Ricordo del trauma e paura che possa ripresentarsi

Carissimi, buon ferragosto a tutti! Come forse ricorderete, l'anno scorso di questi tempi non me la passavo proprio bene! Dopo un periodo di grande serenità, il ricordo del trauma s'è affacciato con indisponente prepotenza. Vi faccio un esempio: faceva caldo quando sono stata male, e ora che fa caldo scatta qualcosa in me che mi fa stare (inutilmente) guardinga. Se sto seduta e magari mi formicola un piede, mi preoccupo che stia tornando quella maledetta tetania che non mi ha fatto vivere per ben due anni. Da poco sto cercando - con discreto successo - di superare lo scoglio della chiesa, perché io sono stata sempre molto attiva in Parrocchia e non sono stati rari i casi di malessere in chiesa, sicché - sempre per lo stesso effetto fotocopia - per tanto tempo ne sono stata lontana. Piano piano, da sola e un passo alla volta, cerco di superare questo senso di "allerta" che bene non mi fa e che qualche volta m'ha levato pure il sonno (ma due o tre volte massimo). Sia io che il mio medico di base siamo contrari ai calmanti farmacologici; il doc poi crede che colloqui di psicoterapia possano giovarmi, e gli credo. Ma prima che riapra il centro a fine mese, mi dareste qualche "dritta" per tenere a bada questo antipatico intruso?
Vi ringrazio e Vi auguro buona giornata e buone ferie! :-)
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Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220 123
gentile ragazza purtroppo non ci sono dritte, on line, che siano in grado di tamponare questa sorta di condizionamento se non quella di avere pazienza e di fidarsi dei consigli del suo medico.
si tratta solo di una breve attesa
saluti

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

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Utente
Utente
Grazie per l'interessamento, attenderò! :-)

Nel frattempo, grazie ad un link presente nel sito, ho letto questo interessante articolo: https://www.medicitalia.it/minforma/psichiatria/162-il-disturbo-post-traumatico-da-stress.html e devo dire che mi ritrovo molto nella fase dell'evitamento. A quanto pare è anche "normale" che insorga dopo un bel po' (dopo un anno nel mio caso), mentre mi ero preoccupata di un'eventuale depressione (che avevo, ma che era sempre correlata al quadro farmacologico pre-esistente) che avesse riportato a galla tutto.

Devo dire che l'articolo, unito ai consigli del medico, mi ha tranquillizzata. Affronterò con maggiore ottimismo il mio percorso!

Ah, e grazie per il "ragazza": io sono abbastanza stagionata! (:-D)
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Utente
Utente
Buon pomeriggio, cari specialisti di MI.
Qualche tempo fa Vi ho parlato dell’inizio di un percorso di psicoterapia. Ebbene, l’ho fatto, è durato un anno, e la specialista (psicologa) ha fatto terminare il ciclo qualche mese fa, dicendo che avevo superato il mio trauma ed era contenta del percorso fatto.
Per inciso, due anni fa – lo dico a chi non lo ricordasse – ho subìto una tetania che mi ha paralizzato per tanto tempo, durante la quale ho pensato di morire (ed è mancato poco che ciò accadesse). Dimessa dall’ospedale, stavo benissimo ed ero felice; poi si è palesato il fantasma dell’attacco e dopo un anno ho iniziato ad avere problemi che non ho mai avuto, prima tra tutte una claustrofobia immane. Non riesco a fare una RMN (io che in passato ci sono stata quasi un’ora là dentro), evito cinema, teatro, conferenze, chiesa, insomma tutti i posti dove “devo stare ferma” anche se sono luoghi tutt’altro che piccoli, i viaggi lunghi mi mettono ansia per lo stesso motivo. Ovviamente, mi pare logico e lampante che tutto questo dipenda dal mio trauma. Così ho iniziato questo percorso, ma la mia vita non è cambiata. Vero è che, soprattutto negli ultimi tempi, la mia vita è molto più stressante a causa di disturbi organici sui quali sto indagando a tutt’oggi, e a causa di problemi lavorativi e familiari piuttosto pesanti. Tutto questo amplifica il mio stress e accentua le mie preoccupazioni, tanto più che per l’appunto devo fare una TAC o RMN all’encefalo per i miei attuali disturbi, ma ora mi è impossibile. Anche per questi motivi, ho deciso di riprendere questo percorso, ma ho delle perplessità. Potrei tornare dalla psicologa che mi ha seguito finora, ma ho come la sensazione che qualcosa non funzioni. Ho sempre seguito le sue indicazioni, i consigli che mi ha dato, ma non ho mai avuto miglioramenti significativi; tuttavia la psicologa è convinta che io abbia superato il mio trauma. Forse un anno di terapia è troppo poco perché io possa accorgermi di un miglioramento? Mi sono posta anche il problema che la specialista è anche un’amica di lunga data, mi ha sempre stimato molto: forse questo le avrà fatto sopravvalutare le mie capacità? So che ci sono vari approcci in psicoterapia, ma non so distinguerli, quindi non saprei neanche dirvi quale fosse quello seguito adesso. Posso dirvi che in passato sono stata seguita da una psichiatra (i sintomi che avevo furono giudicati psicosomatici, perciò iniziai la terapia), oggi in pensione, con la quale ho sempre parlato solo di me; mentre la psicologa attuale ha posto molta attenzione praticamente su tutti i miei familiari e sul rapporto tra di loro, oltre che tra me e loro. So che non basta a far capire il metodo usato, ma io ci provo lo stesso.
Sono quindi combattuta tra due ipotesi: tornare dalla mia psicologa, perché magari un anno è poco per consolidare dei risultati, perché magari lei vede in me miglioramenti che però io non riesco a notare; oppure cambiare specialista e metodologia. Cosa mi consigliate? Grazie per l'attenzione e la pazienza che mi avete riservato! :-)
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

