Io, lui e la madre
Buongiorno dottori.
Volevo esporre la mia situazione sentimentale che mi sta portando molti pensieri.
Andiamo molto d'accordo come coppia, siamo andati a convivere e siamo molto affini ma già dall'inizio ho sminuito un problema che ad oggi per me è un peso:sua madre.
Per quanto lui stia cercando di sganciarsi da questo rapporto a dir poco morboso continua ad avere difficoltà nel mettere confini e paletti.
Lui è perfettamente cosciente di questo problema o per lo meno lo è da quando ha iniziato a farsi seguire da uno psicologo.
Ha avuto problemi di dipendenza in passato, eroina per lo specifico.
Una volta uscito e intrapreso questo percorso, ha capito che i problemi sono portati dal rapporto con la madre.
Non fa più uso, lavora, e sta cercando di avere una vita normale a patto di questa difficoltà.
Lei è molto attaccata a lui, primogenito di 4 figli iperprotettiva, controllante e di base non accetta che i figli non abbiano più bisogno di lei come da bambini.
Lui di 39 anni e non 5 è trattato da bebè, si rivolge con vocine ridicole, soprannomi usati per bimbi.
Cerca sempre di sapere cosa faccia, lo chiama solo per delegargli in qualche modo compiti che riguarda la sua famiglia di origine.
Dal chiamare la sorella incinta dove sottolineo ha annunciato lei e non la diretta interessata la gravidanza.
Mandargli ancora offerte di lavoro nella città dove vive lei e non dove io e lui viviamo tutt'ora.
All'inizio della nostra relazione mi trattava come una baby Sitter, quando ancora viveva lì, se lo accompagnavo a casa lei mi ringraziava di averglielo " recapitato a casa"come se fossi un corriere della Bartolini.
Altro episodio dopo un pranzo, usciti di casa e già dalle scale lo richiama indietro con nomignoli, lamentandosi del fatto che non l'aveva baciata prima di andare via.
Insomma tutto questo mi mette abbastanza i brividi.
Lui ha già provato a parlarle, sa che tutto questo è sbagliato.
Ma noto che ha difficoltà proprio nel metterle paletti delegando a lei un cambiamento che forse mai avverrà.
Ne parliamo, lui mi ascolta e si confida dicendomi che non la sopporta ma che tutto questo sia dovuto dal fatto che ogni volta che prova a metterle paletti di perdere una sicurezza irrealistica che lei ha dato.
Nel contempo però si sente sminuito, poco uomo e trattato come un bimbo nonostante sia un adulto che si sta facendo la propria vita.
nonostante io lo ami e apprezzi molte sue qualità, non riesco accettare questa situazione perché mi crea paure ed insicurezze sulla mia relazione.
Sono sul punto di mollare, spero sempre in un cambiamento, gli do fiducia ma puntualmente lui ha difficoltà.
So la persona che è e so che ha tutte le capacità per poter affrontare questa situazione.
Non voglio stare con una persona che non ha un centro in sé stesso ma in una figura esterna, soprattutto quella materna all'età di 39 anni, non riesco ed è piu forte di me.
D'altro canto mi dispiacerebbe perderlo perché sto bene con lui, ci rispettiamo ci aiutiamo e soprattutto lo amo
Volevo esporre la mia situazione sentimentale che mi sta portando molti pensieri.
Andiamo molto d'accordo come coppia, siamo andati a convivere e siamo molto affini ma già dall'inizio ho sminuito un problema che ad oggi per me è un peso:sua madre.
Per quanto lui stia cercando di sganciarsi da questo rapporto a dir poco morboso continua ad avere difficoltà nel mettere confini e paletti.
Lui è perfettamente cosciente di questo problema o per lo meno lo è da quando ha iniziato a farsi seguire da uno psicologo.
Ha avuto problemi di dipendenza in passato, eroina per lo specifico.
Una volta uscito e intrapreso questo percorso, ha capito che i problemi sono portati dal rapporto con la madre.
Non fa più uso, lavora, e sta cercando di avere una vita normale a patto di questa difficoltà.
Lei è molto attaccata a lui, primogenito di 4 figli iperprotettiva, controllante e di base non accetta che i figli non abbiano più bisogno di lei come da bambini.
Lui di 39 anni e non 5 è trattato da bebè, si rivolge con vocine ridicole, soprannomi usati per bimbi.
Cerca sempre di sapere cosa faccia, lo chiama solo per delegargli in qualche modo compiti che riguarda la sua famiglia di origine.
