Terminare terapia per transfert?

Gentili dottori,
Da circa 1 mese ho sospeso una terapia che, con tante interruzioni, durava da 3 anni.
Un mese fa in seduta il mio terapeuta mi ha proposto di elencargli punto per punto tutti i miei difetti fisici, legati a una malattia cromosomica, con l'aiuto di una mappa corporea completa.
All'inizio non volevo, poi ho accettato ma non ho retto. Dopo un po' non ce l'ho più fatta a stare lì a elencare quanto faccio schifo, quando io vorrei solo piacergli fisicamente.
Mi sono arrabbiata e me ne sono andata.
In realtà non provo attrazione fisica per il mio terapeuta, almeno non quando lui è presente fisicamente. È un uomo più vecchio di me, non alto né piacente, sovrappeso e con alcuni evidenti difetti fisici che, al posto suo, correggerei chirurgicamente. La prima volta che l'ho visto arrivavo da una breve e fallimentare terapia con un uomo giovane, alto e prestante, il che era stato un problema per me.
Tanto che pensai: "meno male che questo qui è brutto!"
Non lo so nemmeno io che cosa vorrei da lui di preciso.
Ci sono delle volte che penso che potrei avere rapporti sessuali con lui perché così avrei la conferma una volta per tutte che sono una donna anche io.
Ma il più delle volte desidero un abbraccio, o una carezza, o poter piangere ed essere consolata. Mi sembra che, se per assurdo fossi "corrisposta" in questo sentimento che nemmeno io so cosa sia, potrei rivalermi di tutto ciò che non ho avuto fino ad ora, delle cose brutte che ho passato e di tutto ciò che la malattia mi ha tolto.
La cosa che più mi fa rabbia, è che io lo so che l'unico motivo per cui lui non mi vuole è perché non sono geneticamente una donna. Lui parla di ruoli, di deontologia professionale, di transfert che va analizzato. Ma sono tutte scuse. Se fossi una donna vera non mi rifiuterebbe. Anzi, se fossi nata normale sarei bella e alta, sarei una donna vera e uno come lui non lo considererebbe proprio, perché potrei avere tutti gli uomini che voglio, uomini molto più giovani e più belli.
Invece sono uno schifo con cui nessun uomo al mondo, nemmeno il più brutto, vorrebbe mai avere rapporti.
La settimana scorsa mi ha contattata per segnalarmi una conferenza che pensava potesse interessarmi. Ci siamo scritti un paio di mail dopo, mi ha detto che questo transfert bisogna affrontarlo in terapia dandomi appuntamento per la settimana prossima. Ma io andrei solo per rivedere lui non per me, e questo non va bene, non è fare terapia. L'ho detto pure a lui.
Cosa devo fare? Sono confusa.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
"Ma io andrei solo per rivedere lui non per me, e questo non va bene, non è fare terapia. L'ho detto pure a lui.
Cosa devo fare?"


Gentile Utente,

io credo che Lei debba affrontare la questione in terapia, anche perchè mi pare -leggendo i consulti precedenti- che con questo terapeuta Lei abbia trovato un curante attento e disponibile per trovare le risposte che cerca da sempre.

Perchè non tornare e partire proprio da questo consulto, dicendo che si è arrabbiata per la questione che stavate affrontando in terapia, perchè quello è uno dei punti critici per Lei. Altrimenti, tra molto tempo sarà ancora qui a soffrire.

Le psicoterapie non sono indolore e purtroppo Lei ha anche la problematica genetica che tanto la fa soffrire.

Ma in psicoterapia ci sono tantissimi uomini e donne che soffrono ugualmente pur non avendo il Suo problema genetico. E che arrivano a stare bene con se stessi e con gli altri. Perchè non vuole darsi anche Lei questa possibilità?

Infine, mi dispiace, ma sbaglia quando giudica il terapeuta, perchè ciò che dice il terapeuta è sensatissimo: abbiamo un Codice Deontologico che dà regole molto utili, chiare e severe per tutelare l'utenza.

