Panico e fobia sociale: prospettive e decorso

Salve, sono un ragazzo di 30 di Bologna.
Ho sempre vissuto una vita “piena” e senza particolari problemi:speaker radiofonico all’università, mai nessun grosso problema a parlare in pubblico o con sconosciuti (a parte qualche inevitabile umana timidezza in certe situazioni), viaggi in aereo lunghissimi anche da solo, treno, cinema...Per passione ho sempre cantato e quindi esibito in pubblico in festival e vari locali della mia città. Discretamente brillante nel lavoro (speaker radiofonico prima, pubblicitario dopo).
A dicembre, a conclusione di un anno molto difficile (perdita del lavoro e della casa che non potevo più permettermi, lasciato dalla ragazza e un’inevitabile malinconia da giro di boa dei 30 anni) ho avuto il mio primo attacco di panico che mi ha portato al pronto soccorso.
L’episodio è stato in un primo momento addebitato all’eccessivo uso di cannabinoidi che ho fatto in questo anno per tentare di tenere lontana la tensione di un periodo così nero. Si aggiunga che per tappare il buco del licenziamento dal mio lavoro precedente ho dovuto iscrivermi ad una agenzia interinale e farmi dare un lavoro da addetto call center in attesa di ritrovare un’altra agenzia pubblicitaria.
Quindi col medico (dopo accurati esami che escludessero patologie tipo tiroidee etc) si è deciso per l’inizio di una psicoterapia associata ad un farmaco benzodiazepinico da prendere “alla bisogna”.
Psicoterapia iniziata a gennaio, due volte a settimana, per la prima volta nella mia vita.
A gennaio la mia vita bene o male andava avanti, con un solo attacco di panico durante un’assemblea sindacale al lavoro. Ma uscivo, cinema, macchina, pub, ristorante. Ho iniziato a frequentare anche una ragazza a cui tengo tantissimo.
Mentre la terapia continuava, le cose sono iniziate a peggiorare a fine gennaio-inizio febbraio. Attacco di panico al cinema, irrequietezza assurda nei locali, tanto da smettere a poco a poco di uscire. Il medico mi ha consigliato di aumentare la dose della “bisogna”: passa da cinque a dieci gocce quando devi andare nei posti o nelle situazioni che temi pericolose.
Nulla di fatto: peggioramento a vista d’occhio nelle prime settimane di febbraio: non riuscivo più neanche ad uscire di casa per camminate lunghe. Gli attacchi diventarono quotidiani, soprattutto al lavoro e in ogni situazione affollata. Sempre più forti: sensazione di svenimento, tachicardia, paura, irrequietezza, impossibilità a parlare...nodo alla gola. Allora col medico siamo passati ad una cura combinata di un farmaco a base di BDZ (25mg 3 volte al dì) ed Eutimil 20 mg una volta al dì.
Cura iniziata dieci giorni fa, ma situazione invariata: non riesco a fare nulla se non stare in casa od uscire per brevissime passeggiate in strade non affollate. Unico effetto (per ora) un senso di angoscia fortissimo che mi prende tutte le mattine per poi affievolirsi pian piano lungo la giornata e sfociare in sonnolenza e apatia totale.
So che la Paroxetina ha bisogno di tempo per fare effetto, ma io tempo ora non ne ho.
Essendo precario al call center ho dovuto licenziarmi e sto rimandando sine die tutti i colloqui di lavoro per le agenzie pubblicitarie.
Inutile dire che gli amici non mi stanno più vedendo e la ragazza con cui avevo appena iniziato ad uscire e che adoravo è li in un limbo: non so ne cosa fare ne cosa dire. Non ho nulla da proporle per invitarla ad uscire e il mio cellulare sta iniziando a diventare muto.
Questo è il quadro, le mie domande sono queste.
Questo peggioramento improvviso è normale? Può essere imputato all’inizio della psicoterapia che ha tirato fuori malinconie e dolori sopiti da 20 anni circa?
Quanto è grave la mia situazione? Ne il medico, ne lo psicologo si sono voluti sbilanciare.
Ho bisogno di riorganizzare la mia vita in fretta anche perché ora vedo davanti a me solo giornate senza nulla da fare, niente lavoro, ne amici, ne ragazza da vedere. Solo casa mia.
Quanto tempo prima di vedere un miglioramento?
Questi farmaci, ovviamente associati alla psicoterapia, bloccheranno gli attacchi o li attenueranno solo?
Ammesso un miglioramento, dovrò convivere una vita con questo problema o sono episodi che una volta guariti, non si ripresenteranno più?
Consigli su qualche specialista del settore fobia sociale a Bologna?
Vi ringrazio moltissimo.
[#1]
Psichiatra attivo dal 2007 al 2012
Psichiatra
Gentile utente,
provo a rispondere punto per punto ai suoi quesiti:

1) il fatto che il suo di disturbo da panico sia peggiorato può essere considerato "normale" in quanto, prima di assumere paroxetina, ha assunto solo benzodiazepine (ansiolitici): quest'ultime sono farmaci "sintomatici" che non hanno alcun effetto "bloccante" sulle crisi di panico inoltre, il loro uso continuativo (mesi, anni), può generare fenomeni d'assuefazione, dipendenza ed astinenza. Aggiungo che l'uso di cannabis può peggiorare il decorso del disturbo da panico

2) il peggioramento non può essere imputato alla psicoterapia

3) la sua situazione non è grave, ma curabile anche con successo

4) i farmaci curativi (serotoninergici, come ad esempio la paroxetina) hanno una latenza d'azione di circa 20 giorni, prima non producono alcun effetto positivo, semmai qualche effetto collaterale (nausea, bruciori di stomaco, talora un lieve e transitorio incremento dell'ansia); queste molecole non determinano assuefazione, dipendenza ed astinenza.

