Obesita sfida se stessi.

L’obesità: una sfida con sé stessi

L’obesità è una “condizione morbosa causata dall’ingestione di una quantità eccessiva di cibo, che accumulandosi sotto forma di grassi sconquassa l’organismo e lo avvelena”. Perché è così diffusa e come si può curare?

Introduzione

L’obesità è da qualcuno considerata una forma di autolesionismo, definito come “danneggiamento del proprio corpo con lesioni autoinflitte dirette e intenzionali”. L’autolesionismo è anche collocato tra gli “atteggiamenti o comportamenti di chi agisce in maniera contraria al buon senso e ai propri interessi”. La Bibbia considera la gola un peccato capitale.

“Professore” - ha replicato ai miei rimproveri l’ultimo in ordine di tempo dei miei pazienti - “il cibo è l'unica cosa buona che mi dà una sensazione di benessere. Vuol togliermi anche questa? Lo so che la ciccia fa male specialmente col passare degli anni, ma sono stanco e non ho più voglia di vivere questa vita brutta, priva di soddisfazioni”.

Faticare fa bene

Che fa il medico in queste circostanze? Se fosse mastro Geppetto chiederebbe ai carabinieri di ricondurre l’obeso al suo dovere, che consiste nel mantenere in ordine il proprio corpo, invece di gozzovigliare. È un’operazione altrettanto faticosa quanto studiare, ma la vita non regala alcunché. C’è solo da ringraziarla sia perché faticare fa bene, sia perché altri sono meno fortunati. Sono quelli che nascono menomati in partenza nella mente, nelle braccia o in entrambe. Per quanto paziente egli sia, il medico alla lunga si spazientisce e manda al diavolo l’obeso che non l’ascolta, tanto più che in lista d’attesa ci sono altri pazienti, tutt’altro che autolesionisti.

Poi ci riflette, perché ha letto le Avventure di Pinocchio: ci sono i Lucignoli irrecuperabili, ma ci sono anche i Pinocchietti, così li chiamo io, che si rimettono a studiare e sono promossi, negli studi e nella vita. Questo articolo è dedicato a loro, ma soprattutto ai genitori che allevano male i loro figli. Perché l’obesità dell’adulto nasce nell’infanzia, quando la prole è governata dai genitori (1).

Obesità nei bambini

Più che un articolo, questa è una “prescrizione medica”, corredata della relativa spiegazione scientifica esposta in modo da essere comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

Cos'è l'obesità?

L’obesità è una “condizione morbosa causata dall’ingestione di una quantità eccessiva di cibo, che accumulandosi sotto forma di grassi sconquassa l’organismo e lo avvelena”.

La diagnosi e la misura della sua gravità si avvalgono dell’Indice di massa corporea (IMC), in inglese Body mass index (BMI), che misura il rapporto tra peso corporeo in kg e quadrato dell’altezza in metri (kg/m2). Questo test richiede una bilancia e un foglio di carta, dove annotare giornalmente il peso così da seguirne l’andamento. L’obesità corrisponde a un IMC maggiore di 30 kg/m², il sovrappeso a un IMC compreso fra 25 e 30. La prima è la malattia conclamata, il secondo la preavverte, consentendo di affrontarla prima che produca danni irreparabili.

Indice di massa corporea (IMC)

Per completare il quadro dell'obesità, lo sconquassamento corrisponde alla situazione di un’autovettura gravata da una zavorra di 2-3 quintali, che in aggiunta al peso dei passeggeri usura e rompe le sospensioni e la scocca portante. L’avvelenamento corrisponde invece all’accumulo di immondizia che ingombra e impesta alcune città, favorendo le pestilenze.

In realtà, l’immondizia accumulata nel nostro organismo ha un’origine più complessa, che chiama in causa perfino la pratica religiosa del digiuno. Questa è la sostanza, tuttavia, sulla quale conviene soffermarsi per non distrarsi dal cuore del problema. Il medico che vi scrive è peraltro pronto, se servisse, a fornire maggiori dettagli.

Lo sconquasso e l’avvelenamento dell’organismo comportano un documentato abbassamento della durata e qualità della vita, entrambe associate a patologie ben conosciute: dislipidemie, aterosclerosi, endoteliosi, diabete, acantosi, steatosi epatica, disfunzioni sessuali, apnee ostruttive nel sonno, affezioni osteoarticolari, cardiocircolatorie, dismetaboliche, infettive, ecc. (2,3).

