Continuare la psicoterapia

Gentili specialisti,

vi scrivo perché non riesco a prendere una decisione riguardo al percorso che stavo seguendo.

Mesi fa mi sono rivolta ad una psicologa per ottenere aiuto poiché attraversavo un periodo di profonda crisi personale. Per sei mesi ci siamo viste settimanalmente (si trattava di sostegno psicologico). e qualche risultato è arrivato. Tuttavia in me è sempre rimasto il dubbio che il miglioramento fosse semplicemente dovuto al tempo che passava e all'allontanamento cronologico dei fatti che mi avevano causato sofferenza. Negli ultimi tempi ho iniziato a non essere più soddisfatta dei miei miglioramenti, mi sembrava di rimanere sempre allo stesso punto. Ne ho parlato con la dottoressa, che mi ha rassicurata, ma a dirla tutta le rassicurazioni non mi hanno convinta granché. Circa un mese e mezzo fa questa insoddisfazione si è trasformata in malessere, tanto che ho chiesto di interrompere le sedute. Ora, io credo di dover finire il percorso iniziato, ma è anche vero che in queste settimane senza terapia sono stata straordinariamente bene, come non stavo da tempo. Inoltre a volte penso: sì, dai, la chiamo e portiamo a termine quanto iniziato, ma a volte la sola idea di ritrovarmi a parlare con lei mi irrita e mi passa la voglia di chiamarla. Ho anche iniziato a fare il calcolo dei soldi che sto risparmiando settimanalmente. Non so cosa fare. ho la sensazione di aver lasciato il tutto a metà, ma non mi decido a ricominciare. Grazie a chi vorrà rispondermi. Saluti.

PS. in passato avevo fatto sostegno psicologico e non riesco a fare a meno di confrontare: dell'altra psicologa avevo fiducia al 100%, uscivo dalle sedute sempre soddisfatta e non pensavo mai a i soldi spesi. Purtroppo però vivo in un'altra città e non sono più potuta tornare da lei.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372 182
Dovrebbe chiarire bene la natura del problema che l'ha portata a cercare aiuto specialistico, perché sostegno e psicoterapia vanno prescritte in modo differenziato a seconda della diagnosi.

Per farle capire meglio, un sostegno è adatto quando si presume che il problema portato dal paziente non potrà essere risolto, o non del tutto, e che il massimo che si può fare è fornire un appoggio. Come ad esempio nei malati terminali.

Ma se la prognosi è favorevole come ad es. in molti disturbi d'ansia, depressivi, relazionali o sessuali, allora può essere indicata una psicoterapia. Si fa un progetto d'intervento, si stabiliscono degli obiettivi e a quelli ci si attiene. Sembra però che nel suo caso non sia stato fatto nulla di tutto ciò.

>>> Ora, io credo di dover finire il percorso iniziato
>>>

Si torna a ciò che le ho appena detto: se sta facendo un sostegno, teoricamente potrebbe anche non esserci una fine. Ma dipende anche dall'approccio usato dalla psicologa. Alcuni approcci si preoccupano di fissare obiettivi e verificare strada facendo se si stanno ottenendo risultati e quanto. Altri approcci, per così dire, navigano più a vista. E dipende anche dal tipo di problema, per cui non si può risponderle in maniera esaustiva senza avere tutti i dati.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Dr.ssa Paola Cattelan Psicologo, Psicoterapeuta 536 10 16
Se non si sente soddisfatta, neanche dopo averne parlato con la sua terapeuta, difficilmente le ulteriori sedute potranno avere effetto: manca l'alleanza terapeutica che è prerequisito essenziale affinchè la terapia "funzioni".

Non è scontato che uno specialista, per quanto competente, possa andare bene per ogni paziente.
In parte dipende dalla sua tecnica - che può esserci più o meno congeniale per la nostra personalità e momento di vita. In parte dalla sua personalità, in relazione alla nostra.

Veda, ad es., questo articolo:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1056-la-relazione-psicoterapeutica.html

In parte, poi, può dipendere da resistenze individuali al cambiamento.

Dr.ssa Paola Cattelan
psicologa psicoterapeuta
pg.cattelan@hotmail.it

[#3]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Gentile Utente,

poichè ci parla di un percorso di sostegno/counselling psicologico suppongo che non ci fosse la necessità di una psicoterapia: ha intrapreso il percorso solo perchè viveva un momento di crisi o per curare dei disturbi?
Ha ricevuto una diagnosi? Se sì, quale?

