Ho combinato un pasticcio
Gentilissimi,
Sono in terapia presso un consultorio da 3 anni e ormai siamo giunti alla fine del percorso.
Con psicoterapeute donne non riesco a parlarci: detesto le donne perché loro sono donne e io no.
Non lo sono perché nat* con un'anomalia dei cromosomi sessuali e un conseguente disturbo dello sviluppo sessuale.
Mi sono sempre confrontat* con terapeuti uomini perché la rabbia verso una donna sarebbe troppa da gestire.
Il mio attuale terapeuta sporadicamente ha accennato a vissuti suoi personali che ho pensato, forse, potessero essere simili ai miei.
Una volta espressi il timore che, se mai in futuro avessi la possibilità di adottare, non riuscirei a sentire veramente mio quel figlio, perché non lo è biologicamente.
Il terapeuta mi rispose: "Io ho una figlia adottiva, è mia figlia a tutti gli effetti".
Un altro paio di volte mi arrabbiai perché mi rispondeva: "la capisco" quando dicevo di non sopportare il fatto che gli altri sono sono "donne vere" o uomini "veri", e io invece no, sono un errore genetico.
Al mio: "ma lei cosa c**zo vuole capire, che sicuramente è nato normale? " Il terapeuta mi rispondeva "lei non conosce la mia storia, ma le assicuro che la capisco".
Ricordo una volta in particolare. Parlavo del fatto che la gente di solito nemmeno immagina che esistano condizioni di Intersessualità, e feci un esempio: "in una stanza con 200 persone, statisticamente io sono l'unic* a non essere nella norma".
Mi rispose: "in questa stanza siamo in 2 a non essere nella norma. "
Insomma, mi ero fatt* l'idea che pure lui potesse, forse, avere una condizione di infertilità. Magari genetica.
Non lo davo per scontato, ovvio, ma non feci mai nemmeno domande per rispettare i confini terapeutici.
Per 2 anni non ho proprio toccato il tema.
Ma nell'ultimo mese sono successe cose a livello personale che mi hanno messo in crisi e sento il bisogno di un confronto con chi certi vissuti li ha già sperimentati, anche solo in parte.
Quindi la settimana scorsa gli ho chiesto apertamente se aveva adottato una figlia perché lui non ne poteva avere.
Risposta: "no, posso averne ma non ne ho voluti. "
In quel momento ho sentito come se tutta l'alleanza terapeutica costruita in questi anni si fosse basata su un inganno.
Mi sono arrabbiat*, ma ero soprattutto amareggiat*.
Ho detto che in questi anni avevo pensato che lui potesse capirmi almeno un po' ma, essendo un uomo vero, non capisce un c**zo, come tutti.
Quindi poteva evitare di parlare.
Ha reagito malissimo.
Mi ha urlato contro che sono io che parlo senza sapere un c**zo, non lui. Che lui è nato con una condizione ben peggiore della mia e ha subito più di 40 interventi da che è nato.
Non l'avevo mai visto così arrabbiato.
Ho avuto l'istinto di prendergli le mani e chiedergli più volte scusa, per calmarlo.
Mi sono sentita una m**da e continuo a sentirmi tale.
Però, sento anche che qualcosa si è rotto irrimediabilmente.
Mi sa che non riuscirò più a credere a nulla di quanto dice.
Sono in terapia presso un consultorio da 3 anni e ormai siamo giunti alla fine del percorso.
Con psicoterapeute donne non riesco a parlarci: detesto le donne perché loro sono donne e io no.
Non lo sono perché nat* con un'anomalia dei cromosomi sessuali e un conseguente disturbo dello sviluppo sessuale.
Mi sono sempre confrontat* con terapeuti uomini perché la rabbia verso una donna sarebbe troppa da gestire.
Il mio attuale terapeuta sporadicamente ha accennato a vissuti suoi personali che ho pensato, forse, potessero essere simili ai miei.
Una volta espressi il timore che, se mai in futuro avessi la possibilità di adottare, non riuscirei a sentire veramente mio quel figlio, perché non lo è biologicamente.
