Rebound o no?

Salve, ho 30 anni e sono in cura da due + due anni con paroxetina per attacchi di panico e agorafobia;
allla fine dei primi due ho iniziato a scalare e poi ho tolto definitivamente il farmaco, ma gli effetti sono stati devastanti e ho ricominciato a prenderlo per i successivi due anni.

Negli ultimi sei mesi la dose che assumevo era molto bassa, 10 mg al giorno, per diverse settimane 5, e non ho avuto problemi.

Dopo aver smesso definitivamente però (un mese fa), di nuovo ricaduta pesantissima, che non accenna a passare.
Sono seguita al momento da una psicoterapista, che è convinta che questi siano effetti rebound e di astinenza del farmaco, io sono molto preoccupata.

Sinceramente, è possibile che il rimbalzo sia così forte? Mi ritornano tutti tutti i sintomi peggiori, ho attacchi di panico che non avevo da anni..

Vorrei tenere duro (lo sto facendo) e aspettare che passi questo momento per capire se ce la faccio da sola, ma gradirei sapere, con franchezza; c'è la probabilità che io semplicemente debba prendere queste maledette medicine tutta la vita?

La psicologa (di cui mi fido molto) mi assicura che mi ci vorranno almeno 2-3 mesi prima di ritrovare un equilibrio nuovo, possibile?
Leggo che gli effetti del rebound durano una settimana o poco più, cosa capita allora nel mio caso? Non sono guarita ancora del tutto e le medicine erano davvero l'unica cosa che mi teneva in piedi?

Se mi permettete il francesismo, che palle!

Grazie per la cortese attenzione
Saluti
[#1]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

Parte da presupposti sbagliati. Perché intanto medicine "maledette" ? Le hanno consentito di vivere senza l'handicap del disturbo di panico non trattato, funzionano nel tempo anche a più riprese.
Talvolta il disturbo risponde estinguendosi, talvolta è intermittente, altre è pressoché continuo.
I sintomi rebound non insorgono con questa tempistica, e nel tempo si ridimensionano nel tempo. Le persone che sospendono la terapia senza ricaduta non riferiscono grossi problemi nel farlo, e se hanno sintomi d'ansia vanno avanti perché di solito non sfociano poi nel panico vero e proprio.
Non esiste psicoterapia che sia concepita, né funzioni, in maniera da consentire di per sé alla persona di non prendere medicine per conservare i risultati ottenuti. Le psicoterapie contribuiscono alla cura del disturbo, meglio se associate ad altri mezzi terapeutici sinergici, come le farmacoterapie.
Le terapie per il panico che durano meno di due anni sono seguite molto spesso da ricaduta, quindi le terapie protratte sono la regola. Inoltre lei nel tempo sembra "reggere" con dosi minori, quindi questo è un segnale positivo. Provare a sospendere senza altra ragione se non quella di smettere finalmente le medicine espone spesso a ricadute che poi riportano indietro il cervello, di solito non succede niente ma è come il gioco dell'oca, si ritorna ad uno stadio precedente, e poi ci si cura di nuovo etc.
Senta il suo psichiatra e si faccia spiegare bene il tipo di "normalità" nella cura del panico. Certamente che i risultati ottenuti sono stati ottenuti per mezzo della terapia.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

[#2]
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Utente
Utente
Gentile dott. Pacini

grazie molte per la sua risposta.

Io sono assolutamente riconoscente alle medicine per la prima volta in vita mia, mi hanno permesso di farmi sentire "normale", di vivere un'esistenza a mente sgombra, cosa che non capitava da quando, a 17 anni, ho avuto la prima crisi di panico (seguita poi da crisi ossessive).

Questo però non mi impedisce di provare una rabbia pazzesca all'idea di dover eventualmente prendere farmaci tutta una vita; intanto, lo sappiamo bene entrambi, gli ssri sono farmaci recentemente giovani e non si sono ancora studiati gli effetti a lungo termine, quindi ho una minima preoccupazione su cosa implichi ricorrere alla chimica tutta una vita.
Secondo, in generale, è odiosa l'idea di dover dipendere da qualche cosa; come fare, ad esempio, se desiderassi una gravidanza?