Cordiali saluti,
[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa,
la ringrazio della risposta
Per ora non me la sento affatto di affrontare la cosa.

Solo una precisazione: io non giudico male il mio terapeuta, piuttosto mi fa arrabbiare che non mi dica la verità.
Il codice deontologico non dice mica che i terapeuti debbano essere degli automi che spengono gli ormoni quando entrano in studio. Dice solo che non devono approfittare della loro posizione, ma questo vale un po' per tutte le professioni. Chi ha un ruolo di superiorità non deve approfittarne per ottenere favori sessuali da subalterni. Non vedo in cosa la vostra professione sarebbe diversa.
Se un/a terapeuta provasse attrazione per un/a paziente che male ci sarebbe? L'importante è che metta in chiaro le cose, che termini la terapia e invii eventualmente il/la paziente a un collega. Da quel momento in poi non c'è più terapeuta né paziente, solo uomini e donne, quindi non capisco il punto.
Se poi ci sono pazienti che si fanno abbindolare da terapeuti poco onesti che si approfittano di loro, mi dispiace ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Il paziente non è mica incapace di intendere e di volere. Non mi si venga a dire che chi ha rapporti sessuali con il proprio terapeuta non è consenziente e subisce un abuso, perché non è vero. Se un/a paziente ha rapporti sessuali con il/la propria terapeuta è perché lo vuole, e poi non si deve lamentare delle conseguenze. Se mai chi viene minacciato/a di licenziamento se non compiace un superiore, subisce un abuso, quello sì.
Ma questa è una mia opinione e stiamo uscendo dal seminato.
Anzi, no. In realtà sono rimasta sul pezzo. Spero di averle fatto capire che io il ragionamento "non posso fare delle avances a tizio/a perché è mio/a paziente" non lo capisco mica tanto. Per me se un/a terapeuta rifiuta un/a paziente è solo perché non lo/la trova attraente. E nulla più. per questo mi sento rifiutata come donna.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

Lei scrive: "... io il ragionamento "non posso fare delle avances a tizio/a perché è mio/a paziente" non lo capisco mica tanto. Per me se un/a terapeuta rifiuta un/a paziente è solo perché non lo/la trova attraente. E nulla più. per questo mi sento rifiutata come donna."

Il pz. chiede al terapeuta un trattamento specifico per la problematica che lo fa soffrire. Nient'altro.
Ma è vero che il pz. potrebbe non conoscere la deontologia: è compito dello psicologo psicoterapeuta conoscerla.
Il pz. potrebbe pure non controllarsi se fosse attratto dal terapeuta e fare ciò che vuole; ma è compito dello psicologo, invece, gestire la situazione e se il terapeuta fosse pure attratto dal pz. è suo (del terapeuta) compito o inviare il pz. oppure - se il terapeuta fosse certo di saper gestire la situazione- continuare la terapia in modo professionale.

Essere professionale vuol dire moltissime cose, e il terapeuta DEVE sapere che l'obbligo del pz termina nel momento in cui paga la seduta. Oppure, se il pz per qualunque ragione non pagasse perchè pro bono, anche in quel caso il terapeuta sa che il pz. non ha altri obblighi.

Quanto all'essere consenzienti, anche qui non sono d'accordo con Lei. Lo psicologo è il professionista che si occupa della mente e poichè l'atto sessuale e la relazione sentimentale sono tra quelle esperienze che richiedono anche la nostra mente, direi che prima una persona pensa. Pensa alle conseguenze e, se terapeuta, pensa al bene del proprio pz.

Non si tratta MAI di un rapporto paritario, quello tra terapeuta e paziente. Il terapeuta DEVE avere un maggior poter e e controllo sulla sofferenza, altrimenti spaventa il pz perchè apparirebbe come uno che non sa che pesci prendere.
Tra pz. e terapeuta deve esserci senz'altro alleanza ma contro la sofferenza.

