settimana a 20 mg? Se fosse stato giusto per me già avrebbe dovuto fare effetto in qualche modo?

Quando scrive di ridefinire la diagnosi intende dire che magari la diagnosi di depressione non è corretta?

Comunque in questi 4/5 giorni di umore down sto male ma non così male come quando ero down a dosaggi più bassi.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Per meglio definire la situazione si può attendere ancora a 20 mg, ma da come descrive il tutto penso che una variazione sia da prendere in considerazione.

Andrebbe valutata la condizione generale e capire perché la terapia non ha dato effetti stabili, perché effetti ne ha dati ma sono scomparsi.

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Nel caso è pericoloso aumentare ancora di più il dosaggio? Ho paura a dover stare malissimo di nuovo togliendo il ciprapex e provando una nuova molecola.

Non Le nascondo che qualche volta ho ipotizzato che ci fosse qualche altra diagnosi in realtà, però, avendo sostenuto l'esame di Psichiatria e qualcosa quindi la so, trovo difficoltà a pensare a una depressione in un quadro bipolare anche perché non ho mai manifestato alcunché di minimamente maniacale o ipomaniacale.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Tecnicamente il dosaggio dovrebbe restare nel massimo previsto nella scheda tecnica, si può stabilire un ulteriore aumento ma difficilmente possono esserci risultati stabili.

Non necessariamente si deve scomodare il quadro del disturbo bipolare, ci sono sfaccettature differenti nel corso della diagnosi di disturbo depressivo che è plausibile che non ci sia riscontro con una terapia e si cambia.

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Alla base io purtroppo ho un forte disturbo ansioso. Cerco di spiegare la mia vicenda, mi scuso se sarò piuttosto lungo.

Inizio con problemi di ansia a 18 anni durante una gita scolastica, prima mai sofferto d'ansia e avevo una vita perfetta ed ero brillante in tutto e apparentemente molto sicuro di me. Durante suddetta gita un pomeriggio inizio ad avere un forte senso di sbandamento e senso di svenimento senza però mai svenire, (ad oggi penso fosse scatenato per il forte stress di quel periodo, per l'"emozione" della gita), fatto sta che per un anno e mezzo ho avuto tutti i giorni, notte e giorno, sempre questo senso di sbandamento e svenimento, non dormendo la notte, di instabilità nell'equilibrio, sia in piedi che seduto, quando camminavo per strada camminavo rasente i muri, e ho iniziato a sviluppare ansia ed evitamento di luoghi e situazioni per paura di sentirmi male. Dopo un anno e mezzo i sintomi di sbandamento sono andati via ma è rimasta questa ansia, anche se non debilitante, che comunque mi teneva lontano da diverse situazioni (prendere aerei, andare fuori casa per giorni, guidare in autostrada... ). Tutto sommato però stavo bene ed ero felice, e tra l'altro mi ero diplomato con il massimo ed entrato subito a medicina.

Nell'estate dei 20/21 anni però ho avuto un cambiamento estetico (il naso è un po' cresciuto, non so come sia possibile aquell'età!) che mi ha oggettivamente imbruttito e reso fortemente insicuro della mia immagine: dall'essere fiero e sicuro della mia estetica ad insicuro, e da lì la mia vita e la mia mente si sono incrinate definitivamente. Perdute tutta la mia autostima e sicurezza. Ho iniziato a guardarmi tutti i giorni per ore allo specchio, a soffrire per i giudizi e le minime critiche delle persone, ad invidiare i miei amici che vedevo migliorare e acquisire sicurezza, ma soprattutto a cercare i complimenti degli altri, la loro approvazione, il loro affetto, cose che prima non mi toccavano minimamente. Lo studio è passato in secondo piano, volevo solo "essere bello" e sentirmelo dire e far vedere ai miei amici/conoscenti di essere piacente e piacere alle ragazze.

Dopo 2/3 anni in questo stato di forte tristezza, malinconia, ansia e bisogno di amore e approvazione, un giorno, dopo un funerale, mi sale una angoscia fortissima all'improvviso, con sensazione di andare a fuoco poi, poi sfociata in una sorta di depressione. In tutto questo non dissi mai nulla ai miei genitori né a nessun altro, e non andai da nessun psicologo o psichiatra. Non so perché mi ero assuefatto a vivere così e rassegnato, certo che sarei morto di ansia. In qualche modo riuscì a "sopravvivere", non so come.

Poi a 26 anni ebbi un effluvio ai capelli che mi fece pensare di perderli, minando la mia insicurezza estetica e nuovamente mi risalì quest'ansia fortissima sfociata dopo un paio di giorni in depressione. Fu allora che parlai con i miei e andai dallo psichiatra prendendo 5 mg di cipralex che in qualche modo ha tamponato per diversi anni. In tutto questo tempo continuavo con questa ossessione dell'estetica, di vedere se ricevessi sguardi, di farlo sapere agli altri, di fare lo scemo con le ragazze, non riuscivo a focalizzarmi su altro, era la cosa che mi dava più gioia; ho continuato con medicina per inerzia ricevendo urla continue dai miei che mi dicevano di lasciare, gli altri si sistemavano ed io ero fermo, pensavo solo a uscire.

