Difficoltà relazionale con le donne

Buongiorno,
come ho scritto nel titolo del consulto ho una enorme difficoltà relazionale con le donne.
Mi avvicino sempre di più ai trent'anni, non sono mai stato fidanzato e non ho mai avuto rapporti sessuali.
Questa situazione mi fa sentire frustrato perché comunque nel corso del tempo ho tentato vari approcci, ma senza successo.
Ho sempre fallito purtroppo.
Ci ho provato con ragazze più piccole, coetanee e più grandi ma sempre senza successo e non riesco a spiegarmi il perché.
Vedo tanti ragazzi che sono disinvolti e, diciamo, "pratici" da questo punto di vista e io invece mi sento sempre impacciato e imbranato.
È una vera frustrazione credetemi.
Mi sfogo, nella solitudine, con l'autoerotismo ma soddisfa sempre meno.
Il fatto è che scappano tutte, eppure io non tratto mai male le ragazze.
Sono sempre garbato ed educato.
Ma è sempre un nulla di fatto alla fine.
E questo mi dà dispiacere.
E ho sempre difficoltà a riprendermi quando vengo respinto (praticamente sempre) perché mi sento sempre umiliato.
Ci penso e ci ripenso ai fallimenti e mi sembra sempre più impossibile trovare la persona giusta.
Spero di aver fatto capire bene il mio disagio.
Vedo tante coppie felici in giro e io mi sento sempre solo.
E mi sento solo e incompreso nel dolore.

Cosa posso fare a vostro parere?
Perché non so proprio come fare, mi sento perso.
Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
per comprendere i motivi del suo disagio occorre una conoscenza di persona, e nei precedenti consulti ci ha parlato di una psicoterapeuta: farle leggere questa lettera per cominciare a lavorare sulle richieste che emergono sarebbe essenziale. Perché non lo fa?
Cercando di darle tuttavia qualche spunto, sia pure impreciso, anche da questa pagina, osservo che lei non ci parla di quella che è la strada d'ingresso alla socialità: la relazione con gli amici.
Oggi, per un andazzo legato a fattori sociali negativi, è sempre meno praticata l'amicizia tra i due sessi, che era un ottimo metodo per conoscersi su un terreno neutro, non ansiogeno; ma l'amicizia con persone dello stesso sesso dovrebbe esistere ancora, e mi chiedo se lei si sia confrontato con qualche amico riguardo alle sue difficoltà.
Scrive: "mi sento sempre impacciato e imbranato".
In un percorso psicologico di gruppo potrebbe superare questo timore, se la sua terapeuta è d'accordo, ma anche pianificando con lei e sperimentando sotto la sua guida forme di incontro uno a uno può ottenere dei risultati, se la terapia ha carattere direttivo e lei non la usa solo come "sfogatoio", perché un simile metodo farebbe procedere una sola cosa: la sua attitudine alla ruminazione compulsiva.
Se non è riuscito ai tempi della scuola ad avvicinarsi alle compagne, avrebbe potuto ricorrere ad altre forme di aggregazione: lo sport, l'oratorio, lo scoutismo. Alla sua età, come luoghi di conoscenza ci sono il volontariato, il teatro per dilettanti e i vari circoli e associazioni culturali che organizzano gite e altri incontri; ma anche le uscite con amici e loro amiche.
Nel colloquio con un amico, e meglio con la sua specialista, lei può scoprire se c'è qualcosa nel suo aspetto, nel suo abbigliamento, nei suoi modi esteriori che allontana le ragazze.
In genere però, occupandomi proprio di relazioni, noto che il grande ostacolo alle relazioni sentimentali consiste nei tratti psicologici, ossia nelle abitudini così profondamente radicate che gli individui, pur soffrendone, le considerano componenti del loro essere, per cui solo con difficoltà e molta buona volontà riescono ad uscirne. Modi ansiosi, comportamenti eccessivamente distaccati o troppo entranti, frasi fuori luogo, confidenze inopportune, timidezze paralizzanti possono solo allarmare e allontanare le ragazze, al primo incontro.