Dal chiamare la sorella incinta dove sottolineo ha annunciato lei e non la diretta interessata la gravidanza.
Mandargli ancora offerte di lavoro nella città dove vive lei e non dove io e lui viviamo tutt'ora.
All'inizio della nostra relazione mi trattava come una baby Sitter, quando ancora viveva lì, se lo accompagnavo a casa lei mi ringraziava di averglielo " recapitato a casa"come se fossi un corriere della Bartolini.
Altro episodio dopo un pranzo, usciti di casa e già dalle scale lo richiama indietro con nomignoli, lamentandosi del fatto che non l'aveva baciata prima di andare via.
Insomma tutto questo mi mette abbastanza i brividi.
Lui ha già provato a parlarle, sa che tutto questo è sbagliato.
Ma noto che ha difficoltà proprio nel metterle paletti delegando a lei un cambiamento che forse mai avverrà.
Ne parliamo, lui mi ascolta e si confida dicendomi che non la sopporta ma che tutto questo sia dovuto dal fatto che ogni volta che prova a metterle paletti di perdere una sicurezza irrealistica che lei ha dato.
Nel contempo però si sente sminuito, poco uomo e trattato come un bimbo nonostante sia un adulto che si sta facendo la propria vita.
nonostante io lo ami e apprezzi molte sue qualità, non riesco accettare questa situazione perché mi crea paure ed insicurezze sulla mia relazione.
Sono sul punto di mollare, spero sempre in un cambiamento, gli do fiducia ma puntualmente lui ha difficoltà.
So la persona che è e so che ha tutte le capacità per poter affrontare questa situazione.
Non voglio stare con una persona che non ha un centro in sé stesso ma in una figura esterna, soprattutto quella materna all'età di 39 anni, non riesco ed è piu forte di me.
D'altro canto mi dispiacerebbe perderlo perché sto bene con lui, ci rispettiamo ci aiutiamo e soprattutto lo amo
"Non voglio stare con una persona che non ha un centro in sé stesso ma in una figura esterna, soprattutto quella materna all'età di 39 anni".
Gentile utente, questa affermazione si scontra con la frase seguente: "mi dispiacerebbe perderlo".
Dunque non è vero che lei non vuole stare con una persona che ha il suo centro nella figura materna, altrimenti lo avrebbe lasciato; vorrebbe invece che il suo uomo cambiasse il tipo di rapporto che ha con la madre.
In questo lui sta cercando di fare la sua parte, mediante la terapia. Dunque occorre aspettare un cambiamento che potrebbe anche non coincidere, nei tempi e nei modi, con ciò che lei che ci scrive desidera. La cosa che colpisce nella sua email, infatti, è che lei non riferisce frasi e comportamenti del partner verso la madre, ma frasi e comportamenti della madre nei confronti di lui, e questo non è in facoltà del suo partner cambiarlo, non crede?
Lei scrive: "Lui ha già provato a parlarle, sa che tutto questo è sbagliato.
Ma noto che ha difficoltà proprio nel metterle paletti delegando a lei un cambiamento che forse mai avverrà".
Non è la madre che deve cambiare, gentile utente, e meno che mai a causa di un'imposizione del figlio (i "paletti" di cui parla). E' il suo uomo che NON deve sentirsi svalorizzato e riportato all'infanzia da questi atteggiamenti della madre. Qualunque vocina o nomignolo questa signora voglia adottare, è una scelta sua; il figlio potrà esserne intenerito, irritato, trovarlo ridicolo, ma se si sente "sminuito, poco uomo", vuol dire che la voragine della mancata crescita è dentro di lui.
Aspettarsi alla sua età di poter cambiare solo se cambia l'altra, è conferire a quest'altra troppo potere; è piazzare il proprio "locus of control" all'esterno e non all'interno di sé.
Lei cerchi di aiutarlo a prendere le debite distanze tra i bamboleggiamenti della madre e i suoi sentimenti di adulto; altrimenti rischia di incoraggiare l'invischiamento e indebolire la responsabilità di lui, come quando scrive: "ha capito che i problemi sono portati dal rapporto con la madre".
La dipendenza da eroina non è portata dal rapporto con la madre, gentile utente, anche se la maggior parte degli eroinomani vuole pensare così.
Il nostro cambiamento, la nostra guarigione, hanno inizio non quando l'atteggiamento dell'altro cambia, ma quando noi stessi ci riconosciamo in una condizione di responsabilità adulta che gli altri non possono intaccare, qualunque cosa dicano.
Cerchi di avere chiari questi concetti e potrà trasmetterli a lui.
