Esaurimento per ambiente di lavoro ostile

Gentili Dottori,
vi scrivo per ricevere consigli sulla mia attuale situazione di vita.
Sono una ragazza iscritta al secondo anno di dottorato in filologia e sento di star cadendo in depressione. Sono una persona di indole introversa e un po' malinconica; ho trascorso i miei anni, fin dalle scuole medie, ponendomi come principale obiettivo di vita la realizzazione prima scolastica, poi universitaria. Non ho mai avuto una vita sociale, nè affettiva soddisfacente - soffrendoci parecchio - ma i risultati positivi legati allo studio mi hanno fatto sempre andare avanti, credendo in me stessa. Finchè, dopo la laurea, anche questo mio ambito di realizzazione ha iniziato a venir meno.
Ho iniziato il dottorato entusiasta e positiva, ma, dopo pochi mesi, mi sono resa conto di essere mobbizzata dal mio capo e dai suoi assistenti. Non sono la prima persona a venir presa di mira da questa cerchia in università. Il mio tutor non mi corregge il lavoro che gli porto, non risponde quasi mai alle mie mail, a stento mi saluta e spesso nemmeno mi stringe la mano quando mi congedo dopo ricevimento. Le altre dottorande mi rivolgono la parola a mala pena. Mi è stato detto che, una persona come me che si trucca e veste in modo appariscente, non può essere una brava studiosa, ma si sarebbe dovuta iscrivere all'alberghiero! Insomma, sul mio posto di lavoro, non vogliono vedermi come una ragazza seria e studiosa; proprio non ci credono che trascorro le giornate sui libri. Tra qualche mese, dovrò tenere una lezione davanti al professore e al suo giro. Ovviamente, sono l'unica a doversi preparare tutto in autonomia, dalla scelta dell'argomento alla stesura del contributo. Sono terrorizzata dalla prospettiva di questa conferenza che dovrò tenere. Solo avvicinarmi a quelle persone mi rende insicura, rigida, nervosa e impacciata. La mia ansia mi frena e mi fa lavorare male, togliendomi serenità. E, in questo modo, non faccio che rafforzare l'idea negativa che sul lavoro già hanno a priori di me.
Come posso far cambiare idea sul mio conto a queste persone?
Quali strategie posso adottare per non dare a vedere così tanto che sono angosciata e non mi trovo bene?
E come potrò tenere una buona conferenza, senza scoppiare in lacrime quando inizieranno ad attaccarmi su ciò che scrivo e ad insinuare che la ricerca non fa per me?
Vi ringrazio tanto
[#1]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve, attraverso il suo racconto riesce a trasmettere il carico emotivo che sta vivendo. Immagino che possa vivere un forte disagio nella situazione lavorativa che descrive e il terrore della imminente conferenza potremmo dire che non è un caso.
D'altronde descrive l'ambiente di lavoro come molto freddo e poco accogliente. Se ci sono dei contrasti, è più che comprensibile il suo stato d'animo attuale.

Quando si chiede: "Quali strategie posso adottare per non dare a vedere così tanto che sono angosciata e non mi trovo bene?", io penso che sarebbe prima importante capire come mai si sia sviluppata questa situazione.
Se in qualche modo può dipendere anche da lei, in quel caso potrà intervenire su di sé per cambiarla.
Lei ad esempio fa riferimento al trucco e all'abbigliamento appariscente, pensa che sia l'unico motivo che genera questi conflitti o potrebbe rintracciarne ulteriori?
Posso anche chiederle come ha reagito quando glielo hanno detto?

Senz'altro se l'attaccassero insinuando che la ricerca non fa per lei, saremmo in una situazione limite, che bisognerà affrontare nel modo adeguato, senza subirla.