Provi ad analizzare, anche scrivendone qui, gli aspetti di sé che riconosce inidonei alle relazioni con una donna. Non può essere arrivato quasi ai trent'anni senza mai essersi chiesto se sbaglia qualcosa, via!
Provi a valutare spassionatamente i suoi ultimi due tentativi falliti.
Noi siamo qui.

Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Salve, grazie mille per la risposta e gli spunti di riflessione. Non penso di piacere più di tanto alle ragazze per l'aspetto fisico. Sono molto sovrappeso. Purtroppo ho un rapporto difficile con il cibo e più provo a controllarmi più finisco col fare continuamente abbuffate. Da più piccolo facevo sport e avevo un bel fisico, ma nel corso degli anni sono ingrassato parecchio. Poi non penso di piacere perché sono molto riservato, ho pochi interessi e mi ritengo poco attraente. Da più piccolo non cercavo proprio rapporti con le ragazze. Ho incominciato a interessarmi all'università e mi sono innamorato di una ragazza che per un po' è stata amica, poi si è messa con un altro e si è allontanata da me perché aveva capito cosa provavo. Ha voluto chiudere i rapporti e sono caduto in depressione, mi è venuta una fissazione/ossessione nei suoi confronti (il motivo per cui sono entrato in terapia è stato questo), ho ricevuto la diagnosi e ho progressivamente preso coscienza dei miei problemi psicologici. Questa fissazione /ossessione la sto curando ancora, con fatica e alti e bassi. Da allora i miei tentativi di approccio sono stati rari e sempre fallimentari. Purtroppo in generale non ho grandi capacità a socializzare. Ho un po' di amici, il gruppo della parrocchia ma molto spesso sono solo. In terapia mi sfogo molto parlando spesso dei miei pensieri, delle mie ansie, delle mie delusioni. Nel tempo sono migliorato ma ancora sento di dover fare molta strada.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
lei fa una buona analisi di sé. Dovrebbe partire da qui per modificare la situazione.
I punti su cui lavorare sono nel fisico (spesso al sovrappeso si unisce una ridotta scioltezza e vigoria muscolare che nuoce all'aspetto generale) e nelle abitudini, come anche nella percezione di sé: "sono molto riservato, ho pochi interessi e mi ritengo poco attraente".
Fermiamoci sulla frase: "mi ritengo poco attraente".
"Ritenersi" non è sinonimo di "essere". Una persona può sapere con certezza di avere aspetti poco attraenti o sgradevoli, e deve lavorare sugli elementi passibili di cambiamento, oppure può "ritenersi" poco attraente, e in questo caso deve lavorare sulla propria immagine mentale di sé.
Quanto al "molto riservato", molti nascondono dietro questa parola la timidezza e un'eccessiva concentrazione su di sé che comporta inevitabilmente ridotto interesse per tutto il resto, che siano persone, attività, conoscenze, nuove esperienze etc.
Da qui anche i "pochi interessi", sempre nocivi nella comunicazione, negli incontri con gli altri e con le ragazze in particolare.
Sorprende un po' che lei sia andato in terapia solo da adulto: da ragazzino il suo isolamento non le pesava? E i suoi genitori cosa dicevano?
Con frasi del tipo: "Purtroppo in generale non ho grandi capacità a socializzare" lei depone le armi prima di aver iniziato il combattimento.
Si tratta invece di acquisire questa capacità, come di tornare in palestra e interessarsi agli altri e in generale al mondo, e la terapia può aiutare proprio in questo... se lei non fa l'errore di resistere ad ogni cambiamento per rifugiarsi dietro il mantenimento dei sintomi, come le spiegai tempo fa in un altro consulto.