Buone cose.
Gentile utente, questa affermazione si scontra con la frase seguente: "mi dispiacerebbe perderlo".
Dunque non è vero che lei non vuole stare con una persona che ha il suo centro nella figura materna, altrimenti lo avrebbe lasciato; vorrebbe invece che il suo uomo cambiasse il tipo di rapporto che ha con la madre.
In questo lui sta cercando di fare la sua parte, mediante la terapia. Dunque occorre aspettare un cambiamento che potrebbe anche non coincidere, nei tempi e nei modi, con ciò che lei che ci scrive desidera. La cosa che colpisce nella sua email, infatti, è che lei non riferisce frasi e comportamenti del partner verso la madre, ma frasi e comportamenti della madre nei confronti di lui, e questo non è in facoltà del suo partner cambiarlo, non crede?
Lei scrive: "Lui ha già provato a parlarle, sa che tutto questo è sbagliato.
Ma noto che ha difficoltà proprio nel metterle paletti delegando a lei un cambiamento che forse mai avverrà".
Non è la madre che deve cambiare, gentile utente, e meno che mai a causa di un'imposizione del figlio (i "paletti" di cui parla). E' il suo uomo che NON deve sentirsi svalorizzato e riportato all'infanzia da questi atteggiamenti della madre. Qualunque vocina o nomignolo questa signora voglia adottare, è una scelta sua; il figlio potrà esserne intenerito, irritato, trovarlo ridicolo, ma se si sente "sminuito, poco uomo", vuol dire che la voragine della mancata crescita è dentro di lui.
Aspettarsi alla sua età di poter cambiare solo se cambia l'altra, è conferire a quest'altra troppo potere; è piazzare il proprio "locus of control" all'esterno e non all'interno di sé.
Lei cerchi di aiutarlo a prendere le debite distanze tra i bamboleggiamenti della madre e i suoi sentimenti di adulto; altrimenti rischia di incoraggiare l'invischiamento e indebolire la responsabilità di lui, come quando scrive: "ha capito che i problemi sono portati dal rapporto con la madre".
La dipendenza da eroina non è portata dal rapporto con la madre, gentile utente, anche se la maggior parte degli eroinomani vuole pensare così.
Il nostro cambiamento, la nostra guarigione, hanno inizio non quando l'atteggiamento dell'altro cambia, ma quando noi stessi ci riconosciamo in una condizione di responsabilità adulta che gli altri non possono intaccare, qualunque cosa dicano.
Cerchi di avere chiari questi concetti e potrà trasmetterli a lui.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza
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Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Utente
Gentile dottoressa, la ringrazio per la sua tempestiva risposta.
È esattamente così, sono la prima a fargli notare che dal momento in cui delega un cambiamento nella madre non è pronto in primis lui. Io vorrei sottolineare il fatto che non ho alcun astio con la madre, sono perfettamente cosciente di ciò. Posso non essere d'accordo, non piacermi il modo in cui lei si comporta, ma è così e so perfettamente che non è lei a dover cambiare, bensì una cosa che parta da lui. Non parlo di lui, perché semplicemente un allontanamento da parte sua c'è, il problema risiede proprio nel fatto che sia "succube" o bloccato nel fare uscire se stesso con la figura materna, subisce. È come se fosse bloccato all'età pre adolescenziale, in quella sorta di ribellione verso il genitore ma al contempo sapere che la sicurezza per la sopravvivenza deriva proprio dalle figure genitoriali. Mi rendo conto di non riuscire più a gestire questo malumore che ne scaturisce. È come se non avessi più pazienza e non sapessi come comportarmi per stargli vicino, mi irrita e alle volte si,penso di chiudere la relezione perché mi spaventa questo fatto di non riuscire ad imporsi né con la madre, ne con la vita. Io sono una persona completamente diversa, con un passato diverso ed indipendente da ogni tipo di rapporto genitoriale. Non vedo questo rapporto alla pari ed ho paura che questa crisi parta proprio da questo.