Un saluto,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#2]
dopo
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
La ringrazio per l'attenzione.
Credo che si tratti di un'antipatia che il mio capo prova a pelle per me. Già dal primo colloquio in cui gli ho presentato il progetto di ricerca, è stato maldisposto nei miei confronti. Ricordo che non mi aveva mai guardato in viso, ma, mentre gli parlavo, continuava a scrivere al pc e non ha risposto al saluto quando sono uscita dal suo ufficio. Questo è stato solo il primo di una lunga serie di episodi.
Il problema principale è che sono diversa dalle altre ragazze che lavorano per lui: sono sciatte, piuttosto bruttine e, soprattutto, con un look maschile (quasi tutte portano i capelli corti). Ho modificato molto il mio abbigliamento, eliminando tacchi e gonne, e le occhiatacce delle colleghe si sono un po' ridotte.
Ma il problema non è solo questo: è proprio il mio modo di fare che li disturba, a quanto pare. Dicono che do un'idea frivola, oppure che non parlo mai, o che sono rigida, oppure che ho la risata isterica, o, ancora, che parlo da saputella montata e sono tutto fumo senza arrosto. Insomma, non vado proprio bene io e non so più come comportarmi e come lavorare! Mi hanno preso come zimbello :(
Al professore ho confidato in modo esplicito il disagio che sto vivendo; mi ha detto che sono paranoica e di non nascondermi dietro questi a pretesti per non lavorare e non affrontare i problemi...
[#3]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
È una situazione sgradevole e capisco che sia difficile.

Dentro di me mi accorgo che si formano due pensieri. Il primo è una possibile difficoltà causata dall'ambiente universitario che non è inclusivo per svariate ragioni, che possono non riguardare lei direttamente. In questo caso non dipende da lei, l'importante è capirlo e sono sicuro che nel tempo si farà una sua idea a riguardo.
Il secondo pensiero, invece, è relativo a possibili dinamiche relazionali che si instaurano tra lei, il suo capo e le colleghe, rendendo difficile l'integrazione.

Proviamo a soffermarci su questo mio secondo pensiero. Nella mia testa mi accorgo che continua a passarmi per la mente una metafora, quando cioè il bullo si accanisce con la sua vittima più questa si intimorisce o si irrigidisce.

Allora, se da una parte la situazione potrebbe essere poco favorevole già di suo, potremmo chiederci se potrebbe esserci un carico aggiuntivo dovuto al suo timore di esporsi e di proporsi.

In tal senso mi sono chiesto se non è forse giusto che lei continui a truccarsi e vestirsi come desidera, senza nascondersi o diventare un'altra per compiacenza, senz'altro se il suo look è comunque uno tra quelli più o meno possibili per il contesto.

Più che compiacere, forse invece il punto potrebbe essere far sentire un po' di più la sua voce e procedere per la sua strada, affidandosi alla qualità del suo lavoro e delle sue idee, che sono la sua forza.
A mio parere ha fatto bene a confidarsi con il professore, mi chiedo se non possa dire la sua anche in altri casi. Ad esempio, può ricordare al suo tutor il fatto che lei si trova in attesa di una sua email, senza lasciare cadere la cosa subendola. Ma conquistando il suo spazio.
Altrimenti, se non lo sottolinea, si possono creare situazioni poche chiare ed equivoche. Capisco che non dovrebbe accadere, ma accade, e alla fine non deve farne le spese lei.

La cosa importante è anche capire se ha qualche perplessità o timore all'idea di esporsi o di conquistare lo spazio che le spetta. Questo discorso potrebbe riguardare il suo mondo più interno e aprire anche vissuti ed esperienze legate al suo passato.
Non è facile parlare di questa situazione in questa sede, non ci conosciamo, per questo prenda con il dovuto beneficio del dubbio le mie impressioni.
Il suo racconto implica temi delicati, che riguardano i suoi vissuti più intimi. È necessario uno spazio idoneo, in cui approfondirli e soffermarsi ad ascoltarsi con i dovuti tempi.

Certo non posso fare a meno di pensare a quando dice di non avere "mai avuto una vita sociale, nè affettiva soddisfacente - soffrendoci parecchio". Questa affermazione merita molta attenzione e apre numerose domande in me. Penso che sia importante che lei possa riflettere su questo e avere l'occasione di sviluppare una vita relazionale soddisfacente e gratificante. È una carenza che non merita.

Il suo concentrarsi sullo studio mi ha fatto riflettere, e mi sono chiesto se non sia stato un modo per non sentire il grande peso della sofferenza di cui ci parla, anche con il tentativo di sentire un valore in se stessa, come se in fondo non se lo riconoscesse, come se non fosse sicura di sé?
Chissà se questo momento lavorativo difficile, in cui è costretta a relazionarsi con gli altri, in cui potremmo dire fortunatamente non basta studiare, non possa essere oggi per lei una preziosa occasione, per quanto difficile da affrontare.
Un'occasione per confrontarsi con se stessa, scoprire nuove parti di sé e potersi esprimere più liberamente. Trovando così un senso di appartenenza e, perché no, anche un po' d'amore.

Un caro saluto,
Enrico de Sanctis