Aiuto per favore

Non so nemmeno da dove cominciare..Ho 35anni e mi sento una persona spregevole.Ho un rapporto malsano con le donne o forse con gli altri in genere,ho distrutto vite facendo male a chi mi stava accanto,mentendo sui miei sentimenti nei loro confronti illudendole di essere qualcuno che non sono mai stato,prendendole in giro in modi vergognosi.Non so stare solo,ho bisogno di rapporti che mi facciano sentire vivo perchè fondamentalmente sento di non valere nulla come persona e credo che nella mia vita non ho fatto altro che dimostrare questo al resto del mondo.Ho fatto soffrire persone per il solo bisogno di colmare i miei vuoti (questo è quello che presumo,in realtà non so nemmeno cosa voglio),senza avere pietà nemmeno di fronte a chi piangeva disperata davanti a me.Ho tradito nei modi più squallidi che si possano immaginare.Mi sento un parassita,mi nutro delle emozioni e sentimenti degli altri per stare bene (?).Questo è solo la punta dell'iceberg.Sono fragile,debole non ho carattere e sono infelice.Non ho qualità.Ho problemi anche con l'alimentazione.Non ho il coraggio di dire ai miei genitori "ti voglio bene"...
Sono una persona patetica che ha speso la vita cercando di apparire migliore agli occhi degli altri ignorando consapevolmente la sua vera natura.
Quello che mi spaventa di più è questo:la mia ex fidanzata ha scoperto i tradimenti con la mia amante,quest'ultima ignara che avessi una relazione diciamo stabile.Ho avuto una doppia vita che mi ha portato ha distruggerne altre due,non mi dilungo sulle modalità non solo per vergogna ma anche per motivi di spazio.Ora, quello che mi fa paura di me stesso è che sono giorni che sto male,ho ansia,disperazione,crisi di pianto e non riesco a capire quanta parte sia veramente dovuta al dispiacere che provo o dovrei provare per queste persone che ho fatto soffrire (ed al relativo senso di colpa)e quanta sia dovuta alla consapevolezza di essere un mostro...Ecco,pensare che anche dopo tutto l'accaduto io stia male soltanto per me stesso mi fa sentire ancora più egoista di quello che già so di essere.
Mi sento un caso unico...Mi sento vittima di qualcosa di estraneo che non esiste e dal quale traggo le insensate giustificazioni alle mie spregevolezze.Non posso credere esistano altri come me.Non mi sento diverso da un assassino,perchè seppure non potrei arrivare ad un gesto simile (ma a questo punto dubito anche di questo)il mio è un comportamento forse anche peggiore.
Quello che vorrei sapere è se c'è speranza di essere una persona migliore anche per me,se c'è qualcosa di buono anche dentro di me se posso essere salvato.So che per non fare male agli altri devo iniziare ad essere felice anche io.Vorrei sapere se è possibile.Sono consapevole che avrei bisogno di recarmi fisicamente da uno psicologo,cominciare un percorso...al momento non ho il coraggio di farlo,ma so benissimo che dovrei.Ho bisogno d'una risposta a questa richiesta di aiuto che mi faccia sentire meno solo.Grazie a chi risponderà
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Dr.ssa Franca Esposito Psicologo, Psicoterapeuta 7k 154
Gentile Signore,
Lei ha compreso che a Sua condizione esistenziale deve essere elaborata con tutte le modalita' necessarie.
On line non si puo' fare nulla.
E penso che la Sua esigenza di migliorare sia da ascoltare.
Non tanto per il Suo contesto relazionale che certamente e' in grado di difendersi, quanto per il male senza fine che Lei percepisce per se' quando consapevolizza tutto.
E' un lavoro molto delicato che deve organizzare insieme ad uno/a psicoterapeuta psicodinamico.
Partendo dalla Sua infanzia, dal Suo modo di concepire se stesso prima di guardare alla Sua capacita' di relazionarsi agli altri.
Le porgo i miei auguri. Spero che trovi il coraggio di intraprendere una psicoterapia reale.
I migliori saluti.

Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132

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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve, mi ha colpito l'intensità del suo racconto. Capisco il tormento che vive nei confronti della sua ex fidanzata e della sua amante, quando parla di doppia vita. Tuttavia provare un senso di vergogna al punto da non poterne parlare è significativo, come se non potesse darsi neanche un'attenuante. Non so, immagino non abbia agito in modo malevolo intenzionalmente e si sia trovato a vivere questa difficile situazione per determinati motivi, che magari possono riguardare le sue emozioni.

Concordando sulla collega sulla possibilità di guardarsi dentro, sulla delicatezza di questo lavoro, in questa sede voglio lasciarle un mio pensiero, che è emerso in me a seguito della lettura delle sue parole.

A volte capita che viviamo un senso di vuoto perché dentro di noi siamo pieni di voci critiche. Queste voci che ci riempiono allo stesso tempo ci annientano. E alla fine perdiamo noi stessi.

Per certi versi, il senso di solitudine che lei vive potrebbe essere un momento importante, potremmo dire un'occasione, anche se è doloroso. Forse significa che è ora di prendersi cura di sé e di ritrovare se stesso, e avventurarsi così nel mondo in modo nuovo, abitandolo autenticamente e con amore.
E quando scrive che "non sa nemmeno da dove cominciare", penso che lo abbia fatto invece. Ha cominciato a partire da sé, e sono sicuro che proseguendo, troverà la sua strada.