In conclusione, l’obesità con le sue sequele non appartiene alle malattie essenziali, come sono chiamate quelle dovute a cause sconosciute, che impediscono di affrontarle a viso aperto. A parte i concomitanti fattori genetici, culturali, ormonali e via dicendo, essa è dovuta a una causa precisa: “una quantità di cibo eccessiva rispetto al fabbisogno energetico e plastico dell’organismo”.

Per inciso, quello energetico corrisponde al carburante di un’autovettura che se rimane a secco si ferma, quello plastico al cemento e ai mattoni sui quali si regge un edificio. Se servisse, anche qui sono pronto a illustrare a parte il significato di questi termini. L’eccesso patologico di queste sostanze non è imposto dall’esterno, come succede alle povere oche francesi del foie gras destinato ai ghiottoni.

Per riconoscerlo e misurarne l’entità basta guardarsi allo specchio e pesarsi. Infine, la cura per l'obesità consiste nel mangiare di meno e consumare di più. È gratis, anzi consente di risparmiare sulla spesa alimentare. Eppure, l’obesità si sta diffondendo con una velocità impressionante, al punto che dopo avere affiancato la denutrizione, la piaga sanitaria che nei millenni aveva falcidiato l’umanità, ora la sta superando (3).

Perché l'obesità è così diffusa?

Una prima spiegazione l’ha fornita l’obeso citato pocanzi, come meglio non si potrebbe. In sintesi, ci dice che il piacere del cibo fornisce al buongustaio l’attaccamento alla vita, che senza questo aiuto non meriterebbe d’essere vissuta. Sotto questo profilo la sua condizione ricorda la depressione, sennonché il depresso endogeno è diverso. Lui percepisce la vita come un peso talmente insopportabile, che al limite lo spinge al suicidio. Tra i due c’è un’ulteriore differenza.

“Professore”, obietta il depresso cui prescrivo una medicina, “è il mondo che lei deve curare, non me!”.

In realtà, gli antidepressivi funzionano non curando la vita, che è un’impresa impossibile, ma alleviandone la sofferenza e conferendo la forza necessaria per affrontarla. In sostanza non curano il mondo, ma ne alleviano la sofferenza. Qui chiudo senza complicare il quadro con la depressione reattiva che ha una genesi concreta, ma non senza segnalare al lettore un mio vecchio articolo, tuttora reperibile sul Web: “Trazodone and the Mental Pain Hypothesis of Depression”. Tra le referenze troverà il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, che è uno dei miei autori preferiti. Vi si parla dell’alcolizzato che beve per dimenticare d’essere alcolizzato.

Come si cura l'obesità?

Ritornando all’obeso, a differenza del depresso lui la cura la sollecita e si arrabbia se non funziona, sennonché la vera cura è l’attaccamento alla vita, che non si prescrive, né si acquista in Farmacia.

Cura dell'obesità: esercizio fisico e dieta

Il medico dispone di quattro surrogati:

  1. gli anoressizzanti, che riducono il senso della fame;
  2. le diete, congegnate in modo da ridurre l’apporto energetico e plastico del cibo, preservandone per quanto possibile il gusto e il piacere;
  3. l’esercizio fisico, volto a favorire il consumo fisiologico del cibo, così da evitarne l’accumulo patologico, come tale o sotto forma di scorie nocive;
  4. la psicoterapia.

Sui primi tre non mi soffermo, limitandomi a segnalare l’utilità di una prescrizione personalizzata, col nome e cognome del paziente. È infatti il medico che, per non peggiorare le cose, adegua la terapia alle caratteristiche del singolo paziente. La psicoterapia è diversa.

Al pari della pedagogia e della didattica in genere, la psicoterapia implica due percorsi, corrispondenti nelle Avventure di Pinocchio al carabiniere che arresta e al Grillo Parlante e alla Fata dai capelli turchini che ammoniscono a comportarsi bene. Alla fine è lei ad avere successo, ma solo quando a Pinocchio crescono le orecchie e la voce si trasforma in un raglio. Il medico che scrive questo articolo la sua scelta l’ha fatta, nel lavoro e anche fuori: “In medio stat virtus”.