Arriviamo allo scorso novembre quando una sera, in seguito ad una lettura involontaria in materia di cristianesimo che mi fatto venire dubbi sulla Fede, sono stato assalito per 2 giorni nuovamente da questo panico fortissimo, soprattutto a letto, con questa sensazione di andare a fuoco e bruciare tutto il corpo, sfociata poi in depressione fortissima. Siccome capitava che dopo 7 giorni mi passava e ritornava la depressione ho resistito fino a natale quando ho ricontattato lo psichiatra, per arrivare ad oggi.

Forse è la paura e la consapevolezza di non poter mai riuscire a laurearmi a farmi stare male, il sapere che la giovinezza è finita, la paura di incontrare persone che mi chiedano cosa stia facendo, la paura e la consapevolezza di essere "diverso" dagli altri e quindi di non poter mai riuscire ad affrontare la vita. Sto provando a studiare ma non riesco quando si riabbassa l'umore; penso che andare avanti con medicina sia l'unica cosa che possa farmi uscire dal tunnel.

Ad un certo punto, dopo quel cambiamento estetico del naso, vero spartiacque della mia vita, mi è importato solo di conquistare lo status di "bel ragazzo", fare conquiste e farlo sapere per sentirmi felice ed appagato, convinto che sarei morto giovane in qualche modo e allora meglio avere qualche bel ricordo.

Per concludere, alla base come vede sono estremamente fragile e debole, non ho la cazzimma che vedo negli altri, per questo ad inizio consulto chiedevo se forti limiti caratteriali e psicologici possano inficiare l'efficacia di un farmaco antidepressivo e se sia necessaria una psicoterapia.

Scusi per l'eccessiva prolissità, sarei felice mi rispondesse.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Diabetologo, Medico delle dipendenze 47k 1k
"se un farmaco è adatto per un paziente lo è indipendentemente dal fatto che il paziente faccia psicoterapia? "

Parlare in termini così generali non ha il minimo senso. Le terapia non si suddividono in farmaci e non-farmaci.
Sembra una di quelle trovate di Nino Frassica, di umorismo non-sense, eppure invece è un modo di pensare diffuso. I farmaci e i non-farmaci....
Un modo di pensare magico, senza dire neanche quale, su cosa...

Trovo tutto ciò oltre che inutile sconcertante sul piano concettuale.

Dr.Matteo Pacini
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Alla base io purtroppo ho un forte disturbo ansioso. Cerco di spiegare la mia vicenda, mi scuso se sarò piuttosto lungo.

Inizio con problemi di ansia a 18 anni durante una gita scolastica, prima mai sofferto d'ansia e avevo una vita perfetta ed ero brillante in tutto e apparentemente molto sicuro di me. Durante suddetta gita un pomeriggio inizio ad avere un forte senso di sbandamento e senso di svenimento senza però mai svenire, (ad oggi penso fosse scatenato per il forte stress di quel periodo, per l'"emozione" della gita), fatto sta che per un anno e mezzo ho avuto tutti i giorni, notte e giorno, sempre questo senso di sbandamento e svenimento, non dormendo la notte, di instabilità nell'equilibrio, sia in piedi che seduto, quando camminavo per strada camminavo rasente i muri, e ho iniziato a sviluppare ansia ed evitamento di luoghi e situazioni per paura di sentirmi male. Dopo un anno e mezzo i sintomi di sbandamento sono andati via ma è rimasta questa ansia, anche se non debilitante, che comunque mi teneva lontano da diverse situazioni (prendere aerei, andare fuori casa per giorni, guidare in autostrada... ). Tutto sommato però stavo bene ed ero felice, e tra l'altro mi ero diplomato con il massimo ed entrato subito a medicina.

Nell'estate dei 20/21 anni però ho avuto un cambiamento estetico (il naso è un po' cresciuto, non so come sia possibile aquell'età!) che mi ha oggettivamente imbruttito e reso fortemente insicuro della mia immagine: dall'essere fiero e sicuro della mia estetica ad insicuro, e da lì la mia vita e la mia mente si sono incrinate definitivamente. Perdute tutta la mia autostima e sicurezza. Ho iniziato a guardarmi tutti i giorni per ore allo specchio, a soffrire per i giudizi e le minime critiche delle persone, ad invidiare i miei amici che vedevo migliorare e acquisire sicurezza, ma soprattutto a cercare i complimenti degli altri, la loro approvazione, il loro affetto, cose che prima non mi toccavano minimamente. Lo studio è passato in secondo piano, volevo solo "essere bello" e sentirmelo dire e far vedere ai miei amici/conoscenti di essere piacente e piacere alle ragazze.

