Percorso universitario e senso di fallimento

Gentili dottori,
chiedo un vostro parere in merito ad un'ossessione che mi sta rovinando la vita.
Ho venticinque anni, e sto per concludere il mio percorso di studi universitari. Ho terminato gli esami e da qualche mese sto lavorando alla mia tesi magistrale in lettere moderne, che conto di finire entro l'inizio dell'estate.
La mia ossessione consiste nel fatto che sono assolutamente e intimemente convinta di aver fallito su tutti i fronti, specialmente su quello dello studio, e questa convinzione succhia tutte la mie energie e voglia di vivere.
So che non è normale sentirsi falliti quando si conclude la propria carriera universitaria (una carriera di tutto rispetto, con una media altissima e un 110 e lode conseguito alla triennale) ma il mio problema risiede nei tempi che ho impiegato per laurearmi. Sono fuori corso di due anni, e non riesco in nessun modo a perdonarmi questa cosa.
Il fatto è che provengo da una famiglia che ha sempre lavorato molto, ma nessuno ha mai frequentato l'università, e quindi nessuno può capire che è molto difficile (anche la facoltà di lettere è difficile!), che è stressante, che non ci si diverte affatto e che ci si sente in colpa a far pagare migliaia di euro alla propria famiglia per ottenere una formazione che molto probabilmente non avrà sbocchi a livello lavorativo. La mia famiglia ha sempre dato molta importanza al "quando" ci si laurea e molta poca al "come" e al "perchè" lo si fa.
I miei genitori non sono cattivi e cercano di non farmi sentire in colpa, ma io li conosco e so di averli delusi, oltre che per aver scelto una facoltà inutile, soprattutto per averci messo una vita a finire. Mi laureerò a ventisei anni, ogni volta che ci penso mi vergogno profondamente e vorrei sparire.
Credo che la radice del mio problema sia il fatto di aver fatte mie le convinzioni della mia famiglia, e anche se razionalmente so che hanno ragione solo in parte, in cuor mio mi sento la più insignificante delle nullità, mi sento invecchiata vanamente sui libri, sento che non mi importa più nulla di quegli studi che una volta amavo perchè sono stata sopraffatta dalle scadenze che ho continuamente procrastinato. Sono tutta tesa verso la fine del percoso, dopo il quale tra l'altro non c'è niente ad aspettarmi, e l'idea di aver fallito in questo campo vanifica e sminuisce tutti gli altri aspetti della mia vita (siccome sono una pessima studentessa sono anche una pessima lavoratrice, fidanzata, amica, sorella... e sono una pessima figlia, specialmente). Mi sento terribilmente vecchia e molto molto molto abbattuta.
Vi chiedo cosa posso fare per migliorare la mia impostazione mentale. Sul piano pratico so benissimo cosa devo fare, non sono "bloccata" nel mio lavoro di tesi, studio, scrivo, i miei relatori sono discretamente ottimisti... Ma sto davvero male, mi vergogno da morire, e per di più è quasi Natale...
Vi ringrazio per il servizio che offrite, e scusate il messaggio un po' lungo e delirante, ma avevo un gran bisogno di sfogarmi.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Spiacevolissima emozione, la vergogna...
Che cosa può fare? Perdonarsi questo torto, cioè perdonarsi il fatto di ritenere di aver deluso qualcuno.
Se da sola non riesce, uno psicologo psicoterapeuta potrebbe aiutarLa, per fortuna non ha perso di vista il lavoro alla tesi, ma immagino che questi pensieri non siano affatto facili da gestire.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa Pileci,
sì, questi pensieri sono davvero logoranti e pervasivi, ma tutto sommato il lavoro che sto facendo mi piace e in qualche modo lo porto avanti.
Mi piacerebbe molto potermi perdonare per l'eventualità di aver deluso qualcuno, ma credo di non esserne in grado, perchè il mio perdono non ha nessun valore se manca quello della mia famiglia. Starei meglio solo se chi mi circonda mi facesse capire che è fiero di me.
Non riesco a darmi valore indipendentemente da quello che gli altri pensano di me. Non ho un'autostima, sto sempre ad aspettare la benedizione di qualcuno.
Ci sono molte persone che mi stimano, ma non mi basta, perchè sono io la prima a non farlo.
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Dr.ssa Ilaria La Manna Psicologo, Psicoterapeuta 282 8 9
Gentile Ragazza,