visto il disagio che ci riferisce non mi è chiaro come mai il percorso era stato giudicato terminato mesi fa dalla dottoressa.

Vorrei però commentare questa sua domanda:

"la specialista è anche un’amica di lunga data, mi ha sempre stimato molto: forse questo le avrà fatto sopravvalutare le mie capacità?".

Il nostro codice deontologico vieta di erogare prestazioni agli amici (alla persone con le quali si intrattiene un rapporto amicale, familiare o di conoscenza significativo), perchè la presenza di un rapporto extra-professionale è nocivo rispetto al buon esito dell'intervento.

I piani si confondono e il risultato sono i dubbi come quello che oggi lei esprime.

Di conseguenza non posso che consigliarle di rivolgersi ad un altro psicologo sia perchè la dottoressa non può seguirla, sia perchè non ha risolto il problema ed è giusto che riprenda ad affrontarlo in maniera più efficace.

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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Utente
Utente
Gent.ma dottoressa Massaro, La ringrazio per la cortese e celere risposta.
Le confesso che non ero a conoscenza della deontologia di cui mi ha parlato. L'avessi saputo, avrei evitato. In realtà si è trattato di un caso, dato che mi sono rivolta ad un Centro pubblico e lì ho scoperto che la psicologa era la mia amica.
Non so dirLe perché la psicologa avesse giudicato terminato il percorso. Le ho sempre detto la verità, non ho mai nascosto i miei disagi, quindi pensavo che un percorso potesse dirsi terminato anche se i problemi fossero parzialmente risolti. Le faccio un esempio: durante la terapia ho ripreso ad andare in chiesa, ma comunque mi sentivo ansiosa e fuori luogo; incoraggiata dalla psicologa, ho pensato che già il fatto di essere tornata in un luogo chiuso e in un certo senso "costretto" era giudicato un successo, e che con la ripetizione della cosa, anche l'ansia si sarebbe attenuata, col tempo. Forse il "successo" era inteso come raggiunto anche se parziale, limitato...
Ad ogni modo, seguirò il Suo gentile consiglio e mi rivolgerò ad uno specialista "sconosciuto". Un'ultima domanda: la terapia precedente, svolta centrando l'attenzione su di me e sul problema contingente, ha dato a suo tempo risultati migliori, sebbene sia stata molto più breve. Mi chiedo quindi se abbia un nome specifico, dato che esistono vari tipi di terapia. La ringrazio ancora e Le auguro un buon fine-settimana. :-)
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
In realtà non spetta a lei, ma alla dottoressa, conoscere il Codice Deontologico e sapere che non ci si può occupare degli amici.

Questo comunque non significa che il percorso effettuato non le sia servito a nulla, ma che può non essere stato efficace a sufficienza.

Può dirci qualcosa di più della prima terapia, in modo tale da aiutarla a identificarne l'approccio?
Non ha la possibilità di ricontattare il primo terapeuta?

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Utente
Utente
Gentile dottoressa, purtroppo no: la terapeuta precedente non svolge più la professione, di conseguenza il recapito telefonico che avevo non è più valido.

