Questa paura della morte che non vuole andare via

Gentili dottori,non so se faccia bene o meno ad esporre qui un problema che, per quanto possa sembrare comune, credo stia sconfinando, dentro di me, nel patologico. Sono sempre stata estremamente incline alla riflessione, con un temperamento filosofico e la tendenza inarrestabile a rimuginare su questo o quel quesito esistenziale. Questioni universali come il senso della vita e il significato dell'esistenza, hanno fatto parte di me sin dalla nascita: spesso, da piccola, guardavo le stelle e mi abbandonavo a riflessioni forse più grandi di me, ma da cui traevo soddisfazione e piacere, misti a una certa malinconia che anzichè crearmi problemi, incentivava la mia creatività. Convivevo con tutto questo piuttosto serenamente, mi bastava godere di una giornata di sole, di un abbraccio, di una canzone, di una serata fra amici per colmare l'angoscia che l'impossibilità oggettiva di trovare un senso universale alla vita poteva far sorgere; anzi, forse proprio nel saper godere degli istanti, trovavo un senso mio, personale, che mi aiutava a vivere bene.
Da un anno a questa parte, invece, dopo un paio di attacchi di panico e un periodo piuttosto spiacevole (delusioni lavorative, indisposizioni fisiche, lutti) non so cosa sia successo, ma è come se gli stessi pensieri mi abbiano travolta, annichilendomi; l'idea della morte, della fine, in particolare mi paralizza, rivestendo di inutilità tutto quello che faccio e gettandomi nella disperazione. Sono stata curata nove mesi per una forma depressiva con Paroxetina e Xanax, per sentirmi dire, al termine di questi, che non soffro tanto di depressione quanto di ansia e pensieri ossessivi. Su consiglio della psichiatra, ho smesso i farmaci due settimane fa, combattendo con sintomi da sospensione pesantissimi (nausea, vomito, scosse elettriche, umore ballerino, aggressività mai avuta, commozione esagerata per qualsiasi cosa), e da un paio di giorni, l'angoscia e l'ansia e il terrore della morte, che si erano placati, sono riemersi, gettandomi nel panico. Io non so se siano dovuti o meno alla sospensione dei farmaci, la mia psichiatra fra l'altro è all'estero in questo momento e non so cosa fare, ma sinceramente rigetto l'idea di riprendere una cura farmacologica, anche perchè ho capito più di cosa soffro: ansia, depressione, disturbi ossessivi... cosa devo fare? Questi pensieri di morte sono intrusivi, disturbanti, non li riesco ad eliminare. Ho paura di morire dall'oggi al domani, che la mia esistenza non sarà completa, ma breve. Non so se sia depressione, io amo la vita, ed è per questo che vorrei vivere serena, accettare l'idea della morte come un tempo, quando la vedevo inserita nell'ordine naturale delle cose e tutto assumeva, dentro di me, una prospettiva armoniosa e pacifica. Adesso, invece, dentro di me è come se regnasse il caos, con l'angoscia a far da padrona. E sto veramente male. Certe notti mi sveglio in preda al panico, con pensieri assurdi. Scusate lo sfogo. Grazie per questo servizio. Cordiali saluti
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Gentile utente,

nella sua richiesta precedente era in trattamento con Efexor e non con Paroxetina.

E' alquanto strano che una volta fatta una diagnosi non si intraprenda il trattamento farmacologico opportuno per la sua condizione.

La presenza di sintomi come quelli che descrive non sembrano essere solo dovuti alla sospensione ma possono rappresentare sia un mancato compenso durante il trattamento farmacologico sia la possibilita' che la sua diagnosi non le sia stata chiaramente comunicata.
Oltretutto, nove mesi di trattamento non sono risolutivi per nulla mentre i trattamenti vanno mantenuti per un tempo sufficientemente lungo.
In presenza di un compenso parziale o non soddisfacente deve essere considerata la possibilita' di aumento o variazione della molecola ed attendere i tempi giusti di trattamento nei dosaggi terapeutici previsti.


La psicoterapia richiede comunque una valutazione di eleggibilita'.