può capitare a volte (magari non è il suo caso) che proprio per il fatto di conoscere qualcuno, come i propri genitori o i parenti / amici più stretti, si pensi anche di conoscere quello che pensano o come potrebbero reagire di fronte ad una determinata situazione e si considera "inutile" parlarci, esporre il proprio punto di vista, i propri dubbi o difficoltà, "tanto so che ragionano così ".

In quest'ottica, non potrebbe essere magari di aiuto parlarne con calma con i suoi genitori, esporre loro quello che sente e, perché no, quello che vorrebbe da loro, un po' di sostegno ad esempio, proprio perché per lei sono persone così importanti.

Può darsi che abbiano degli standard un po' alti nei suoi confronti, ma quale genitore non li ha? Credo però che il suo valore come persona e come figlia non sia quantificabile con gli anni impiegati per laurearsi.

Se invece non vede fattibile questa possibilità, e quindi stando così le cose, cos'è che la potrebbe aiutare a vivere questo momento in modo più sereno?

Dott.ssa Ilaria La Manna
Psicologa Psicoterapeuta - Padova

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dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa La Manna,
tante volte ho pensato di parlare con loro, ma quella strada è impraticabile. I miei genitori hanno delle forti limitazioni sul piano emotivo e comunicativo, una specie di pudore malsano. In casa mia non si parla MAI delle proprie emozioni. Quindi anche per me è molto complicato capire quello che pensano realmente, visto che si tratta di interpretare sguardi, frecciatine, silenzi, indifferenza ecc.
Per esempio mi fa molto soffrire il fatto che non si interessino minimamente di come procede la mia tesi. Non mi chiedono mai nulla, non sanno neanche su che argomento la faccio, nonostante io dia loro molte occasioni per parlarne. Ma davvero non gli interessa.
Stando così le cose potrei sentirmi più serena se mi rendessi competamente indipendente da loro, innanzitutto a livello economico. Anche se il denaro non è un problema nella mia famiglia il fatto di essere mantenuta mi fa sentire molto in colpa, e "in debito". Ho anche pensato di trovarmi un lavoro, ma se ciò dovesse accadere ora chissà di quanto slitterebbe la mia laurea. Senza contare che la dipendenza che ho nei loro confronti è innanzitutto psicologica e finchè non avrò superato quella sentirò sempre di dover dimostrare loro qualcosa.
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Dr.ssa Ilaria La Manna Psicologo, Psicoterapeuta 282 8 9
Forse allora non è tanto, o non solo, la "dipendenza economica " quanto quella psicologica, il vedersi con gli occhi dei suoi genitori e non con i suoi, se posso usare questa immagine.

A differenza dei suoi genitori che forse hanno poca familiarità con le emozioni e la loro esternazione, nelle sue parole invece ci sono tante sfumature emotive, parla di vergogna, delusione, sentirsi in debito, ... e non ultima la grande sofferenza che lei prova per il loro "disinteresse" verso i suoi studi.

Le lascio un pensiero su cui riflettere: dietro quella che lei chiama sofferenza, non c'è forse rabbia?

Le dico questo perché riconoscere quello che si sente e dare loro un nome è il primo passo per iniziare quel "distacco" psicologico di cui lei parla.

Le emozioni, sia piacevoli che meno piacevoli, sono fondamentali, ci permettono di vivere e "sentire" la vita nei suoi mille aspetti, ma solo se sappiamo riconoscerle, dare loro un nome e gestirle in maniera funzionale possono permetterci di raggiungere le nostre mete con maggiore serenità.

Le faccio intanto un grosso in bocca al lupo per la sua laurea!