Ansia sociale: un aiuto dal testosterone

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Dr.ssa Ilaria La Manna Psicologo, Psicoterapeuta

Almeno secondo un recente studio olandese, questo ormone potrebbe aiutare le persone a superare la difficoltà di entrare in relazione con l'altro.

Studi precedenti avevano già messo in luce come il testosterone, su soggetti sani, facilitasse il contatto con gli altri e in seguito si è visto che le persone con ansia sociale risultavano avere livelli più bassi di questo ormone.

Dati che hanno spinto gli esperti della Radboud University di Nijmegen (Olanda) ad approfondire le potenzialità del testosterone e verificare che effetto avrebbe avuto sulle persone con ansia sociale, studio pubblicato su Psychoneuroendocrinology.

Si tratta di uno studio controllato che ha coinvolto 18 donne con disturbo d'ansia sociale e 19 non affette dalla problematica, inserite in un gruppo di controllo. A giorni alterni veniva somministrata loro una dose di testosterone e una di placebo, senza che nè il ricercatore nè le persone partecipanti alla ricerca sapessero quale delle due condizioni veniva applicata.

Successivamente è stata eseguita la "prova" del contatto visivo (lo sfuggire il contatto oculare è uno degli aspetti che caratterizzano il disturbo) mettendo le donne davanti a uno schermo di un computer su cui apparivano volti arrabbiati, felici o neutri; analizzando i loro sguardi è emerso che i soggetti che avevano ricevuto il testosterone evitavano il contatto oculare meno spesso rispetto a quelle che avevano ricevuto il placebo.

Una nuova frontiera nella cura dell'ansia sociale? 
Precisano gli scienziati «Non è sano assumerlo per lunghi periodi. Quello che vogliamo ora è approfondire se il testosterone possa essere utile come supporto. In sessioni terapeutiche in cui i pazienti cercano di superare la loro ansia attraverso l'esposizione a situazioni sociali che normalmente eviterebbero, riteniamo che una dose extra di testosterone potrebbe aiutarli ad attraversare questa soglia».

Quindi non una vera e propria cura farmacologica, ma una "spinta", un aiuto, che comunque deve sempre avvenire sotto prescrizione di un medico specialista psichiatra.

E' sufficiente?
Spesso ci si divide su questo fronte, chi a favore dell'uno, chi dell'altro, chi invece auspica un trattamento "combinato" di farmaci e psicoterapia, considerando anche il fatto che fino a qualche anno fa le ricerche giungevano a risultati contrastanti.

Un importante studio del 2014 pubblicato su The Lancet Psychiatry, analizzando 101 diversi trial clinici (che hanno coinvolto complessivamente 13.164 persone con un'ansia sociale importante) che esaminava diversi tipi di medicinali e psicoterapie, ha messo un punto fermo o comunque maggiormente chiarificatore sul trattamento che ha dimostrato un più alto grado di efficacia, risultando essere i trattamenti psicologici, nello specifico le psicoterapie cognitivo-comportamentali.

Evan Mayo-Wilson, principale autore dello studio, ha dichiarato:

«Le persone con questo disordine possono avere conseguenze serie, dall'evitare amicizie al rifiutare promozioni sul lavoro che potrebbero richiedere maggiori interazioni sociali. La buona notizia che arriva dal nostro studio è che l'ansia sociale è trattabile. Ora che sappiamo cosa funziona al meglio, dobbiamo migliorare l'accesso alla psicoterapia per quelli che ne soffrono - quindi - questi dovrebbero essere i primi trattamenti scelti».

Detto questo, è importante avere la massima cautela e non incorrere nel rischio di sopravvalutare l'uno e demonizzare l'altro.

L'uso di farmaci nell'ansia sociale è una realtà e, se usati nel modo giusto, sono efficaci e sicuri, ma probabilmente non permettono una guarigione, in quanto agiscono a livello sintomatologico, ad esempio placando l'ansia, e la maggior parte delle persone tende ad avere una ricaduta quando ne sospende l'assunzione, mentre con un trattamento psicoterapeutico si hanno risultati più duraturi, non perchè uno è migliore dell'altro, ma perchè agiscono in modo differente, su "piani" diversi. Ad esempio, in casi di ansia sociale molto invalidante e con un andamento cronico, in cui c'è una compromissione importante della vita, quando cioè l'intensità e la gravità del disturbo sono tali che la persona non è in grado di svolgere la maggior parte delle sue attività quotidiane, risulta necessario ricorrere all'uso dei farmaci, la persona non ha nè la forza nè la necessaria concentrazione per impegnarsi in una psicoterapia, così in questi casi può essere utile, al fine di rimettersi in sesto e favorire un percorso di ripresa psicologica.

Quindi, ben venga quello emerso dallo studio olandese. Può però capitare che le persone, una volta che si sentono meglio, possano avere poca motivazione a cercare un percorso di psicoterapia, che invece è importante per affrontare i pensieri e i comportamenti come ad esempio un forte senso di inadeguatezza e la messa in atto di evitamenti, che stanno alla base del problema e che, se non affrontati, "riemergono" alla prima occasione.

 

Fonte:

Data pubblicazione: 12 novembre 2015

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