Comunque, questi discorsi sono a difesa del mio definire le medicine "maledette", anche se, le ripeto, mi hanno praticamente salvato la vita.

Per quanto riguarda la psicoterapia, mi sono rivolta a una dott.ssa della scuola di Nardone, che ha sviluppato questa terapia breve strategica, e che mi aveva aiutato in un altro momento di difficoltà; pare avesse funzionato in quel caso, ma ora ho appena ricominciato e sono schiacciata dal peso della ricaduta, quindi sono un po' in attesa.

Per quanto riguarda il mio psichiatra, invece, nei suoi "protocolli" prevede cure dai 6 mesi ad un anno per una remissione dei sintomi di panico e ansia; io ho sforato ben bene eppure eccomi qua.
Tra l'altro, l'ansia sale a livelli altissimi per cui si aggiungono anche ossessioni di tipi diversi.

Mi sta confermando, più o meno, che quindi io posso stare bene solo e unicamente grazie a una pastiglia.. scusi lo sconforto ma credo lo proverebbe anche lei, se fosse nella mia condizione.. sono ancora giovane, dall'esterno la gente non si accorge quasi che soffro, mi sono laureata, sono una ragazza bella e brillante eppure ho questo cancro che mi divora. L'unica differenza è che il cancro lo curi, poi o muori o guarisci, in questo caso invece, o ti curi a vita o muori, giusto?

Grazie per l'attenzione, saluti
[#3]
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
gentile utente

il protocollo non e' personale ma generalizzato e riferito a linee guida, pertanto il tempo del suo trattamento al dosaggio standard non e' sufficiente e ciò potrebbe essere motivo di ricadute.

https://wa.me/3908251881139
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[#4]
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Utente
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Salve dott. Ruggiero

come si decide, quindi, in generale, qual'è il tempo del trattamento?

Bisogna smettere i farmaci e stare bene? Semplicemente questo?

Grazie
[#5]
Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 3.9k 196 21
Gentile utente,
le linee guida stabiliscono in linea generale i tempi di trattamento.
I farmaci SSRI sono sul mercato da almeno vent'anni e sono largamente utilizzati, per cui gli effetti a lunga scadenza non sono proprio sconosciuti. Due anni non è "per sempre".
Per quanto riguarda la gravidanza, i rischi sono noti e sono piuttosto bassi, ma se comprensibilmente non si sente di affrontarli, tenga presente che molte donne hanno sospeso gli antidepressivi per qualche tempo senza grossi problemi, anche perché l'assetto ormonale in gravidanza è diverso e modifica anche l'atteggiamento psicologico.
Se le fosse necessario un antiipertensivo, un antiepilettico o un ipoglicemizzante il problema sarebbe uguale, ma l'impatto emotivo no, perché, sbagliando, siamo convinti tutti di dover controllare l'ansia e il panico con la volontà, il che è una dannosa stupidaggine.
Se dopo qualche giorno di sospensione della terapia i disturbi ritornano, vuol dire che è troppo presto per sospenderla, come le hanno detto i colleghi.
Cordiali saluti

Franca Scapellato

[#6]
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Utente
Utente
Gentile dott.ssa Scappellato

grazie per il suo parere; concorderà con me che 20 anni non sono propriamente un "lungo termine", nè tanto meno "una vita", insomma immagino non ci siano ancora così tanti pazienti che hanno preso antidepressivi dai 20 anni agli 80, e che quindi si navighi ancora un po' a vista.

Comunque, al di là di questo aspetto, concordo che prendere medicinali per tanti anni già lo si fa, come nei casi citati da lei; non è però solo l'impatto emotivo che cambia (sì, anche quello), ma il fatto che l'organo trattato - il cervello - sia giustamente trattato in modo diverso dal cuore, il fegato il pancreas.. è pur sempre l'organo più complesso del ns corpo ed è la sede del pensiero, trovo giusto porsi più domande (cosa che continuano a fare i medici stessi, visto che sul cervello sono ancora tantissime le cose assolutamente incomprese).