È esattamente così, sono la prima a fargli notare che dal momento in cui delega un cambiamento nella madre non è pronto in primis lui. Io vorrei sottolineare il fatto che non ho alcun astio con la madre, sono perfettamente cosciente di ciò. Posso non essere d'accordo, non piacermi il modo in cui lei si comporta, ma è così e so perfettamente che non è lei a dover cambiare, bensì una cosa che parta da lui. Non parlo di lui, perché semplicemente un allontanamento da parte sua c'è, il problema risiede proprio nel fatto che sia "succube" o bloccato nel fare uscire se stesso con la figura materna, subisce. È come se fosse bloccato all'età pre adolescenziale, in quella sorta di ribellione verso il genitore ma al contempo sapere che la sicurezza per la sopravvivenza deriva proprio dalle figure genitoriali. Mi rendo conto di non riuscire più a gestire questo malumore che ne scaturisce. È come se non avessi più pazienza e non sapessi come comportarmi per stargli vicino, mi irrita e alle volte si,penso di chiudere la relezione perché mi spaventa questo fatto di non riuscire ad imporsi né con la madre, ne con la vita. Io sono una persona completamente diversa, con un passato diverso ed indipendente da ogni tipo di rapporto genitoriale. Non vedo questo rapporto alla pari ed ho paura che questa crisi parta proprio da questo.
Gentile utente,
sembra che lei non abbia chiara la differenza tra la libertà interiore del suo uomo e i suoi comportamenti esteriori. Scrive, infatti: "mi spaventa questo fatto di non riuscire ad imporsi né con la madre, ne con la vita".
Anche qui sta parlando di cose diverse, vediamo però il punto focale della sua richiesta: l'atteggiamento di lui verso la madre. Altro è accogliere con indulgenza i nomignoli coi quali lei lo chiama, altro accettare imposizioni sulle sue scelte circa il lavoro, il partner, la città in cui risiedere, insomma i punti su cui un adulto decide da solo.
Per fare un esempio, se il suo compagno non contrasta momento per momento ogni richiesta della madre, come quella di tornare indietro per salutarla con un bacio, si sta comportando da adulto comprensivo, e non da adolescente ribelle che deve opporsi a tutto per svincolarsi dalla soggezione alla figura genitoriale. Diciamo che dà alla madre un innocuo contentino, forse consapevole di tutte le angosce che certo ha fatto vivere ai genitori con la sua tossicodipendenza.
Se invece accoglie passivamente indicazioni sull'accettare o meno un lavoro o altri aspetti fondamentali della vita, lasciandosi dirigere dalla madre anziché seguire la propria preferenza, la sua è una soggezione indebita, una mancata assunzione del ruolo adulto.
L'assunzione di un ruolo adulto, però, non ha bisogno di parole dure per respingere l'intrusione materna. Si può scegliere serenamente la propria strada senza strepiti, perfino ringraziando la madre dei consigli, pur senza seguirli.
In altre parole, la libertà che il suo uomo deve conquistare non è quella dell'adolescente che si ribella perché deve rompere reali catene: dipende economicamente dai genitori, vive di necessità con loro, etc.
Un adulto può benissimo accogliere con un sorriso l'indicazione invadente di una madre, riconoscendone l'intenzione benevola; ma sapendo che accoglierla col sorriso non vuol dire seguirla.
Quello che suggerisco a lei che ci scrive è valutare bene la differenza tra gli atteggiamenti esteriori del suo uomo e le scelte reali che poi mette in atto.
Buone cose.
sembra che lei non abbia chiara la differenza tra la libertà interiore del suo uomo e i suoi comportamenti esteriori. Scrive, infatti: "mi spaventa questo fatto di non riuscire ad imporsi né con la madre, ne con la vita".
Anche qui sta parlando di cose diverse, vediamo però il punto focale della sua richiesta: l'atteggiamento di lui verso la madre. Altro è accogliere con indulgenza i nomignoli coi quali lei lo chiama, altro accettare imposizioni sulle sue scelte circa il lavoro, il partner, la città in cui risiedere, insomma i punti su cui un adulto decide da solo.
Per fare un esempio, se il suo compagno non contrasta momento per momento ogni richiesta della madre, come quella di tornare indietro per salutarla con un bacio, si sta comportando da adulto comprensivo, e non da adolescente ribelle che deve opporsi a tutto per svincolarsi dalla soggezione alla figura genitoriale. Diciamo che dà alla madre un innocuo contentino, forse consapevole di tutte le angosce che certo ha fatto vivere ai genitori con la sua tossicodipendenza.
Se invece accoglie passivamente indicazioni sull'accettare o meno un lavoro o altri aspetti fondamentali della vita, lasciandosi dirigere dalla madre anziché seguire la propria preferenza, la sua è una soggezione indebita, una mancata assunzione del ruolo adulto.
L'assunzione di un ruolo adulto, però, non ha bisogno di parole dure per respingere l'intrusione materna. Si può scegliere serenamente la propria strada senza strepiti, perfino ringraziando la madre dei consigli, pur senza seguirli.