Il terapeuta mi rispose: "Io ho una figlia adottiva, è mia figlia a tutti gli effetti".
Un altro paio di volte mi arrabbiai perché mi rispondeva: "la capisco" quando dicevo di non sopportare il fatto che gli altri sono sono "donne vere" o uomini "veri", e io invece no, sono un errore genetico.
Al mio: "ma lei cosa c**zo vuole capire, che sicuramente è nato normale? " Il terapeuta mi rispondeva "lei non conosce la mia storia, ma le assicuro che la capisco".
Ricordo una volta in particolare. Parlavo del fatto che la gente di solito nemmeno immagina che esistano condizioni di Intersessualità, e feci un esempio: "in una stanza con 200 persone, statisticamente io sono l'unic* a non essere nella norma".
Mi rispose: "in questa stanza siamo in 2 a non essere nella norma. "
Insomma, mi ero fatt* l'idea che pure lui potesse, forse, avere una condizione di infertilità. Magari genetica.
Non lo davo per scontato, ovvio, ma non feci mai nemmeno domande per rispettare i confini terapeutici.
Per 2 anni non ho proprio toccato il tema.
Ma nell'ultimo mese sono successe cose a livello personale che mi hanno messo in crisi e sento il bisogno di un confronto con chi certi vissuti li ha già sperimentati, anche solo in parte.
Quindi la settimana scorsa gli ho chiesto apertamente se aveva adottato una figlia perché lui non ne poteva avere.
Risposta: "no, posso averne ma non ne ho voluti. "
In quel momento ho sentito come se tutta l'alleanza terapeutica costruita in questi anni si fosse basata su un inganno.
Mi sono arrabbiat*, ma ero soprattutto amareggiat*.
Ho detto che in questi anni avevo pensato che lui potesse capirmi almeno un po' ma, essendo un uomo vero, non capisce un c**zo, come tutti.
Quindi poteva evitare di parlare.
Ha reagito malissimo.
Mi ha urlato contro che sono io che parlo senza sapere un c**zo, non lui. Che lui è nato con una condizione ben peggiore della mia e ha subito più di 40 interventi da che è nato.
Non l'avevo mai visto così arrabbiato.
Ho avuto l'istinto di prendergli le mani e chiedergli più volte scusa, per calmarlo.
Mi sono sentita una m**da e continuo a sentirmi tale.
Però, sento anche che qualcosa si è rotto irrimediabilmente.
Mi sa che non riuscirò più a credere a nulla di quanto dice.
Gentile utente,
Sono trascorsi 20 giorni da quando ha postato per la prima volta questo consulto.
Le chiedo dunque come, in questo lasso di tempo, si è andata sviluppando la situazione:
- quella interna di Lei con se stessa
- quella relazionale con il Suo Psy.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Sono trascorsi 20 giorni da quando ha postato per la prima volta questo consulto.
Le chiedo dunque come, in questo lasso di tempo, si è andata sviluppando la situazione:
- quella interna di Lei con se stessa
- quella relazionale con il Suo Psy.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Utente
Gentilissima,
La ringrazio per la risposta.
Dopo quanto è successo ancora non ho avuto modo di parlare con il terapeuta, avrò un colloquio tra 10 giorni.
Per quanto riguarda me, i primi due giorni mi sono sentit in colpa, pensavo di avere fatto domande troppo inopportune.
Però, poi ripensandoci, ho fatto una sola e unica domanda: se lui avesse optato per le adozione perché non poteva avere figli suoi. L'ho chiesto in modo gentile e avevo premesso che mi permettevo di fargli questa domanda solo perché ormai siamo alla fine del percorso, e che comunque non era affatto obbligato a rispondermi.
E lui, a ripensarci, ha risposto del tutto serenamente. Anzi, mi ha raccontato spontaneamente di come avesse conosciuto la madre di sua figlia quando questa era già incinta, senza che io chiedessi alcunché.