Forse dovrei farmene proprio solo una ragione, il problema è vivere come una sconfitta l'essere malata di una cosa che distorce completamente la mia visione della realtà; di nuovo, una malattia al cuore non incide su pensieri, immagini intrusive, ecc ecc, e la cosa è proprio dura da mandare giù.

La ringrazio della sua attenzione, immagino che a questo punto prenderò un appuntamento con lo psichiatra.

cordiali saluti
[#7]
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Utente
Utente
p.s. quando dice "molte donne hanno sospeso gli antidepressivi per qualche tempo senza grossi problemi"

direi che purtroppo non è il mio caso, visto che sono quasi due mesi che ho sospeso la cura e sto uno straccio... pazienza?
[#8]
Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 3.9k 196 21
Gentile utente,
se si potesse scegliere quando smettere i farmaci, si potrebbe anche scegliere di non ammalarsi, ma purtroppo non è così.
Il suo obiettivo dovrebbe essere quello di vivere il meglio possibile, senza pensare troppo alle medicine. Era arrivata a una dose di mantenimento di 5 mg (quasi omeopatica) e stava bene...
Cordiali saluti
[#9]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

Non è corretto che gli SSRI siano farmaci giovani (metà anni '80), e comunque anche i vecchi farmaci avevano un'azione simile, la serotonina non è affatto scoperta degli ultimi anni.
I limiti psicologici che ha rispetto all'idea di essere malata sono autentici nemici della sua salute quando le inducono comportamenti contrari a quella che è la conoscenza su come mantenersi in salute curandosi.
E' chiaro che poi un medico che la veda "scalpitante" di fronte all'idea di provare a sospendere le cure potrà assecondarla in questo, ma alla fine questo tipo di strategia sembra non pagare. Molte persone riescono a passare lunghi periodi della vita non curandosi più, grazie al fatto di averlo fatto in precedenza e per tempi lunghi. Altre persone sono se vuole fortunate perché il loro disturbo va in remissione spontaneamente dopo un periodo. Il sogno delle terapie brevi per risolvere malattie croniche è ancora tale. Le psicoterapie possono essere di giovamento con obiettivi specifici, il fatto che sia breve non significa "che in tempi brevi risolve il problema", significa che è una terapia concepita sul breve termine per risolvere alcuni aspetti o fasi di un problema che per sua natura può ripresentarsi o rimanere comunque attivo su altri fronti.
Cerchi di seguire il suo psichiatra e se mai orienti la psicoterapia a rielaborare questa assurda corrispodnenza tra il concetto di malattia e quello di colpa o vergogna o necessità di "sforzarsi".
[#10]
dopo
Utente
Utente
Vi ringrazio nuovamente per la pazienza e le risposte.

Mi fa abbastanza riflettere quello che dice, dott. Pacini, rispetto al mio "approccio" alla malattia; le confesso che non vi è nessun senso di colpa o di vergogna quanto invece una rabbia fortissima nel vedere due lati di me così agli antipodi.
Quello intraprendente, coraggioso, brillante, curioso, assetato di vita, e quello che ha paura anche di mettere il naso fuori casa, che ha ossessioni terrificanti e attacchi di terrore puro infondati.
Capisce che vedere me-con-gli-antidepressivi che mollo tutto e vado a vivere e a lavorare in una nazione straniera, da sola, per quasi due anni, e poi scontrarmi con me-senza-antidepressivi che invece non riesce a prendere un treno per fare un viaggio di un'ora, non mi fa vergognare o cosa, mi fa solo incazzare.
Si immagini poi vedere che due dei fratelli di mio padre, c'hanno lasciato la vita, a causa di problemi psicologici, non mi dà una grande fiducia.

Non sto cercando di sforzarmi. O per lo meno, non da sola, so quanto sia inutile; ho visto, già un paio di anni fa, quanto la psicoterapia sia riuscita ad aiutarmi in un momento difficile, e ho voluto fare un tentativo anche ora. Non credo per forza nella "brevità" della terapia, non mi interessa, quanto nella sua potenzialità nel poter eliminare il problema una volta per tutte.