Posso dirLe che la prima seduta ha compreso una rapida disamina di me e della mia famiglia per compilare una scheda conoscitiva preliminare (struttura pubblica), e poi concentrarsi sui sintomi che avevo (il medico di base mi aveva consigliato una psicoterapia perché li riteneva psicosomatici, ma era l'ipocalcemia a farmi stare male), e sulla mia storia recente. Mai parlato di infanzia o parenti. Non so come spiegarmi, ma c'era molta attenzione alla persona nella sua globalità di emozioni, sentimenti, ma anche idee, professionali (all'epoca ero in formazione) e non. Sfera emozionale e razionale, ecco, erano indagate entrambe. Mi fu diagnosticata una forma depressiva, probabilmente dovuta all'inferno che vivevo al tempo, ma la dottoressa si rifiutò di darmi farmaci, confidando nella psicoterapia. In effetti, per la depressione devo dire che ebbi risultati evidenti, assolutamente non euforici, ma anche chi mi stava vicino notava il cambiamento.
La diagnosi finale fu di ansia che logicamente si accentuava al presentarsi dei sintomi, e che psicologicamente stavo bene (non avevo manie, né i miei sintomi potevano essere definiti di origine psicologica). Dovevo solo stare attenta a capire quando stavo scivolando nuovamente nella depressione, e mettere in atto i suggerimenti che la psichiatra mi aveva dato, o contattarla. Dovevamo rivederci dopo un certo periodo, ma poi ci fu il patatrac e addio terapia.
Diciamo che ricordo anche molto bene un'altra differenza: mentre l'attuale terapia era fondamentalmente un colloquio dove parlavo quasi sempre io, con la terapia precedente c'era molta guida da parte della psichiatra, che dopo essersi informata dell'andamento dei sintomi, proponeva un argomento e mi faceva diverse domande su cose oggettive o emozioni provate in merito. Alla fine sentivo di aver lavorato insieme ad un medico, mentre dopo gli attuali colloqui non avevo quel senso di "lavoro". Ovviamente, ciò è detto con tutta la fiducia e la stima nei confronti della psicologa attuale: si tratta di metodi diversi, tutti buoni ma non efficaci per tutti (sono insegnante e lo vedo ogni giorno didatticamente parlando).
Spero di esserLe stata d'aiuto, sono disponibile per qualsiasi altra informazione in merito. Grazie mille per la Sua risposta. :-)
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
La prima terapeuta era dunque un medico psichiatra?
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Utente
Sì, psichiatra.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
In questo caso è molto probabile che non seguisse un orientamento specifico ed è inutile che lei cerchi di identificarlo: gli psichiatri ottengono il titolo di psicoterapeuta contestualmente alla specializzazione in Psichiatria, senza frequentare una Scuola di specializzazione in Psicoterapia (come gli psicologi-psicoterapeuti), e solo una minima parte di loro frequenta ugualmente anche uno o più anni di Scuola di Psicoterapia.
Le dico questo per spiegarle che ciò che lei ha apprezzato nella sua ex psichiatra faceva molto probabilmente parte del suo stile personale, più che essere riconducibile ad un particolare orientamento psicoterapeutico (anche se, come dicevo, non è da escludere che abbia frequentato anche una Scuola di psicoterapia).

Le suggerisco comunque di leggere questi due articoli per una descrizione di alcuni dei principali approcci psicoterapeutici fra i quali potrebbe scegliere:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1333-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico-parte-ii.html
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Utente
Utente
Gentilissima dottoressa Massaro, La ringrazio moltissimo per le Sue cortesi ed esaurienti delucidazioni. Sto leggendo con vivo interesse i link che mi ha postato, e devo dire che sono davvero dettagliati e molto chiari. Penso che la psichiatra avesse uno stile molto vicino al costruttivismo (mi ha colpito questo passaggio: "Compito del terapeuta è cercare di vedere le cose con gli occhi del paziente invece che inserirle a fatica dentro una qualche teoria pre-esistente. Vengono proposte delle “interpretazioni” ma è il soggetto che deve dar loro un senso, una sua costruzione di significato. In quest'ottica possiamo pensare alla terapia come un processo di ricerca: il terapeuta è il supervisore, esperto del metodo; il paziente, il ricercatore esperto della materia". Ecco, in questo ho rivisto molto della mia esperienza precedente (ma potrei aver preso un granchio, non sono certo un'esperta).

Integrando con la lettura del link sul disturbo post-traumatico da stress, penso che però la TCC sia la strada giusta, dato che è anche la metodologia consigliata nell'articolo proprio per il mio problema.

Diciamo che per me è importante essere guidata, se parlo a ruota libera rischio di dimenticare più facilmente le indicazioni finali che mi sono date (io dovevo scriverle per ricordarle!), o di distrarmi con facilità. Cercherò quindi di impostare insieme allo specialista giusto una terapia efficace, spiegando subito le mie esigenze.

La ringrazio ancora per la cortese attenzione, e il tempo che mi ha gentilmente riservato. Buon fine-settimana. :-)
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Grazie a lei per averci consultati, ci aggiorni sulle novità.

Le faccio tanti auguri,