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dopo
Utente
Utente
ringrazio entrambi per la risposta. Riguardo l'indicazione di seguire una psicoterapia, effettivamente ne sentivo l'esigenza, benchè con la mia psichiatra si sia tentato un approccio di tipo psicoterapeutico unito a quello farmacologico (che evidentemente, però, non ha funzionato). Una mia conoscente mi aveva rimediato il recapito di una psicologa, che ho contattato ma che ho abbandonato quando ho avuto la spiacevole sensazione che non avesse la più pallida idea di cosa dirmi o di cosa fare. Probabilmente sono solo stata sfortunata, ma sentirmi dire "sei una ragazza carina, intelligente, perchè ti fai venire questi pensieri?" onestamente non aiuta... anzi. Ne è conseguita una perdita di fiducia nei confronti della psicologia, e mi sono affidata solo alla psichiatra; anche in questo caso, però, non ho ben chiare alcune cose: anzitutto non sono stata avvisata riguardo i sintomi da sospensione di Paroxetina, sospensione che peraltro è stata effettuata in maniera repentina -da dieci mg a 0 in una settimana; inoltre, credo ci sia stata parecchia confusione sulla diagnosi, tanto che, quando, come il dott. Ruggiero giustamente ricorda, mi è stato somministrato l'Efexor, proprio perchè si sospettava un problema di depressione maggiore del previsto, questo mi è stato tolto dopo appena una settimana perchè mi causava iper eccitazione (non riuscivo a stare ferma), e mi è stata reintrodotta la Paroxetina perchè, a suo avviso, la reazione avuta era indicativa dell'assenza di un problema di umore... e dunque, dopo essermi stata diagnosticata depressione, ha rivisto la diagnosi decretando che il mio problema fossero ansia e disturbi ossessivi.
Adesso mi trovo nella situazione in cui vorrei superare il problema, ma non so come: ricominciare da capo con la Paroxetina mi inquieta, soprattutto per i numerosi effetti collaterali avuti (e il disturbo l'ha solo ridimensionato, perchè i pensieri intrusivi li avevo comunque, solo con meno ansia e meno frequenti), e l'approccio psicoterapeutico non ha funzionato granchè. Sono piuttosto confusa.
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dopo
Utente
Utente
riguardo l'efexor, rileggendo il messaggio, mancano alcune precisazioni: inizialmente il farmaco mi causava molta sonnolenza e una recrudescenza di sintomatologia ansiosa; poi, improvvisamente, la sonnolenza lasciò il posto a uno stato euforico spropositato e all'iper eccitabilità di cui sopra. Fu dunque sospesa, non dopo una settimana -ricordavo evidentemente male - ma dopo una decina di giorni. Tutto qui. Cordiali saluti.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Gentile utente,

mi pare che la sua problematica sia un po' diversa da un disturbo depressivo.

Sembra che ci siano oscillazioni dell'umore non solo dipendenti dall'assunzione del farmaco ma anche in assenza del trattamento.

Questa considerazione dovrebbe far rivalutare la diagnosi, in concomitanza anche dei pensieri intrusivi che probabilmente fanno erroneamente indirizzare il suo psichiatra verso un disturbo ossessivo.
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Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2009 al 2010
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Utente,

il fallimento di un percorso psicoterapeutico, per quanto non facile da accettare, non è necessariamente indice del fatto che "la terapia non funziona". La delusione può essere forte ma è possibile pensare che, in quel caso, con quel professionista, il lavoro non ha dato i risultati sperati. Ci si può concedere un'altra possibilità, magari muovendosi diversamente in modo che l'esito possa essere migliore.

La psicoterapia è un percorso di lavoro su di sè complesso e delicato, dipende da tanti fattori, tra cui non solo la competenza del professionista, ma anche la qualità della relazione che si instaura con esso e la motivazione del paziente a mettersi in gioco.

Riguardo ai primi due fattori, il consiglio è quello di non affidarsi al "primo che capita" (comportamento purtroppo comune) ma scegliere con cura, sentendo più professionisti e raccogliendo informazioni sulla loro preparazione, esperienza, specializzazione e sulle ipotesi di lavoro che possono prefigurarle. La maggior parte di queste cose possono essere fatte anche mediante uno scambio telefonico o uno/due consulti iniziali.

Dai risultati della ricerca sperimentale, la combinazione tra psicoterapia e farmacoterapia è in molti casi (incluso il suo) consigliabile. Il consiglio è anche qui quello di non escludere la farmacoterapia, ma provare a cercarne una più efficace. Su questo, credo che il dottor Ruggero le abbia dato ottime indicazioni.
Riguardo a questo, è prassi abbastanza diffusa che la cura farmacologica sia supportata da un professionista diverso rispetto allo psicoterapeuta con cui si lavora in termini psicologici.

Infine, voglio soffermarmi sul discorso "motivazione personale": leggendo quanto scrive, ho l'idea che, nonostante la delusione di un percorso fallito e il timore a rimettersi in gioco, dentro di sè lei sappia che la risorsa della psicoterapia possa aprire ad una speranza di miglioramento di vita importante. L'invito è quello di provare a concedersi quest'opportunità.

