Ragioni "chimiche" di comportamenti autodistruttivi?

Gentili dottori, ho 30 anni e una storia famigliare turbolenta di cui ora non voglio entrare nel dettaglio, ma segnata dalla convivenza con famigliari con depressione, disturbi mentali, assenti e successivamente purtroppo con malattie terminali e suicidio. Sta diventando un bagaglio pesante di cui sembra io non riesca a liberarmi. Sono in terapia psicologica da 15 anni, non ho mai preso farmaci. Nonostante i progressi, faccio fatica a vederne la fine delle mie sedute. Ho fatto passi da gigante, ma ritrovo annidati quotidianamente quasi immutati, in ogni mio atteggiamento o rapporto con me stessa e con gli altri, i fantasmi del passato. Si rivelano in mancanza di amore verso di me e in relazioni in diversa misura e maniera tossiche, amorose, amicali o lavorative, dolorose nella durata e che terminano spesso in abbandoni. Perché la mancanza di amore e stabilità nell'infanzia diventa una maledizione a lungo termine? Mi sembra che sia una componente di noi cosi viscerale, anche quando si è ormai adulti. Perché permane questo istinto, nonostante una persona ci metta anni e anni di tentativi per cambiare?

Per esempio: se sento attrazione mentale e fisica per un ragazzo, questo si rivela il 100% delle volte essere uno che ha tutti i tratti che mi faranno soffrire (poco affidabile, superficiale,traditore etc). Altri bravi ragazzi, se sono genuini, affidabili, li vedo come fossero fratelli, sento zero attrazione fisica anche se provo ad impormi di interessarmi. Perché accade? Perché se in terapia capisco che è sbagliato frequentare ragazzi non affidabili, comunque il mio corpo non "mi ascolta"? Altre volte ancora dal nulla mi sento valere meno di zero, senza un perché non mi piaccio e non mi amo, mi disprezzo. Ma niente attorno a me in quel momento è stata causa diretta di questi sentimenti. Mi metto davvero di impegno per applicare quello che discuto con il mio analista, e ho dei risultati, ma appena "mi distraggo"... il mio cervello parte a dirmi le stesse solite vecchie cose negative, mi suggerisce sempre la strada sbagliata.

Perché per natura ci portiamo dietro comportamenti distruttivi e auto-punitivi invece che abbandonarli? Che senso ha? Non preserva la specie, non ha un'utilità. Amare se stessi potrà mai essere una cosa istintiva, automatica, genuina, se si ha avuto un'infanzia difficile e/o una vita adulta segnata da traumi? Non sento di amarmi genuinamente, ma solo di stare "imparando" a farlo, applicando regole meticolose che ripeto in terapia. Ma che fatica. Sarà mai spontaneo?

La terapia comportamentale non mi è stata molto di aiuto, con la psicoanalisi invece sto facendo finalmente progressi . Ma sono stanca e spesso triste, esausta di dovermi sempre "correggere". Si guarisce da questa mancanza di amore per se? Dico fisicamente..C'è qualcosa di naturale e chimico che mi sembra essere il mulino a vento contro cui mi batto sempre. In questo momento di sconforto penso vorrei solo sapere altri pareri.. Grazie per l'ascolto, Cordialmente
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta 41.1k 1k 63
Nel corso di un trattamento analitico non dovrebbe avere altre interazioni per evitare di creare confusione.


Dr. F. S. Ruggiero

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