“Hai studiato? Si sta facendo notte e domani ti interrogano!”: ecco gli ammonimenti, che ancora risuonano nelle orecchie, di un padre e di una madre rivolti al più discolo dei loro figli. Il quale alla fine si fece bocciare, castigandosi da solo. Fu allora che, nel timore che la lezione non gli bastasse, il padre lo spedì in montagna, a spaccare le pietre. Il figlio prima si arrabbiò, poi si rimise a studiare seriamente e si laureò con 110 e lode. Alla fine ha ringraziato suo padre.

Quando insegnavo, ero il docente che bocciava più studenti. Anche loro si arrabbiavano, un padre mi insultò e per poco non mi mise le mani addosso. Eppure, al di fuori di questo caso non sono mai stato apertamente contestato, nemmeno negli anni della grande contestazione giovanile. Anzi, mi è successo più volte d’essere ringraziato da chi avevo bocciato. Sembra incredibile, ma è così. Io ne ho ricavato una lezione politica, oltre che etica e medica, che mi propongo di esporre in un libro, il quarto della mia vita.

Ritornando all’obeso cui le lezioni autoinflitte non sono ancora bastate per ravvedersi, da medico non posso mandarlo in montagna a spaccare le pietre. Non posso nemmeno abbandonarlo al suo destino solo perché, come sostiene qualche mio collega, “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

Per approfondire:Obesità: quando ricorrere alla chirurgia bariatrica?

Le terapie disponibili

Il problema sono le terapie disponibili, che non sono soddisfacenti. Gli anoressizzanti qualcosa fanno, ma il piacere del cibo è un’altra cosa. Inoltre, sono gravati da effetti collaterali e dal rischio di assuefazione e dipendenza. Le diete comportano il pericolo che taluni dietologhi, per ridurre rapidamente il peso, le sbilancino. Queste diete funzionano, ma a discapito dell’organismo, che si ammala. In quanto all’esercizio fisico, ogni chilogrammo di grasso da smaltire corrisponde a circa 7000 calorie, contro le 2000, 2500 giornaliere consumate normalmente dalla donna e dall’uomo. Smaltirle è evidentemente una fatica improba. Qualcuno la allevia ascoltando la musica mentre corre o ricorrendo a uno sport divertente.

Da docente, io approfittavo della mia corsetta quotidiana per mettere ordine nei miei pensieri e ripassare la lezione, che tenevo poco dopo. Il medico non può svolgere questo lavoro al posto del paziente, ma può consigliarlo e calibrarlo su ciascuno. A questo fine può essere utile la determinazione del metabolismo di base, che si misura col metabolimetro.

Queste sono le prime tre terapie disponibili, tutt’altro che soddisfacenti. Da farmacologo, io sto studiando un anoressizzante capace di soddisfare la fame nervosa in modo fisiologico, sennonché per tradurlo in pratica occorrerebbe un finanziamento, che non ho. Rimane la psicoterapia, che in buone mani è altrettanto potente quanto la farmacoterapia. Anzi, in certe situazioni è l’unica risolutiva.

Per approfondire:Come curare i disturbi del comportamento alimentare?

L'obeso è come un tossicodipendente?

Di là dal confronto tra educazione e coercizione, di là dalla stessa psicoterapia, a questo punto l’obesità solleva il problema del libero arbitrio, inteso come “potere di decidere gli scopi del proprio agire e pensare, nonché di perseguirli autonomamente”. Il problema si pone quando l’assunzione del cibo cessa d’essere volontaria, o “intenzionale” come è chiamata in capo a questo articolo, per diventare involontaria.

È la tossicodipendenza, definita come “bisogno irrefrenabile e cosciente, che si manifesta generalmente dopo più somministrazioni, di assumere una sostanza non più solo per riprodurne gli effetti iniziali, ma per evitare i disturbi causati dalla sua mancanza e per mantenere uno stato accettabile di benessere fisico e psichico”.