In altre parole, la libertà che il suo uomo deve conquistare non è quella dell'adolescente che si ribella perché deve rompere reali catene: dipende economicamente dai genitori, vive di necessità con loro, etc.
Un adulto può benissimo accogliere con un sorriso l'indicazione invadente di una madre, riconoscendone l'intenzione benevola; ma sapendo che accoglierla col sorriso non vuol dire seguirla.
Quello che suggerisco a lei che ci scrive è valutare bene la differenza tra gli atteggiamenti esteriori del suo uomo e le scelte reali che poi mette in atto.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza
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Utente
Grazie di nuovo per la risposta dottoressa. Sono d'accordo con tutto quello che lei scrive. Sono cosciente del fatto che alcuni comportamenti della madre diano quasi più fastidio a me che a lui. Ma il frutto delle mie preoccupazioni non sono tanto rivolte ai comportamenti di quest'ultima, quanto il comportamento del mio compagno.
È come se alle volte tornasse davvero bambino, ed io forse inconsciamente attribuisco la colpa al rapporto tra lui e la madre, accomodandosi nel ruolo più di figlio che compagno, quasi come dipendesse dalla sicurezza che la madre gli dà. Come se non credesse realmente il se stesso e non potesse farcela senza quest'ultima. Ed in automatico nascono in me paure, ed insicurezze. Con il risultato che non riesco a stargli accanto ed aiutarlo come vorrei, perché tendo a guardare dalla mia parte. E questo mi fa sentire egoista.
È come se alle volte tornasse davvero bambino, ed io forse inconsciamente attribuisco la colpa al rapporto tra lui e la madre, accomodandosi nel ruolo più di figlio che compagno, quasi come dipendesse dalla sicurezza che la madre gli dà. Come se non credesse realmente il se stesso e non potesse farcela senza quest'ultima. Ed in automatico nascono in me paure, ed insicurezze. Con il risultato che non riesco a stargli accanto ed aiutarlo come vorrei, perché tendo a guardare dalla mia parte. E questo mi fa sentire egoista.
Gentile utente,
guardare dalla propria parte è corretto, non egoistico: è bene avere sempre presente quello che ci fa stare bene e quello che ci fa stare male, valutando realisticamente cosa vogliamo e cosa possiamo ottenere, come chiederlo, i tempi opportuni della richiesta.
In assenza di questa consapevolezza molte coppie vedono il soffocamento progressivo delle esigenze di uno dei partner e a volte di entrambi, fino a determinare l'usura irreversibile del piacere di stare insieme e dell'amore.
Nel suo caso molti elementi sembrano concorrere ad esasperarla, e forse lei li concentra nel rapporto "malato" di quest'uomo con la madre.
Ci sarebbero molte cose da dire: per esempio il fatto che la "crescita" dell'adulto in lui potrebbe essere aiutata anche dall'atteggiamento di lei che ci scrive: una partner accogliente e serena, ma anche disposta a considerarlo responsabile delle proprie azioni, potrebbe fargli sperimentare una realtà che lui fin qui non ha conosciuto.
In certi casi il curante svolge qualche colloquio con il partner; forse anche voi potreste vagliare questa possibilità.
Le faccio tanti auguri, invitandola ad osservare con calma la realtà che state attraversando, senza fare fretta né a sé né a lui.
guardare dalla propria parte è corretto, non egoistico: è bene avere sempre presente quello che ci fa stare bene e quello che ci fa stare male, valutando realisticamente cosa vogliamo e cosa possiamo ottenere, come chiederlo, i tempi opportuni della richiesta.
In assenza di questa consapevolezza molte coppie vedono il soffocamento progressivo delle esigenze di uno dei partner e a volte di entrambi, fino a determinare l'usura irreversibile del piacere di stare insieme e dell'amore.
Nel suo caso molti elementi sembrano concorrere ad esasperarla, e forse lei li concentra nel rapporto "malato" di quest'uomo con la madre.
Ci sarebbero molte cose da dire: per esempio il fatto che la "crescita" dell'adulto in lui potrebbe essere aiutata anche dall'atteggiamento di lei che ci scrive: una partner accogliente e serena, ma anche disposta a considerarlo responsabile delle proprie azioni, potrebbe fargli sperimentare una realtà che lui fin qui non ha conosciuto.
In certi casi il curante svolge qualche colloquio con il partner; forse anche voi potreste vagliare questa possibilità.
Le faccio tanti auguri, invitandola ad osservare con calma la realtà che state attraversando, senza fare fretta né a sé né a lui.
Prof.ssa Anna Potenza
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