Dicendo: "In terapia mi sfogo molto parlando spesso dei miei pensieri, delle mie ansie, delle mie delusioni" sta dicendo che non fa terapia, ma sostegno. Nel suo caso questo è particolarmente pericoloso perché lei ci ha parlato di DOC, e questa sintomatologia, con il rimuginare su tutto quello che va male, peggiora soltanto.
Del resto per alcuni individui la diagnosi stessa è uno strumento di acquiescenza allo statu quo, al punto che molte valide scuole psicologiche oggi evitano di fare diagnosi. Queste infatti dovrebbero dirci come indirizzare la cura; alcuni pazienti le prendono invece come una sorta di destino fatale, una prescrizione di comportamento anziché un'indicazione di terapia per superare i propri limiti.
Lei s'immagina qualcuno che sentendosi diagnosticare una gamba rotta si abbandona ad un futuro da zoppo, anziché farsela ingessare, o sentendosi annunciare un cancro va a prenotare la tomba, anziché sottoporsi alla chemioterapia?
Tuttavia lei non sembra così rinunciatario. Scrive a noi ormai da un anno. Questo potrebbe essere indice del fatto che cerca finalmente uno sbocco diverso, un superamento della sua sofferenza.
Non ha risposto alla domanda sul perché non porta le sue lettere alla sua curante. Rifletta su questo, con la stessa cura con la quale ha analizzato le sue attuali difficoltà.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza
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Utente
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La ringrazio ancora tanto per il tempo che mi sta dedicando. Da bambino, per quel che mi ricordo, ero ritenuto un bambino diverso dagli altri. Stavo sulle mie, vivevo nel mio mondo. I disagi e la sofferenza si sono manifestati nel corso degli anni. In passato avevo tentato spesso di andare in psicoterapia (intorno ai vent'anni) ma scappavo sempre. Non avevo ancora idea di avere un disagio mentale. La diagnosi dei miei disagi psicologici l'ho ricevuta solo un anno e mezzo fa. Dopo diversi colloqui, test. Mi sono sentito spesso a disagio per questa diagnosi. Ma ho accettato questa cosa. Ha ragione, dovrei parlare di questa cosa con la terapeuta. Penso, al di là del disagio psicologico che ho, di essere stato anche sfortunato a livello relazionale. A volte mi scoraggio, mi sembra di non poter mai cambiare. Però resisto proseguendo la psicoterapia e le cure farmacologiche.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 5k 204
Gentile utente,
certamente può essere stato sfortunato, ma lei stesso deve comprendere di stare sbagliando alcune procedure, sia nell'approccio agli amici, alle possibili partner, forse anche ai familiari, sia nel modo di gestire le cure.
Scrive: "A volte mi scoraggio, mi sembra di non poter mai cambiare. Però resisto proseguendo la psicoterapia e le cure farmacologiche".
Quanto alle cure farmacologiche spero siano state riviste, perché un nostro specialista di Medicitalia le spiegò che i farmaci che assumeva non erano correlati alla sua sintomatologia.
Quanto alla psicoterapia -spero che i curanti siano due diversi- il fatto che scriva a noi, non prenda in considerazione di rivolgere i suoi quesiti alla curante, e in seduta racconti i suoi pensieri ma non pianifichi un percorso di cambiamento, fa pensare che non si avvalga più delle cure e che si sia collocato in una posizione di stallo.
Infine, quello che dice della sua diagnosi rimanda proprio alle mie parole che lei sembra non voler considerare: la cosiddetta diagnosi in psicologia è problematica; non tutte le Scuole di psicoterapia accettano di tenerne conto, e in ogni caso non può diventare il modo per arenarsi in un comportamento e in una serie di idee disfunzionali.
Lei sa certo qual è il metodo terapeutico idoneo a curare i suoi disturbi.
La domanda su cui deve riflettere seriamente è: "Sono disposto a cambiare idee, emozioni, comportamenti, anche se questo comporta sacrificio e sofferenza?"
Da qui temo che non si possa fare altro.
Auguri.

Prof.ssa Anna Potenza
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