Poi, se sarà un fallimento, pazienza, ho già potuto constatare che almeno la chimica funziona.

Grazie molte per l'attenzione
[#11]
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Ok ha preso una decisione.
[#12]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
"Non credo per forza nella "brevità" della terapia, non mi interessa, quanto nella sua potenzialità nel poter eliminare il problema una volta per tutte."

Appunto. E' questo l'aspetto irrealistico del discorso. Aiutare è un conto, curare è diverso. Lei prende un po' come scusa che una psicoterapia X serve all'aspetto X per trarne l'idea guida che servirà anche a tutto il resto e soprattutto risolverà definitivamente il problema. Questo purtroppo è frutto di un atteggiamento in cui la differenza la farebbe un fattore non meglio precisato e identificato che corrisponde solo alla sua idea che "ci deve essere" un'altra soluzione.

Peccato perché poi uno si trova con una malattia peggiore di prima, non curata per questo motivo e con un atteggiamento ancora meno incline a curarsi. Peraltro anche la psicoterapia è chimica, quindi questa distinzione tra chimica e non chimica non ha senso: lei cerca soltanto qualcosa da cui non dipendere, e questa è un'impostazione fuorviante. Che hanno solo i malati psichiatrici, perché un malato di cuore è contento di poter (non di dover) dipendenre da una cura per non riavere un infarto subito.

La sintesi del suo pensiero è: "so che la chimica funziona, ma vado invece a cercare una soluzione ignota e improbabile, solo perché mi piace più nel mio sentire". Se invece educasse il suo sentire alla realtà, almeno quando si tratta di risolvere i problemi di questo tipo, ne guadagnerebbe.
Anche in prospettive di guarigione teoriche.
[#13]
dopo
Utente
Utente
Salve dott. Pacini

è un piacere discutere con lei, la ringrazio per le risposte.

Le devo però confessare che in molti punti mi lascia perplessa per come i disagi psichici siano ancora trattati a comparti stagni e siano oggetti di controversie che non si riescono proprio a sanare..

Si rende conto (dal punto di vista del paziente) di cosa significhi sentire due professionisti, affermati, capaci, competenti, preparati, che affermano con sicurezza che lo stesso problema si può curare in due modi completamente diversi, dichiarando mediamente infondato il sistema proposto dal collega?

Le medicine funzionano, ci siamo; per quanto tempo? Non si sa, si prova. Se le si deve smettere? Ci si trova punto da capo. Poi, COME funzionano? Non ho capito, CURANO il problema? In che modo? i miei neurotrasmettitori che non funzionano bene, grazie alle botte di paroxetina, prima o poi si rimettono in sesto? Questo è un discorso lungo e non so se lei abbia il tempo di rispondere.

Ripeto, sono ben contenta che funzionino, io ci ho fatto un altarino e acceso un cero tutte le sere, quando per due anni ho preso aerei una volta al mese e ho fatto tutte le cose che desideravo nella vita, ma..

Ma lei l'ha mai preso un antidepressivo?
Scusi per la domanda personale, ma le assicuro che non è comunque una scelta semplice, che si devono fare i conti con alcuni effetti collaterali fastidiosi (si ok, sono "un fastidio", niente di paragonabile con un attacco di panico o ossessivo), e se qualcuno le dice "puoi guarire anche in quest'altro modo"...
(e se questa persona non è il mago zurlì, ma ripeto, una persona accreditata)

Insomma lei stesso mi dice che sempre di chimica si tratta, e allora perchè non provare?
Sto facendo queste domande a lei ma anche a me, non si preoccupi, purtroppo ho questo difetto di pormi mille-troppe- domande, visto che come le accennavo prima, sono io che devo prendere antidepressivi, sono io che sono definita "malata psichiatrica", vorrei capire a fondo che cos'è questo disturbo che non mi lascia pace.