Un saluto,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#3]
dopo
Utente
Utente
Grazie per le gentili risposte...
L'ansia che mi pervade ormai da tempo e quotidianamente, forse non mi permette di essere totalmente lucido.
Tuttavia, il fatto di essere consapevole di avere un problema, un problema molto serio, e che da solo non posso uscirne in nessun modo, può essere considerato un segnale positivo, o almeno un punto di partenza.
Io non ho mai avuto un confidente talmente intimo da aprirmi in maniera sincera e totale... Ieri mi sono confidato, per la prima volta, con una mia cugina coetanea con la quale ho un buon rapporto ed ho sentito di poterlo fare.. Mi ha fatto stare bene anche se per pochissimo. Questa mia cugina sta seguendo a sua volta un percorso con una professionista e mi ha consigliato di fare lo stesso poichè ne sta traendo solo dei benifici.
Non mi serve più niente se non la volontà di stare bene. Ho sentito dire che, in qualche modo, ci "piace" restare nella tristezza... Possibile?
In questo momento non riesco nemmeno ad uscire di casa e fare qualcosa di diverso dal disperarmi. Spero di trovare il coraggio per fare altri passi avanti e riuscire a rivolgermi a qualcuno.
Vi ringrazio di nuovo per il tempo dedicatomi
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Dr.ssa Franca Esposito Psicologo, Psicoterapeuta 7k 154
Caro Signore,

Purtroppo in taluni casi "stare nella tristezza" e' cio' che cerchiamo.
E Non perche' "ci piaccia" ma perche' e' quello che vogliamo. Profondamente.
Scoprire il perche' di tale desiderio e' il compito dello psicoterapeuta.
Una volta scoperto "il perche' " il passo successivo e' cercare insieme al paziente una alternativa.
Questo percorso e' esistenziale. Non e' tecnico. Puo'essere determinato da quanto ci riteniamo degni di stare meglio o no. Se lo possiamo anche solo immaginare..
Come vede il discorso e' complesso e non e' affrontabile in generale, ma va confezionato con il paziente, sul paziente: sulla sua storia, sulle sue paure, sulle chances che mette a disposizione di se'.
Che ne pensa?
[#5]
dopo
Utente
Utente
Sono molto confuso... Ho paura ad esempio che sia impossibile recuperare da un vissuto di 35 anni... Da una vita di esperienze ed accadimenti che mi hanno reso quello che sono.
Si tratta di cambiare o di trovare il modo di essere felici?
Bisogna cambiare per essere felici?
Mi sto addentrando in un discorso troppo lungo e complesso lo so.

Ad ogni modo da solo non potrò mai capirlo, so anche questo..
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119 9
<Tuttavia, il fatto di essere consapevole di avere un problema, un problema molto serio, e che da solo non posso uscirne in nessun modo, può essere considerato un segnale positivo, o almeno un punto di partenza.>
Gentile Utente,
un quadro complesso...mi colpisce il senso di vuoto provato, il tentativo di riempirlo con storie sentimentali parallele, col cibo...tentativi che non risolvono ma che sembrano peggiorare la percezione di sé e il malessere che denuncia...

Certamente il segnale positivo è la consapevolezza di aver bisogno di essere accompagnato a comprendere, a ritrovarsi, a riempire quel vuoto che la accompagna da tempo e che sembra spingerla a cercare soluzioni che non funzionano, palliativi nel tentativo di stare meglio ma che finiscono per far male.

Abbracci la sua consapevolezza per chiedere un consulto, il primo passo l'ha fatto scrivendoci.

Cari auguri
[#7]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Sento importanti le sue parole e sono colpito che non ha mai avuto un confidente. Mi sono chiesto come mai, se per caso vive dei timori nell'esprimersi, come se non potesse lei per primo fidarsi di sé e quindi aprirsi agli altri con facilità e spensieratezza.

Quando afferma di avere "sentito dire che, in qualche modo, ci "piace" restare nella tristezza...", mi colpisce quest'espressione, in particolar modo il verbo "restare". Trasmette una condizione di continuità e immobilità, da cui non si emerge mai. Penso che il verbo "restare" sia emblematico.

La sua affermazione mi fa venire in mente due tipi di tristezza. Una tristezza che potremmo definire creativa, che può durare qualche tempo o anche un breve momento nella giornata, a seguito della quale ripartire. Potrei dire che è un sostare temporaneo, non un restare.
L'altro tipo di tristezza che mi viene in mente mi sembra quella di cui lei parla. Da una parte la potremmo definire avvolgente e potrebbe essere protettiva, perché il mondo può fare paura, soprattutto se non possiamo fidarci di noi, come dicevamo prima. Dall'altra parte però questa tristezza mortifica chi la vive, e fortunatamente lei desidera cambiare questo.

Quando si chiede se "si tratta di cambiare o di trovare il modo di essere felici? Bisogna cambiare per essere felici?", mi ha strappato un sorriso quando ha detto che si sta "addentrando in un discorso troppo lungo e complesso". Perché è vero, la sua è una domanda davvero grande e forse potremmo aprire un dialogo senza mai arrivare a una definizione finale.
Io penso che in parte si acquisisce fiducia e si diventa più autentici, quindi si cambia sì; in parte però, come il suo prezioso interrogativo sembra suggerire, il cambiamento consiste anche nell'accettare se stessi con più benevolenza.

In 35 anni possiamo dire che si è strutturato un suo modo stabile di vivere, che si è radicato "da una vita di esperienze ed accadimenti che mi hanno reso quello che sono", è vero. E dalle sue parole, lei lo sente. Tuttavia il nostro è un divenire indefinitamente aperto. A questo io credo per esperienza e con convinzione.
Quindi cambiare è un progetto certamente faticoso e ambizioso, ma assolutamente possibile e molto creativo.

Un caro saluto,
Enrico de Sanctis