Per farmi capire meglio Le faccio un esempio. Se un terapeuta dovesse occuparsi dell'anoressia di una pz che invece non ne vuole sapere di mangiare e di vivere, non può nè deve colludere con la patologia della pz, magari in nome della libertà della pz, perchè è chiamato ad utilizzare gli strumenti in suo possesso per aiutare la pz, non per distruggerla.

Nel Suo specifico caso, posso chiedere se questo conflitto con il terapeuta ha a che vedere con la Sua sofferenza legata a ciò che ancora non ha avuto?
[#4]
dopo
Utente
Utente
Sono d'accordo con lei solamente sull'opportunità di inviare il/la paziente.
Per il resto no. Non si può essere terapeuta/paziente e allo stesso tempo avere una relazione di tipo sentimentale, questo è ovvio. ma si può decidere di non essere più terapeuta/paziente per essere semplicemente uomo e donna.
Ma poco importa, stiamo discutendo di questioni di lana caprina, come si suol dire.

Piuttosto, lei scrive:
"Nel Suo specifico caso, posso chiedere se questo conflitto con il terapeuta ha a che vedere con la Sua sofferenza legata a ciò che ancora non ha avuto?"

Non è che ANCORA non l'ho avuto, mi sono espressa male. In realtà non lo potrò MAI avere, perché non sono una donna. Quelle di rivalsa sono e resteranno, purtroppo solo fantasie. Come quando fantastico di trovare un medico che possa guarirmi e farmi diventare una donna vera, e che potrò avere le mestruazioni avere tutti gli uomini e i figli che voglio. Ma ovviamente non potrà mai succedere. non sarò mai una donna vera e non avrò mai nulla dalla vita.
Per questo il mio terapeuta non mi vorrà mai. Né lui né nessun altro.
In effetti non ha senso riprendere nessuna terapia. Avrebbe senso solo se fossi geneticamente normale.
Comunque grazie per aver dedicato tempo ad ascoltare lo sfogo, anche se non può capire. perché lei è una donna vera (e già la detesto per questo) e io invece no. Ma non la prenda sul personale, purtroppo detesto tutte le donne, anche se non è una bella cosa.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile Utente,

è perfettamente chiaro ciò che prova e credo sia del tutto comprensibile.
Ma di fronte ad un problema che purtroppo non ha una soluzione auspicata (es trovare un medico che possa avere una cura per Lei), perchè purtroppo si tratta di un problema genetico, che cosa pensa di fare?

Lei ha già provato a rifiutare, evitare di fare tante cose, si è chiusa in casa ed evita gli altri perchè teme il loro giudizio e il loro allontanamento. Ma questo dove l'ha portata? Che vantaggi Le ha dato? E quali svantaggi?
Probabilmente così soffre ancora di più, non crede?
Quindi, che cos'altro potrebbe cercare di fare, oltre alle soluzioni che ha già provato a mettere in atto?

Il fatto di non avere le mestruazioni La fa soffrire perchè questo significa frustrare la Sua femminilità e lo capisco. Ma secondo Lei come può vivere e tentare di essere felice, nonostante tutto?

Ciò che vorrei trasmetterLe è il problema oggettivo c'è ma nonostante tutto non merita di soffrire ulteriormente, ma potrebbe trovare soluzioni che Le permetteranno di vivere serenamente e felicemente. Inoltre, il terapeuta a mio avviso stava lavorando benissimo nel Suo interesse, perchè secondo me voleva proprio farLa ragionare sulle soluzioni al problema.

Capisco anche il Suo astio per le donne che Lei distingue in "vere donne" e altre che non lo sono. Ma sarebbe utilissimo per Lei se con la psicoterapia riuscisse a sentirsi una donna, indipendentemente dalla statura e dall'avere o meno figli.