A prima vista, sotto questo profilo il cibo non è diverso dalle altre sostanze d’abuso e fattori in genere coinvolti in questo fenomeno: l’alcol, la nicotina, le droghe pesanti, il gioco d’azzardo, il sesso e così via (4). Ovvero, cambia l’effetto desiderato, non il sottostante meccanismo. Per esempio, gli psicostimolanti conferiscono forza e coraggio, consentendo di compiere imprese impossibili. Gli oppiacei tranquillizzano, alleviando pene fisiche e somatiche insostenibili.

L’alcol esercita entrambi questi effetti, a basse e ad alte dosi rispettivamente, con l’aggiunta di un rifornimento di energia pari a 700 calorie per litro, più di quelle fornite da un litro di latte. Gli allucinogeni svincolano la mente dalla monotonia della vita quotidiana, librandola nel mondo dell’immaginazione. Cambia la qualità degli effetti cercati, ma non cambia il sottostante meccanismo.

Gli effetti delle sostanze e dei comportamenti soggetti al rischio di abusarne consentono imprese impossibili, cancellano ferite laceranti della mente e del corpo, dischiudono alla mente un mondo fantastico, procurano gioia e piacere, ma a compiere queste imprese non è l’uomo. È un esercito mercenario, che svolgendo questo compito al posto dell’uomo lo svuota e infine lo soggioga al proprio potere.

Il tossicodipendente che si ribella precipita nell’inferno della sindrome d’astinenza. Questo fenomeno è implicito nella suddetta definizione generale, ma conviene ribadirlo. La sindrome di astinenza consiste nei “disturbi psichici e fisici causati dalla sospensione di una droga nei cui confronti si è sviluppata una tossicodipendenza”.

La differenza la fa l’entità dei suddetti disturbi. Per esempio, il morfinomane precipita in un inferno fisico e mentale, per uscire dal quale è capace di uccidere per procurarsi i mezzi necessari per acquistare la droga.

L’inferno del cocainomane è di segno opposto, ma non meno drammatico. Io non sono mai stato obeso, ma il contatto con i pazienti e i loro racconti mi hanno convinto che la dipendenza al cibo non sia altrettanto drammatica quanto quella alle droghe pesanti. Si colloca allo stesso livello del tabagismo, dal quale con uno sforzo di volontà è possibile liberarsi (5). E questa è la mia raccomandazione al paziente obeso: “Pensi troppo e non ti concentri sul vivere i momenti speciali che la vita ci offre. E quando arriva la famosa botta, è troppo tardi”.

Le parole virgolettate non sono mie. Sono di una mia lettrice, che me le ha regalate. Io l’obeso lo sfido, facendo appello non più al buon senso, ma al suo orgoglio: “Dimostra a te stesso che vali qualcosa, che non sei il tipo da subire la prepotenza della parte peggiore di te stesso”. Il premio è il benessere, che ti dovrebbe bastare, perché vale più della ricchezza e di quant’altro la vita ti può offrire.

Se fosse per me, istituirei un premio aggiuntivo, una sorta di medaglia d’oro dei giochi para olimpici. Non è un’idea originale. Mi è stata ispirata dalla parabola del figliol prodigo, raccontata nel Vangelo secondo Luca (15,11-32).

Qui mi fermo, perché oltre ci imbarcheremmo nella malattia psichiatrica, che non è roba da affrontare in un articolo. È il grande problema che né la scienza, né la società civile hanno fin qui saputo affrontare.

D’altronde, a cosa serve rammaricarsi per qualcosa che non è alla propria portata? Il piccolo, minuscolo medico e scienziato che consegna questo articolo ai suoi pazienti vicini e lontani si riterrà soddisfatto se essi ne ricaveranno un incoraggiamento.

Bibliografia

  1. Barness LA et al., Obesity: genetic, molecular, and environmental aspects. Am. J. Med. Genet. A, 143A, n. 24. 2007, pp. 3016–34.
  2. Haslam DW, James WP (October 2005). "Obesity". Lancet (Review). 366 (9492): 1197–209. doi:10.1016/S0140-6736(05)67483-1.
  3. Obesity and overweight - WHO | World Health Organization. https://www.who.int ›. 9 giu 2021).
  4. Silvestrini B. Malati di droga. Sperling & Kupfer, Milano (1995).
  5. Silvestrini B. et al. Il tabagismo. Comitato Nazionale per la Bioetica (2003).
Data pubblicazione: 22 settembre 2021

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