Supponendo che il tutto si sia limitato ad un sostegno attivato per superare un periodo di crisi penso che ciò che conti sia che la Collega l'ha aiutata in questo, tanto che adesso sta "straordinariamente bene" al pensiero di potercela fare da sola - cosa che prima immagino non accadesse, altrimenti non si sarebbe rivolta alla dottoressa.

E' vero che certi problemi si risolvono anche con il tempo, ma se lei ha ritenuto utile richiedere un intervento professionale significa che non sentiva di potercela fare da sola.

Partendo da questo vorrei farle notare che sta rifiutando con una reazione emotiva fuori luogo (irritazione) di vedere una persona che l'ha aiutata e che ora sta sminuando quello che può aver fatto per lei: come mai?
Ha difficoltà a riconoscere i meriti altrui e a ricevere qualcosa?
Pensare di aver avuto bisogno di affidarsi ad uno psicologo la fa sentire sminuita?

In generale lei si fida degli altri?
Tende ad essere troppo critica o riesce a vedere pregi e difetti e a riconoscere la superiorità di qualcuno nei suoi confronti?

Il fatto che si dica addirittura "irritata" è fortemente sospetto e indicativo della presenza di qualcosa che lei non accetta al di là dell'oggettività dei fatti.
In fondo nessuno l'ha obbligata a continuare con una persona della quale sentiva di non avere completa fiducia, quindi mi chiedo se questo sia proprio vero o se non corrisponda solo alla sua attuale percezione della vicenda.

Non è dunque da escludere che la visione che sta elaborando serva a preservare la sua autostima dall'idea di aver avuto bisogno di un altro.

Se così fosse direi che avrebbe un problema (di relazione) da risolvere.

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#4]
dopo
Attivo dal 2012 al 2016
Ex utente
Gent. dott Santocito,

il problema per il quale avevo cercato aiuto è stata la fine della convivenza con il mio compagno. Questa è stata la causa scatenante, alla quale si sono concatenate tematiche riguardanti l'autostima, la percezione di sé etc.

Gent. Doot.ssa Cattelan: il fatto è proprio questo: ad un certo punto, non so perché, ho perso la fiducia e sentivo che venivano sottolineati i miei difetti più di quanto venissero potenziati i miei punti di forza e questo mi faceva stare peggio.

Gent. Dott.ssa Massaro: non so neanche io perché è subentrato questo malessere, non so perché percepisco così le cose. Non credo di avere resistenze a chiedere aiuto, l'ho sempre fatto, forse anche troppo e, anzi, sento ancora il desiderio di farlo, ma vorrei farlo "con abbandono", con completa fiducia...forse la verità è che in qualche modo mi sento tradita dalla mia terapeuta che non mi ha "accolta" come mi aspettavo.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
"non mi ha "accolta" come mi aspettavo"

Cosa si aspettava che accadesse e non è accaduto?
Come mai ha continuato per mesi se non si trovava bene?
[#6]
dopo
Attivo dal 2012 al 2016
Ex utente
La sensazione di disagio non c'è stata fin dall'inizio, si è creata poco a poco. E si è trascinata perché cercavo di insabbiare questa sensazione, la consideravo un problema mio. Cosa mi aspettavo? Di sentirla "dalla mia parte", di sentire che credeva in me, ma non avevo questa sensazione, o meglio, l'ho avuta solo in rari momenti.

Date queste premesse crede che ci siano margini di recupero del percorso iniziato o no? mi rimane questo punto di domanda, anche se leggendo tra le righe mi sembra di capire che mi stia dicendo di no.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372 182
Il punto è che, almeno in una terapia attiva e focalizzata come la breve strategica, una relazione terapeutica non dovrebbe mai reificarsi, ossia diventare fine a se stessa. Lei deve fare innanzitutto un bilancio dei benefici che ha ottenuto/sta ottenendo andando dalla psicologa. Sta vedendo risultati per il problema per il quale ha cercato aiuto? E soprattutto, questi risultati continuano a progredire o si è arrivati a una stagnazione? Queste sono le domande che dovrebbe farsi. Quando sarà arrivata al punto di poter dire: "Ok, posso considerare il mio problema risolto", se saranno rimaste questioni irrisolte con la psicologa, dovrà essere compito suo (della psicologa) aiutarla a scioglierle per lasciarla andare.

Diversamente, se sente di non star ricevendo l'aiuto che sperava, ha poco senso preoccuparsi per una relazione terapeutica insoddisfacente.