Cordiali saluti,
[#6]
dopo
Utente
Utente
Cosa penso di fare? Cercherò un medico che mi possa guarire definitivamente, ecco quello che devo fare. Da qualche parte nel mondo ci sarà di sicuro qualcuno in grado di riparare tutti gli errori del DNA e fare diventare le persone normali. Solo che non me lo vogliono dire, perché non vogliono che io diventi una donna vera.
Invece io lo troverò chi mi può guarire prima o poi, e allora diventerò una donna anche io, avrò il corpo che avrei dovuto avere non questo, e sarò più bella di tutte le altre e potrò avere tutti gli uomini che voglio, e avrò tantissimi bambini tutti concepiti in modo naturale.
Anche se voi non volete.
[#7]
dopo
Utente
Utente
Gentili dottori,
sento di avere finalmente terminato la mia psicoterapia oggi, purtroppo non in modo positivo.
Ho parlato stamattina qualche minuto con il mio terapeuta, perché volevo risposte. Risposte da persona e non da psicologo, che però non sono arrivate. La settimana scorsa gli avevo esplicitamente scritto che non riesco a fare più terapia, non lo vedo più come un terapeuta, che non voglio tornare in terapia ma altro. E gli avevo chiesto di dirmi quali fossero i veri motivi del suo rifiuto nei miei confronti, di vederci fuori dallo studio, anche pochi minuti per chiarire e parlare come persone normali.
Ovviamente la risposta è stata no.
Mi ha detto che pensa che nonostante la malattia io possa arrivare ad avere una vita quasi normale, fare cose come mettere una gonna senza vergognarmi o poter andare in spiaggia (abito a meno di 300 metri dal mare e sono 20 anni che non ci vado per la vergogna di dovermi mettere in costume, e porto sempre pantaloni lunghi anche in estate), ma che non può decidere per me se continuare la terapia oppure no.
Vede sempre e solo la mia malattia e non me, come tutti. Tre anni di terapia e io non conosco lui (e vabbè ci sta), ma lui nemmeno conosce me.
Sa ormai tutto sulla mia malattia. Ha letto articoli, pubblicazioni, ma soprattutto glie ne ho parlato io, perché perché all'inizio non sapeva proprio cosa fosse. Ma di me non sa nulla. Non sa cosa mi piace fare, come passo le mie giornate, non sa nulla della mia famiglia o dei pochi amici che ho.
Io invece almeno per lui vorrei essere io, non un caso clinico.
Credo che la maggior parte della gente vada in terapia e parli di sé, del lavoro, della famiglia, degli amici...
Io no, riesco a parlare sempre e solo della mia malattia. Non c'è altro. INon ho interessi né passioni. Praticamente non esisto al di fuori della malattia. Nemmeno il mio passato riesco a raccontare, se non episodi legati alla mia malattia. Ma pure lì pochissimi e racconto solo i fatti, non quello che ho provato, sarebbe doloroso e non avrebbe senso.
Oggi il mio (ex)terapeuta mi ha detto anche che dovrei fare un percorso di terapia, con lui o con altri, per capire perché io mi senta autorizzata a relazionarmi solo con persone che hanno un certo tipo di ruolo nei mie confronti, cioè medici, psicologi o simili.
Insomma, nel mio vissuto non ho avuto praticamente altri tipi di relazioni al di fuori di quella medico-paziente (insomma poche) e il mio (ex) terapeuta mi ha detto che non va bene, che non è normale. Appunto per questo io non voglio più essere un caso clinico, almeno per lui, non voglio più essere sua paziente. E allora, perché non va bene? Perché non mi vuole? Non lo capisco.
Io di sicuro non riuscirò più a fare terapia con lui ormai, ho finito questo percorso e mi sento triste, e vuota e anche arrabbiata.
Perché tanto lo so che sono tutte scuse e che se fossi stata geneticamente normale, come le altre pazienti, non mi avrebbe rifiutata, anzi...
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