5) la terapia farmacologica serve a bloccare il ripetersi delle crisi di panico, la psicoterapia (cognitivo-comportamentale) può essere utile a ri-esporsi in maniera controllata alle situazioni temute qualora si siano strutturate, come conseguenza del ripetersi delle crisi di panico, condotte d'evitamento (per esempio disagio nei posti chiusi, affollati, nelle gallerie, paura nel rimanere da solo in casa o nel viaggiare da solo, tematiche ipocondriache etc. etc.)

6) secondo i canoni della psichiatria biologica i diversi disturbi si manifesterebbero comunque sulla base di una predisposizione di tipo costituzionale; si può dunque gurarire completamente dall'episodio, tuttavia la predisposizione a riaverlo persiste

7) lei parla di fobia sociale: faccio presente che l'essere a disagio in situazioni sociali a causa della paura di riavere attacchi di panico è una forma d'evitamento legata al disturbo da panico; in questo caso si parla di fobia sociale secondaria ed essa non ha nulla a spartire con la fobia sociale (primaria) che, da un punto di vista psicopatologico, affonda le sue radici in una spiccata ipersensibilità al giudizio, alla critica ed al rifiuto.

Cordiali saluti
Giuseppe Ruffolo

www.psichiatria-online.it
[#2]
Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta 3.6k 187
Gentile Utente,
credo Le basterà la molto ben dettagliata risposta del Collega Ruffolo. Effettivamente il disagio in alcune situazioni sociali, una volta fatta diagnosi di Disturbo di Panico, è da attribuirsi a condotte di evitamento che servono a "proteggere" (paradossalmente) il disturbo stesso.

Da qui la necessità di una psicoterapia cognitivo-comportamentale che associ al normale lavoro in studio anche esercizi comportamentali di "esposizione"

Per informazioni potrebbe vedere il sito www.aiamc.it, dove trova l'elenco dei terapeuti anche dell'emilia romagna

Cordialmente

Daniel Bulla
dbulla@libero.it

Cordialmente

Daniel Bulla

dbulla@libero.it, Twitter _DanielBulla_

[#3]
Utente
Utente
Gentili Dottori, vi ringrazio moltissimo per le risposte celeri ed esaustive.

In sostanza devo solo aspettare che la paroxetina faccia il suo effetto (il prima possibile!!!!)e che in parallelo la psicoterapia scavi nelle cause.

Tre domande più specifiche:

1) lo psicologo da cui sto andando mi ha parlato di un "Metodo Buteyko" (esercizi di controllo del respiro e riequilibrio CO2-ossigenzione) che sarebbero molto indicati, tra l'altro, per la cura da attacchi di panico.
Consigli?
Pareri?

2) Mi sto rendendo conto che in queste due/tre settimane la mia mente è TOTALMENTE concentrata sul mio problema, non penso ad altro (inteso come via d'uscita a questa situazione), cerco assiduamente in rete forum, spiegazioni, approfondimenti, risposte.
La mia ostinazione iniziale a non pensar di poter avere attacchi mi ha portato ad affrontare le situazioni comunque sia, ma ad ogni attacco, il giorno dopo mi scoprivo "vulnerabile" anche in situazioni in cui prima mi sentivo sicuro. Esempio: fino a una settimana fa non avevo problemi a guidare, avuto un attacco di panico per strada mentre camminavo, il giorno dopo sono andato in macchina e mi è venuto un attacco anche lì. Di attacco in attacco ho sottratto situazione su situazione fino a trovarmi chiuso in casa a cercare in internet le risposte ai dubbi che magari non ho avuto ancora il tempo di sviscerare con lo psicoterapeuta perchè impegnati appunto a scavare più nel passato che nel presente.
Domanda che potrà risultare sciocca, ma confido sulla vostra comprensione...il mio cercare a tutti i costi risposte su risposte agli attacchi di panico, cosa sono e perchè, tempi e modi d'uscita, ha aumentato il circolo vizioso in cui mi trovo? Mi spiego meglio: in questi casi di ansia e attesa cercare di "pensare ad altro" aiuta o infodno è meglio concentrarsi sul proprio male in modo da, in qualche modo..."accettarlo" e quindi curarlo prima?

Vi ringrazio ancora moltissimo per l'attenzione e per lo splendido servizio che prestate
[#4]
Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta 3.6k 187
Gentile Utente,
alla prima domanda rispondo "non so", personalmente non ne ho mai sentito parlare, ma più che la tecnica in sè è importante capire a cosa la usa lo specialista

Secondo, sarebbe meglio non evitare il problema ma pensarci, certo, il discorso però è che questo "pensarci" andrebbe guidato attentamente dal professionista a cui si è rivolto.

Perchè non gli dice che ci ha contattati, ad esempio? Potrebbe nascere una bellaq discussione, e potreste approfondire le reciproceh incomprensioni

Cordialmente

Daniel Bulla

dbulla@libero.it
[#5]
Dr. Stefano Garbolino Psichiatra, Psicoterapeuta, Sessuologo 2.5k 36
Gentile utente,
sono d'accordo con i pareri precedenti.
Cordialmente

Cordialmente
www.psichiatriasessuologia.com

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