Onestamente, non sono ancora soddisfatta della risposta. O almeno, dal fatto di non riuscire ad averne una che metta d'accordo medici diversi.
[#14]
Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 3.9k 196 21
Gentile utente,
se lei cerca delle certezze matematiche, mi spiace, ma questa è medicina: non c'è accordo assoluto su quasi niente, dalle cause dell'ulcera peptica alla riabilitazione dopo l'ictus cerebrale. E' per questo che sono state "inventate" le linee guida, che stabiliscono alcuni parametri, comunque tutt'altro che fissi: spesso l'esperienza, l'intuizione e altre cose ancora meno controllabili influiscono sulle decisioni terapeutiche.Se no qualunque computer potrebbe stabilire la cura giusta.
Per quanto riguarda l'effetto dell'antidepressivo sul cervello, per fortuna adesso è meno misterioso, perché con la risonanza magnetica funzionale dell'encefalo si sono potute osservare delle modificazioni macroscopiche in certe aree del cervello implicate nella gestione delle emozioni, dell'attenzione e così via e, guarda un po', le stesse modificazioni si realizzerebbero anche in seguito alla psicoterapia. La strada è ancora lunga, le risposte non ci sono tutte e non sono complete, ma non siamo più a "questo-funziona-chissà-perché".
Cordiali saluti
[#15]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

sono felice che apprezzi le mie risposte, ma persevera in un paio di atteggiamenti tutt'altro che utili:
- voler ragionare in maniera paradossale, cioè pensare che l'eccezione merita priorità rispetto alla regola, e che naturalmente il suo caso rientrerà nell'eccezione perché lo ha deciso lei.
- pretendere che le risposte "le piacciano" o "la convincano", che è un pessimo metro di giudizio perché i migliori convincitori sono di solito i meno onesti, e ciò che piace è sentirsi dire che non è niente e che la cura finisce domani con risultati definitivi. Solo se questo è realistico avrà una risposta che le piacerà, ed è in generale improbabile.
Si affidi ad un medico che ha le idee chiare e ha il coraggio di ragionare umanamente ma allo stesso tempo non sul caso specifico come punto di partenza, ma sullo standard appreso dalla comunità scientifica.

In ultimo, insiste sul fatto che uno debba esserci passato per poter capire. Le faccio di nuovo notare che un medico deve saper curare prima di capire, capire per esperienza personale non serve a saper curare, mi creda, anzi spesso fa commettere gli stessi errori che commetterebbero i malati, come ben si sa tra colleghi il collega malato è difficile da gestire perché mette al servizio dell'"l'esserci passato" la sua competenza tecnica teorica in medicina, con risultati disastrosi se si autogestisce.
[#16]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dottore

c'è un punto su cui continua a soprassedere lei; mi parla di comunità scientifica e di standard, quando, parlando con tre diversi medici, si ottengono tre diverse risposte (questo facendo una media).

Lo psichiatra da cui ero (sono, eventualmente) in cura, è un suo collega, gestisce un grosso centro in una grossa città del nord italia, insomma questo per farle capire, dovrebbe farlo rientrare nella categoria di "medico dalle idee chiare che ragiona umanamente e lavora su standard ecc ecc".

Ebbene, questo stesso medico è quello che ad ogni visita mi spronava a intraprendere percorsi psicoterapeutici perchè le medicine erano un grosso aiuto, ma il problema andava risolto "alla base".

Ora.. io di psicoterapia (tradizionale) ne ho fatta e pure tanta; inutile. Non ho nessun problema da risolvere alla base. Non che sia una persona estremamente sana ed equilibrata e serena, ma chi lo è?
Vabbè.

Insomma, questo per dirle che io DEVO per forza scegliere la risposta che più mi piace, perchè non ne trovo una uguale all'altra!
Se poi vogliamo essere precisi, nemmeno scelgo quelle che mi piacciono, ma cerco di essere pure io un po' scientifica nella mia ricerca di una soluzione; la terapia messa a punto dal dott. Nardone (lo cito solo perchè è la scuola che è stata fondata da lui, non che io sia in cura da lui), a quanto pare porta numeri percentuali ecc.
E, come le dicevo, ho già provato sulla mia pelle alcuni piccoli successi.