Quindi no, non è stata la mia domanda a farlo arrabbiare. È stato il fatto che io dopo ho reagito dicendogli che, se lui non aveva alcun problema di fertilità, allora non mi poteva capire, e che non si doveva più permettere di dirmi che mi capiva, a farlo esplodere. È lì che si è arrabbiato urlandomi che lui era nato con una condizione molto peggiore della mia. Senza che io peraltro gli chiedessi alcunché sulla sua condizione medicina (non mi permetterei mai!).
E io sinceramente non so se andrò all'incontro tra 10 giorni. Sento di non volere più avere nulla a che fare con uno che reagisce con così tanta violenza.
La ringrazio per la risposta.
Dopo quanto è successo ancora non ho avuto modo di parlare con il terapeuta, avrò un colloquio tra 10 giorni.
Per quanto riguarda me, i primi due giorni mi sono sentit in colpa, pensavo di avere fatto domande troppo inopportune.
Però, poi ripensandoci, ho fatto una sola e unica domanda: se lui avesse optato per le adozione perché non poteva avere figli suoi. L'ho chiesto in modo gentile e avevo premesso che mi permettevo di fargli questa domanda solo perché ormai siamo alla fine del percorso, e che comunque non era affatto obbligato a rispondermi.
E lui, a ripensarci, ha risposto del tutto serenamente. Anzi, mi ha raccontato spontaneamente di come avesse conosciuto la madre di sua figlia quando questa era già incinta, senza che io chiedessi alcunché.
Quindi no, non è stata la mia domanda a farlo arrabbiare. È stato il fatto che io dopo ho reagito dicendogli che, se lui non aveva alcun problema di fertilità, allora non mi poteva capire, e che non si doveva più permettere di dirmi che mi capiva, a farlo esplodere. È lì che si è arrabbiato urlandomi che lui era nato con una condizione molto peggiore della mia. Senza che io peraltro gli chiedessi alcunché sulla sua condizione medicina (non mi permetterei mai!).
E io sinceramente non so se andrò all'incontro tra 10 giorni. Sento di non volere più avere nulla a che fare con uno che reagisce con così tanta violenza.
Utente
Gentilissima,
La ringrazio per la risposta.
Dopo quanto è successo ancora non ho avuto modo di parlare con il terapeuta, avrò un colloquio tra 10 giorni.
Per quanto riguarda me, i primi due giorni mi sono sentit in colpa, pensavo di avere fatto domande troppo inopportune.
Però, poi ripensandoci, ho fatto una sola e unica domanda: se lui avesse optato per le adozione perché non poteva avere figli suoi. L'ho chiesto in modo gentile e avevo premesso che mi permettevo di fargli questa domanda solo perché ormai siamo alla fine del percorso, e che comunque non era affatto obbligato a rispondermi.
E lui, a ripensarci, ha risposto del tutto serenamente. Anzi, mi ha raccontato spontaneamente di come avesse conosciuto la madre di sua figlia quando questa era già incinta, senza che io chiedessi alcunché.
Quindi no, non è stata la mia domanda a farlo arrabbiare. È stato il fatto che io dopo ho reagito dicendogli che, se lui non aveva alcun problema di fertilità, allora non mi poteva capire, e che non si doveva più permettere di dirmi che mi capiva, a farlo esplodere. È lì che si è arrabbiato urlandomi che lui era nato con una condizione molto peggiore della mia. Senza che io peraltro gli chiedessi alcunché sulla sua condizione medicina (non mi permetterei mai!).
E io sinceramente non so se andrò all'incontro tra 10 giorni. Sento di non volere più avere nulla a che fare con uno che reagisce con così tanta violenza.
E la cosa che mi ha spaventato è stato che è successo così di botto. Senza che ci fossero stati contrasti o motivi di attrito prima o nelle sedute precedenti.
La ringrazio per la risposta.
Dopo quanto è successo ancora non ho avuto modo di parlare con il terapeuta, avrò un colloquio tra 10 giorni.
Per quanto riguarda me, i primi due giorni mi sono sentit in colpa, pensavo di avere fatto domande troppo inopportune.