Dopo 2/3 anni in questo stato di forte tristezza, malinconia, ansia e bisogno di amore e approvazione, un giorno, dopo un funerale, mi sale una angoscia fortissima all'improvviso, con sensazione di andare a fuoco poi, poi sfociata in una sorta di depressione. In tutto questo non dissi mai nulla ai miei genitori né a nessun altro, e non andai da nessun psicologo o psichiatra. Non so perché mi ero assuefatto a vivere così e rassegnato, certo che sarei morto di ansia. In qualche modo riuscì a "sopravvivere", non so come.

Poi a 26 anni ebbi un effluvio ai capelli che mi fece pensare di perderli, minando la mia insicurezza estetica e nuovamente mi risalì quest'ansia fortissima sfociata dopo un paio di giorni in depressione. Fu allora che parlai con i miei e andai dallo psichiatra prendendo 5 mg di cipralex che in qualche modo ha tamponato per diversi anni. In tutto questo tempo continuavo con questa ossessione dell'estetica, di vedere se ricevessi sguardi, di farlo sapere agli altri, di fare lo scemo con le ragazze, non riuscivo a focalizzarmi su altro, era la cosa che mi dava più gioia; ho continuato con medicina per inerzia ricevendo urla continue dai miei che mi dicevano di lasciare, gli altri si sistemavano ed io ero fermo.

Arriviamo allo scorso novembre quando una sera, in seguito ad una lettura involontaria in materia di cristianesimo che mi fatto venire dubbi sulla Fede, sono stato assalito per 2 giorni nuovamente da questo panico fortissimo, soprattutto a letto, con questa sensazione di andare a fuoco e bruciare tutto il corpo, sfociata poi in depressione fortissima. Siccome capitava che dopo 7 giorni mi passava e ritornava la depressione ho resistito fino a natale quando ho ricontattato lo psichiatra, per arrivare ad oggi.

Forse è la paura e la consapevolezza di non poter mai riuscire a laurearmi a farmi stare male, il sapere che la giovinezza è finita, la paura di incontrare persone che mi chiedano cosa stia facendo, la paura e la consapevolezza di essere "diverso" dagli altri e quindi di non poter mai riuscire ad affrontare la vita. Sto provando a studiare ma non riesco quando si riabbassa l'umore; penso che andare avanti con medicina sia l'unica cosa che possa farmi uscire dal tunnel.

Ad un certo punto, dopo quel cambiamento estetico del naso, vero spartiacque della mia vita, mi è importato solo di conquistare lo status di "bel ragazzo", fare conquiste e farlo sapere per sentirmi felice ed appagato, convinto che sarei morto giovane in qualche modo e allora meglio avere qualche bel ricordo.

Per concludere, alla base come vede sono estremamente fragile e debole, non ho la cazzimma che vedo negli altri, per questo ad inizio consulto chiedevo se forti limiti caratteriali e psicologici possano inficiare l'efficacia di un farmaco antidepressivo.

Scusi per l'eccessiva prolissità, sarei felice mi rispondesse.
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Dottor Pacini, sono stato io impreciso. Intendevo dire fare psicoterapia cognitivo/comportamentale insieme all'assunzione del farmaco. Lo psichiatra che mi segue dice di fare un altro tipo di psicoterapia, quella umanistico esistenziale, non so quanto cambi e se nel mio caso sia inefficace.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Diabetologo, Medico delle dipendenze 47k 1k
La sua domanda somiglia molto a quella di uno con un'ossessione corporea che arriva al solito vicolo cieco, e cioè chiedersi se la cura può essere in contraddizione con elementi che ritiene oggettivi o con una fonte oggettiva di scoraggiamento.
Ma l'esposizione da una parte indica motivi che sarebbero oggettivi, dall'altra descrive invece un versante caratteriale.
Non sarebbe strano se il problema consistesse nello sviluppo di una convinzione sull'estetica con conseguente imbocco della strategia di "essere rassicurati" sulla bellezza/bruttezza.

Dr.Matteo Pacini
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Dottore mi scusi, siccome a breve ho la visita e continuo ad avere ogni 5/7 giorni alternanza di fasi di buon umore con appetito, capacità di dormire e relativo benessere ad altre con umore basso, bassa autostima, difficoltà ad addormentarmi, scarso appetito e frequenti minzioni, mi è venuto il sospetto che alla base possa esserci una quadro bipolare. Premetto che non ho mai avuto episodi che facciano pensare alla mania o all'ipomania e che al momento sono a 28 giorni di cipralex 20 mg. È possibile che ci siano pazienti bipolari senza episodi di mania o ipomania? Glielo chiedo poiché stavo pensando di parlarne allo psichiatra.
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