Stia sicuro che a convicermi ce ne va, sono scettica e se non vedo non credo; partendo da questo presupposto, mi pare di capire che anche le medicine hanno i loro limiti, o sbaglio?
se le interrompo dopo 4 anni, infatti, torno a stare peggio di prima. E lei e nessuno mi sa dire se potrò mai interromperle definitivamente e dopo quanti anni di assunzione.
Mi pare tutto molto confuso, a lei no?

Saluti!
[#17]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Gentile utente,

Può scegliere la risposta che le piace di più, o quella che le piace di meno. Essendo tutte diverse, niente la obbliga a scegliere quella che le piace di più, non è questo un criterio indicativo di niente, perché ciò che piace non corrisponde a ciò che è utile come regola.
Capisco il suo disorientamento, ma la ricerca scientifica dice alcune cose, che non sono quelle che lei mi ripeteva.
Nessuna ricerca dimostra che per "Risolvere il problema alla base etc" vi sia un metodo, e che questo sia la psicoterapia piuttosto che la farmacoterapia, o lo shock.
Per quella che è la mia esperienza, la maggior parte dei casi non incontrano una soluzione radicale ma un buon controllo o nel tempo una remissione che può equivalere per anni a guarigione, ma non esclude la ricaduta.
E' corretto che lei non si faccia convincere facilmente, e purtroppo mentre esiste un sistema che tutela l'esposizione ai farmaci (che sono autorizzati dopo prove e controprove, e anche qui ci scappano gli imprevisti) non esiste un sistema che può filtrare le informazioni o i commenti liberi che un professionista può fare sulla base di ciò che gli piace pensare sia la via migliore.
[#18]
dopo
Utente
Utente
Salve Dottore

le lascio ancora un messaggio poi giuro basta che l'avrò già stressata abbastanza...

"la maggior parte dei casi non incontrano una soluzione radicale ma un buon controllo o nel tempo una remissione che può equivalere per anni a guarigione, ma non esclude la ricaduta"

giusto per ritornare in tema; questa cosa che mi ha scritto significa che non guarirò mai totalmente dall'ansia-agorafobia-attacchi di panico, per bene che mi vada miglioro un pochetto, sto sempre pronta a ricadute, e quindi il mio star male di adesso significa che devo tornare alle pilloline.

Giusto?
(un pelo deprimente)

Buona serata e grazie!
[#19]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Significa che il decorso di quel disturbo è quanto mai variabile e instabile nel tempo. "Guarire" in medicina è un concetto che riguarda l'esaurimento del processo che sta alla base dei sintomi, se dopo dieci anni si ha una ricaduta non si può dire che il disturbo fosse guarito, era rimasto "spento".
Ciò che la deprime, cerchi di rifletterci con tutta la calma, è una visione che identifica il curarsi con un arrendersi, come se la vittoria vera fosse altrove e soprattutto stesse nel controllare il disturbo senza ricorrere ad altro che a sé stessi. Le medicine sono una sua emanazione e propaggine, è lei che sceglie di farsi dire come deve prenderle e che alla fine le prende seguendo la prescrizione, e sono fatte per insegnare al suo cervello a non "fare" più il panico, non come pensano alcuni per annebbiarlo e togliere i sintomi, senza però fargli risolvere il problema. Quando perfetto sarà il risultato dipende da fattori biologici in parte non noti, e da fattori ambientali che anche loro non sono noti.
[#20]
dopo
Utente
Utente
Ciò che mi deprime sono tutti questi "non noti" che mi lasciano sempre molto perplessa; per il resto, ha ragione.
La ringrazio ancora moltissimo per l'attenzione.
[#21]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 990 248
Ci saranno sempre dei fattori non noti. Non sempre sono importanti e non sempre esistono davvero, a volte sono di una banalità sconcertante, tipo la differenza nel modo in cui assorbiamo o metabolizziamo i farmaci.
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