Però, poi ripensandoci, ho fatto una sola e unica domanda: se lui avesse optato per le adozione perché non poteva avere figli suoi. L'ho chiesto in modo gentile e avevo premesso che mi permettevo di fargli questa domanda solo perché ormai siamo alla fine del percorso, e che comunque non era affatto obbligato a rispondermi.
E lui, a ripensarci, ha risposto del tutto serenamente. Anzi, mi ha raccontato spontaneamente di come avesse conosciuto la madre di sua figlia quando questa era già incinta, senza che io chiedessi alcunché.
Quindi no, non è stata la mia domanda a farlo arrabbiare. È stato il fatto che io dopo ho reagito dicendogli che, se lui non aveva alcun problema di fertilità, allora non mi poteva capire, e che non si doveva più permettere di dirmi che mi capiva, a farlo esplodere. È lì che si è arrabbiato urlandomi che lui era nato con una condizione molto peggiore della mia. Senza che io peraltro gli chiedessi alcunché sulla sua condizione medicina (non mi permetterei mai!).
E io sinceramente non so se andrò all'incontro tra 10 giorni. Sento di non volere più avere nulla a che fare con uno che reagisce con così tanta violenza.
E la cosa che mi ha spaventato è stato che è successo così di botto. Senza che ci fossero stati contrasti o motivi di attrito prima o nelle sedute precedenti.
Gentile utente,
cose che succedono quando si infrange il setting.
Può accadere più frequentemente verso la fine della terapia,
- quando le distanze di ruolo diminuiscono,
- quando entramb* si illudono che la produttività del lavoro fatto insieme li metta in grado di parlarsi "da persona a persona". Ma "da persona a persona" possono da entramb*uscire sentimenti ingombranti, che i ruoli psy-paziente tenevano sotto controllo.
Come rimediare?
Non conosco le sue risorse interne e nemmeno la sua capacità di gestire la rabbia e la delusione. E dunque nessuno consiglio operativo.
Una unica riflessione:
chiudere male una esperienza - e la psicoterapia lo è - mette delle ombre sulle tante cose capite e maturate insieme.
Conviene dunque fare ogni sforzo per chiudere ("sufficientemente") bene. Il concetto di "sufficientemente" è di D. Winnicott e porta a riflettere che tra il bianco e il nero c'è il "sufficiente". Una "sufficienza" accettabile ed apprezzabile, di chi ha superato l'idealizzazione e che rifugge dalla demonizzazione delle differenze.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
cose che succedono quando si infrange il setting.
Può accadere più frequentemente verso la fine della terapia,
- quando le distanze di ruolo diminuiscono,
- quando entramb* si illudono che la produttività del lavoro fatto insieme li metta in grado di parlarsi "da persona a persona". Ma "da persona a persona" possono da entramb*uscire sentimenti ingombranti, che i ruoli psy-paziente tenevano sotto controllo.
Come rimediare?
Non conosco le sue risorse interne e nemmeno la sua capacità di gestire la rabbia e la delusione. E dunque nessuno consiglio operativo.
Una unica riflessione:
chiudere male una esperienza - e la psicoterapia lo è - mette delle ombre sulle tante cose capite e maturate insieme.
Conviene dunque fare ogni sforzo per chiudere ("sufficientemente") bene. Il concetto di "sufficientemente" è di D. Winnicott e porta a riflettere che tra il bianco e il nero c'è il "sufficiente". Una "sufficienza" accettabile ed apprezzabile, di chi ha superato l'idealizzazione e che rifugge dalla demonizzazione delle differenze.
Saluti cordiali.
dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 687 visite dal 10/03/2025.
Se sei uno specialista e vuoi rispondere ai consulti esegui il login oppure registrati al sito.
Se sei uno specialista e vuoi rispondere ai consulti esegui il login oppure registrati al sito.
Altri consulti in psicologia
- Ansia da prestazione: è normale e come affrontarla?
- Ansia, isolamento e futuro: terapia è sufficiente?
- Disagio in terapia: le espressioni della terapeuta compromettono il lavoro?
- Sessualità stravolta: aumento desiderio e attrazione per uomini (genitali).
- Dipendenza dagli orgasmi: è possibile?
- Ansia dubbio voglia di vivere oppure morire