Detto in modo un po' rude, ma chiaro: non dovrebbe sperare che "un'amicizia" con la psicologa possa farle da surrogato rispetto ad altri problemi, se è questo che ha in mente.

Se non le è chiaro qualcosa di ciò che le ho detto, chieda pure.

[#8]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
"La sensazione di disagio non c'è stata fin dall'inizio, si è creata poco a poco. E si è trascinata perché cercavo di insabbiare questa sensazione, la consideravo un problema mio"

Infatti è possibile e plausibile che sia così: nel rapporto con lo psicologo accade spesso che il cliente/paziente riviva le stesse modalità che si sono create in altri rapporti per lui fondamentali (transfert) o che riviva le modalità che comunemente attua e le sensazioni che abitualmente vive nel rapportarsi agli altri.

In questo senso quella di risolvere il problema quando l'Altro è lo psicologo è un'occasione unica per risolvere ciò che non funziona al di fuori della seduta, con gli altri.

La sua irritazione è rivolta alla psicologa o a sè stessa, per non aver parlato fino ad accumulare rabbia e mollare?

Non ha poi risposto alle mie domande sul rapporto che ha con le altre persone.
Può dirci se tende a non fidarsi, a sottovalutare gli altri e a sminuirli, a sentirsi a disagio o minacciata quando qualcuno è superiore (in qualunque senso) a lei?
[#9]
dopo
Attivo dal 2012 al 2016
Ex utente
Purtroppo avevo scritto una lunga risposta che, non so come, è andata perduta.

Proverò a riscrivere.

Dott. Santocito, userò una metafora: con la mia terapeuta mi sentivo come un atleta il cui allenatore dà giusti consigli sulla postura, sulla respirazione etc, ma al momento della gara non tifa per lui. Tutti questi consigli erano sacrosanti ed hanno sortito degli effetti, ma io-atleta avevo perso al gioia del correre, schiacciata dalla montagna di "difetti di postura" che la terapeuta mi faceva notare. E in effetti, da quando non la vedo, ho recuperato più allegria e leggerezza, ho smesso di pensare agli errori e sto assaporando la gioia di correre meglio, anche grazie a tutte le sue indicazioni.

Ricordo che nella precedente relazione terapeutica la psicologa gioiva con me dei miei progressi, mi incoraggiava e mi "correggeva" con tatto. In questa relazione non sentivo questa partecipazione, ultimamente mi sentivo sempre bacchettata.

Dott.ssa Massaro: il pensiero che il problema fosse mio mi ha fatto continuare, ma alla fine non ce l'ho fatta più, mi son resa conto che quell'appuntamento settimanale stava diventando un peso, per me che desidero tanto comprendermi meglio e conoscere, e ho reputato questa sensazione un forte campanello d'allarme.

Rabbia verso di me stessa? no, non credo di averne, ne ho parlato quando ho focalizzato il problema, prima non ne sarei stata in grado perché non lo percepivo chiaramente.

Per quanto riguarda il rapporto con gli altri non so bene cosa rispondere. So apprezzare una persona che vale, ma detesto chi deve "farlo notare" poiché credo che il valore debba emergere da solo e non debba essere sottolineato. Quando questo avviene mi sento infastidita e inizio a pensare che la persona in questione, se deve sbandierare le sue qualità, forse non ne ha poi così tante.

Mi chiede poi della fiducia. Suppongo di avere tempi molto lunghi prima di concedere la mia fiducia, non la do facilmente.
[#10]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372 182
>>> in effetti, da quando non la vedo, ho recuperato più allegria e leggerezza, ho smesso di pensare agli errori e sto assaporando la gioia di correre meglio, anche grazie a tutte le sue indicazioni
>>>

Questo che lei tocca è un punto importante.

In terapia breve, ad esempio, si cerca di far sì che il paziente non si attacchi al terapeuta oltre il necessario, e la conseguenza alla fine dell'intervento può essere una sensazione che a volte i pazienti riferiscono come quella che descrive lei: "In un certo senso il terapeuta mi ha deluso sul piano umano, però ripenso sempre a ciò che mi diceva, e questo mi aiuta molto, tuttora".

Può darsi che lei abbia percepito prima della sua terapeuta il momento giusto per interrompere, ma non darei molto peso alla cosa: se lei sta meglio di prima, anche senza continuare a vedere la sua terapeuta, forse va bene così.

[#11]
dopo
Attivo dal 2012 al 2016
Ex utente
La ringrazio moltissimo per gli spunti di riflessione dott. Santocito. In effetti la realtà dei fatti è che sto meglio, anche se c'erano altre cose su cui volevo lavorare, ma sentivo di non avanzare. Ci penserò su ancora un po' e deciderò il da farsi.