Cordialmente,
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dopo
Utente
Utente
gentili dottori, grazie ancora per l'attenzione dedicatami.
Non volevo naturalmente tacciare di incompetenza la mia psichiatra, con la quale ho un ottimo rapporto e che mi ha seguito, e continua a seguirmi, con dedizione e interesse.
Fra le altre cose ha in cura una mia conoscente, la quale ne ha tratto un gran beneficio, dunque deduco che nel mio caso il disturbo sia forse più complesso da individuare con certezza. Credo, per quanto possa capirne io, profana in campo psichiatrico, che sia comunque un qualcosa legato all'ansia, perchè questi pensieri di morte, in periodi di quiete, comparivano nei momenti in cui dovevo affrontare un evento stressante (esami, interventi, colloqui di lavoro ecc), per poi sparire una volta esauritosi l'evento in questione. Non erano costanti, insomma, ma facevano la loro sortita quando si presentava una occasione di per se ansiogena. Adesso invece sono continui, compaiono qualunque cosa faccia. Io RAZIONALMENTE mi rendo perfettamente conto di avere paure spropositate, ma a livello emotivo, non so come gestirla.
Mi hanno parlato della psicoterapia cognitivo/comportamentale, potrebbe essere efficace nel mio caso, affiancata comunque ai colloqui psichiatrici?

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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Gentile utente,

la dedizione e l'interesse sono poco utili in un trattamento psichiatrico.
La professionalita' e la competenza sono invece caratteristiche migliori per poter aiutare i pazienti.

Infatti, spesso la confusione di piani di relazione puo' portare a fare confusione senza raggiungere un risultato.
Oltretutto, il suo trattamento e' stato erroneamente gestito come gia' le ho indicato precedentemente.

Non so cosa siano i "colloqui psichiatrici", in quanto dallo psichiatra si fa una visita e tutto cio' che ne e' collegato appartiene alla visita e solo ad essa.
La psicoterapia ha ben altre caratteristiche, ma devono essere rispettate alcune condizioni per poterla fare.

Per cio' che riguarda il suo disturbo, credo invece che siano state sottovalutate alcune situazioni che la riguardano e che potrebbero rappresentare una diagnosi diversa da quella per cui viene trattata.
[#8]
dopo
Utente
Utente
Grazie.
"Colloqui psichiatrici" è stata semplicemente un'espressione infelice, intendevo dire "sedute". Devo d'altra parte ammettere che la Paroxetina, pur alleviando i sintomi, non ha risolto il problema alla radice.
Ne parlerò con la mia psichiatra non appena sarà possibile, e, se sarà il caso, valuterò l'opzione di contattare anche un altro specialista.

Cordialmente
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Peggio ancora, se non sono previste nell'ambito di un rapporto psicoterapeutico, con un accordo preciso in merito, si tratta sempre e comunque di sole visite psichiatriche.
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dopo
Utente
Utente
Quello che è, "colloqui", "sedute", "visite", non ho saputo trovare il termine adatto.
Grazie ancora e buona giornata
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Il fatto che lei non sappia trovare il termine adatto vuol dire che c'e' confusione nella relazione con la sua psichiatra, e su questi aspetti poi si instaurano errori metodologici nel trattamento.
Quindi, sarebbe opportuno chiarire anche questi aspetti.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
Gentile ragazza, la cosa più evidente che emerge da questo scambio con i colleghi è che lei sinora non ha ricevuto un trattamento adeguato.

Il suggerimento di fare una breve ricerca preliminare, informandosi e telefonando ai singoli professionisti per domandare se e in che modo sono in grado di aiutarla, mi trova del tutto d'accordo. In questo modo potrà evitare di andare dal primo che capita.

Ciò che non deve aspettarsi, tuttavia, è di ricevere da qui lo stesso aiuto che potrebbe ricevere di persona, perché guarire dall'ansia non significa sfogarsi né calmarsi, ma ricevere un trattamento efficace.

Cordiali saluti
[#13]
dopo
Utente
Utente
Salve,
non mi aspetto nè pretendo di ricevere aiuto psichiatrico on line, solo consigli, che gentilmente mi avete dato.
Avevo già il dubbio di non aver ricevuto un adeguato trattamento alla mia sintomatologia (che non ho ancora capito quale sia, a onor del vero), volevo capire se fosse solo una mia impressione o se ci fosse effettivamente qualcosa che non va.
Adesso cercherò di muovermi di conseguenza, perchè questo disturbo, di qualunque natura sia, è alquanto spiacevole e mi impedisce di vivere serenamente. Nei momenti peggiori, poi, quando ho addosso l'angoscia esistenziale, diventa insostenibile.
Grazie mille ancora, cordialmente
Ansia

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