Fine psicoterapia

Gentili dottori,
vorrei un parere spassionato riguardo alla seguente situazione: ho fatto una psicoterapia psicodinamica della durata di 2 anni e mezzo, inizialmente perchè soffrivo di insonnia, ansia e periodi di lieve depressione. Sintomi che via via sono andati diminuendo. Negli ultimi tempi, in terapia, io avevo la sensazione di non sentirmi compresa e in aggiunta a ciò ero (e sono) in un periodo in cui mi sono chiusa in me stessa, con difficoltà ad aprirmi e a raccontarmi. In realtà ho imparato che quando attraverso queste fasi c'è la possibilità che stia per piombarmi addosso uno di quei periodi pseudo-depressivi. Arrivo al dunque: un paio di mesi fa alla luce di tale blocco ho proposto al mio terapeuta di concludere la terapia. Lui ha accettato quasi senza batter ciglio, dicendo che la coppia (terapeuta-paziente) aveva fatto il possibile (in quel momento) etc. All'ultima seduta sono scoppiata a piangere perchè mi sono sentita effettivamente non compresa ma soprattutto rifiutata/abbandonata. Lui sapeva benissimo che questa era una mia paura. Io ho sbagliato a riconoscere solo a posteriori che in realtà lo stavo inconsciamente mettendo alla prova, che stavo implicitamente chiedendogli di "esplicitarmi i miei bisogni", che in cuor mio speravo che mi desse una risposta diversa da quella attesa. Però mi chiedo: ma non è compito suo indviduare queste dinamiche inconsce e riportarmele? Non voglio esagerare però mi sento come "ri-traumatizzata" e adesso sono giorni che rimugino su cosa possa aver fatto per meritare un simile rifiuto, rimugino sul fatto che non avrei dovuto fidarmi e ce l'ho con me stessa perchè dopo tanta fatica mi sono finalmente coinvolta anche dal punto di vista emotivo. Sicuramente non sono perfetta (altrimenti non sarei andata in terapia) ma sono un po' confusa, non riesco a capire quali erano le sue vere intenzioni, non riesco a capacitarmi nemmeno del fatto che non mi ha neanche detto "se hai bisogno resto a disposizione", ho dovuto chiederglielo io e ha detto di sì (aggiungendo di lasciar passare parecchio tempo) ma stavo piangendo, chiaramente non poteva dirmi il contrario. Beh io ora ho questo irrisolto e sono piena di autorimproveri, continuo ad andare a caccia di errori. Se volessi avrei paura a ricontattarlo perchè penso che rischierei un rifiuto. Vorrei sapere se c'è qualcosa che mi sta sfuggendo nel suo comportamento o se sono tutte mie fantasie.. premettendo che però il malessere che ho è reale! non so vorrei un parere generale se qualcuno ha voglia di darmelo.
Grazie dell'attenzione.
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
"ma non è compito suo indviduare queste dinamiche inconsce e riportarmele? "

Gentile Utente,

impossibile valutare a distanza su una psicoterapia.
Però, per rispondere alla Sua domanda, da una parte il pz. può e deve comunicare al terapeuta ciò di cui ha bisogno, dall'altra è vero che compito della terapia è proprio far comprendere al pz. come egli funziona. E con questo intendo anche quali sono i test che il pz. fa al terapeuta, quali sono gli schemi prevalenti che adotta in termini cognitivi, ecc...

Ma Lei perché non ne ha parlato apertamente prima con il terapeuta?
Com'era la relazione con il professionista?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 579 66
La conclusione unilaterale di una terapia è piuttosto complessa, per i sentimenti che suscita da ambedue le parti. La conclusione andrebbe concertata insieme, altrimenti ognuno dei due si sente rifiutato/a e reagisce come meglio può. Certo, il terapeuta ha più strumenti per elaborarsela.
Lei dubita che ci sia ancora "spazio di manovra". Però ritengo che se Lei chiedesse una seduta di conclusione concordata, nella quale si fa il punto del processo e del prodotto, il Suo terapeuta non glielo negherebbe. Dipende se Le interessa.
L'alternativa è continuare a rimuginare, perdendo i frutti prodotti.

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#3]
dopo
Attivo dal 2014 al 2014
Ex utente
Grazie ad entrambe per le vostre risposte.

"Però, per rispondere alla Sua domanda, da una parte il pz. può e deve comunicare al terapeuta ciò di cui ha bisogno, dall'altra è vero che compito della terapia è proprio far comprendere al pz. come egli funziona. E con questo intendo anche quali sono i test che il pz. fa al terapeuta, quali sono gli schemi prevalenti che adotta in termini cognitivi, ecc...

Ma Lei perché non ne ha parlato apertamente prima con il terapeuta?
Com'era la relazione con il professionista? "

purtroppo è una cosa che ho elaborato a piccoli pezzi. Diciamo che nel mentre mi ero convinta che stava facendo un esperimento, cioè che voleva vedere come arrivavo all'ultima seduta e io al contempo, stesso discorso, volevo vedere se avevo ragione a pensare che non mi aveva capita etc.
La relazione era a tratti competitiva in effetti però quando non c'era questo aspetto riuscivo ad aprirmi abbastanza e a seguire quello che mi diceva. Diciamo che sentivo che un po' cadeva nella sfida ma ... era tutto abbastanza contenuto (cioè niente insulti o cose troppo manifeste)

"La conclusione unilaterale di una terapia è piuttosto complessa, per i sentimenti che suscita da ambedue le parti. La conclusione andrebbe concertata insieme, altrimenti ognuno dei due si sente rifiutato/a e reagisce come meglio può. Certo, il terapeuta ha più strumenti per elaborarsela. "

Dunque, la conclusione è stata concordata così: io un giorno gli ho detto che negli ultimi tempi stavo peggio quando andavo in terapia e che avevo la sensazione da un po' che fosse demotivato nei miei confronti. Non mi ricordo se in quella stessa seduta gli ho detto che volevo terminare o se in quella precedente, ad ogni modo io l'ho proposto ma sulla base di quello che percepivo essere una perdita di interesse da parte sua (dico "percepire", non ne ho la ferma convinzione). Lui ha accettato e io ho pensato "aspettava solo che lo proponessi io per non destabilizzarmi". Quindi concordata "serenamente" (per modo di dire) da lì a due mesi circa. Quindi non saprei se definirla unilaterale, è vero che l'ho proposto io ma lui ha detto "ok, alla fine quando una coppia terapeutica raggiunge il massimo che possa fare è plausibile che si concluda" (Qualcosa del genere).

"Lei dubita che ci sia ancora "spazio di manovra". Però ritengo che se Lei chiedesse una seduta di conclusione concordata, nella quale si fa il punto del processo e del prodotto, il Suo terapeuta non glielo negherebbe. Dipende se Le interessa.
L'alternativa è continuare a rimuginare, perdendo i frutti prodotti. "

A me piacerebbe ma ho paura che mi ripeta le stesse frasi, mortificandomi solo ulteriormente. Però sì, è vero, forse è un'alternativa migliore al rimuginare e al fare la lista di tutte le cose da non fare / fare con le persone (come facevo prima di iniziare la terapia), la lista per diventare "perfetti" e per evitare i rifiuti, diciamo.

Grazie di nuovo per le vostre gentili risposte.
[#4]
Dr. Carla Maria Brunialti Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 17.7k 579 66
Siamo contente se possiamo esserLe utili. ci faccia sapere.
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