Grazie ancora
[#12]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
"da quando non la vedo, ho recuperato più allegria e leggerezza, ho smesso di pensare agli errori e sto assaporando la gioia di correre meglio, anche grazie a tutte le sue indicazioni"

E' importante che lei riconosca quanto le sedute le siano servite.

Non mi è chiaro però se ha parlato con la Collega di quello che stava sentendo prima di arrivare a sentirsi così irritata da chiudere: si è tenuta tutto dentro fino a quando ha deciso di non vederla più o ne avete discusso?

Quello che conta non è tanto che lei decida se riprendere o non riprendere - cosa che se ora si sente bene può anche non fare - ma che comprenda come mai ha gestito in quel modo la separazione, arrivando ad essere addirittura irritata verso una persona con la quale ha un rapporto solo professionale, nel quale vanno rintracciati i motivi del suo sentire.

Lei ci dice giustamente che ad un certo punto ha "percepito" un determinato atteggiamento, e non che quell'atteggiamento fosse automaticamente reale.
In questo senso sarebbe utile (o sarebbe stato utile) un chiarimento e in ogni caso una riflessione da parte sua sul motivo per il quale non ha parlato (più) apertamente di quello che sentiva, fino ad arrivare alla rottura.

Nel caso in cui questo le accadesse con tutti o le fosse accaduto con altre persone significative sarebbe utile che imparasse ad essere più assertiva invece di rompere i rapporti senza un chiarimento.

Ovviamente noi non conosciamo di persona la situazione e per questo le nostre sono solo impressioni esterne, ma spero che le servano per riflettere su sè stessa.
[#13]
dopo
Attivo dal 2012 al 2016
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Gentile dott.ssa,

innanzitutto la ringrazio perché grazie alle vostre risposte riesco a riflettere meglio sull'accaduto.

Io non userei la parola "rottura", proprio perché, come lei dice, si trattava di un rapporto professionale. E' stata un'interruzione e non credo neppure di averla gestita male, visto che ne ho parlato direttamente con la dottoressa e, civilmente, le ho detto che non volevo continuare.

Avevo espresso malessere, senza inquadrarlo bene, varie volte, poi, quando ho focalizzato il punto, ho affrontato il discorso in seduta, ma la pura verità, ora che sto facendo chiarezza in me, è che mi sono sentita "zittita". Non ho percepito un "accoglimento" e rielaborazione delle mie lamentele, ma mi son sentita "messa a tacere". Mi rendo conto che è per questo che ho resistenze a tornare dalla mia terapeuta, perché temo che le mie difficoltà vengano un'altra volta messe a tacere sotto una montagna di motivazioni che un terapeuta ovviamente, sa maneggiare con moltissima abilità. Un terapeuta, metaforicamente parlando, puo' "far fuori" il paziente in men che non si dica. Credo che la terapeuta non abbia capito fino in fondo il mio disagio.

Quello che sto pensando ora, nonostante non stia male, è di riprendere il percorso, ma con un'altra persona, perché credo che ci sia ancora qualcosa su cui lavorare.

A questo punto vi chiedo un parere: è meglio aspettare del tempo o posso farlo da subito?









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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
L'importante è che lei ne abbia parlato, cosa che non era chiara dai suoi precedenti post.

Non penso ci siano problemi nel caso in cui intendesse riprendere già ora il lavoro con qualcun'altro, le darei solo il consiglio di raccontare quello che è successo con la precedente psicologa perchè può essere uno spunto di lavoro interessante.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372 182
Anche secondo me non dovrebbero esserci preclusioni a ritentare con un differente professionista. Tuttavia, stante le ultime cose che ci ha detto, io mi prenderei un "periodo di riflessione" per far assestare pensieri e sensazioni che, mi sembra di capire, siano ancora in movimento. Cerchi di utilizzare al massimo ciò che ha imparato. Se poi dovesse trovarsi ancora a corto di strumenti per andare avanti, niente impedisce che possa cercare di nuovo aiuto.

Ma ricordi che l'obiettivo finale dovrebbe essere quello di non aver bisogno di alcun terapeuta.

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dopo
Attivo dal 2012 al 2016
Ex utente
Gentili Dottori, vi ringrazio molto per le vostre risposte: sono state preziose per riuscire a fare chiarezza. Buon lavoro e grazie per il servizio che offrite.