Cosa può cambiare, quando si sa ma non si vuole?

Avevo già richiesto un consulto un mesetto fa.

Ho passato questo periodo completamente chiusa in casa, muovendomi tra parole crociate, libri e pc. Solo due volte sono uscita con mia madre a fare la spesa.
Settimana prossima ricomincerò gli incontri con lo psicoterapeuta e vorrei riuscire ad imparare a parlare con lui.
Sono stanca, non ne posso più. E ho la sensazione di non capirci più niente. Mi sento sempre più lontana dalle cose e dalle situazioni.

So cosa manca ma, anche se penso di imparare a riempire questo vuoto, ciò non mi fa star bene. Provo una sensazione che io definisco “vomito nel cuore”.
Dentro di me non sono predisposta per condividere la vita con gli altri. Adesso neppure superficialmente riesco più a “buttarmi fuori”. L’idea che qualcuno mi parli e pretenda la mia collaborazione nella comunicazione, mi fa venire voglia di accartocciarmi al buio in qualche angolo.

Come avevo scritto nell’altro consulto, con lo psicoterapeuta mi trovo bene e sento la voglia e il bisogno di aprirmi con lui. Ma non riesco a pensare a nessuna svolta che potrà mai davvero far cambiare le cose e permettermi di trovare il mio spazio nella vita.
Io vorrei sentire la speranza che ciò avvenga, ma non so da dove cominciare, appunto, a sperare. Perché non posso combattere per qualcosa che, di fatto, non riesco a desiderare. È come se non accettassi di avere una “vita normale”. È una condanna il dover imparare a stare con gli altri.

Per fortuna ora riesco un po’ più spesso a sentire mia madre come una figura positiva. E ogni tanto ci parlo. Ma mio padre mi sta facendo perdere la forza vitale. È come se, riflettendo in questo ultimo anno, si sia rivelato per quello che è. Una persona dipendente da mia madre, non in grado di affrontare nulla, che ha bisogno in continuazione di una guida e di conferme ed ha paura delle responsabilità e della sua stessa ombra. Sembra che la sua unica preoccupazione ora sia la mia ostilità verso di lui. Sembra quasi implorarmi silenziosamente di volergli bene. Si “attacca”, anche quando gli chiedo di lasciarmi stare, e mi fa venire voglia di strozzarmi o di ficcarmi il cibo in gola.
Da anni ho anche questi attacchi divorativi verso il cibo. Ma ovviamente non dipendono solo da mio padre. Non mangio, ma divoro e ingoio, anche cose congelate. E, nei prossimi giorni, non farò altro che pensare ancora di più al mio corpo, che è diventato gonfio e mi sta scomodo.

Cosa può davvero succedere in me per fa sì che cambi qualcosa?
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.7k 506 41
Gentile ragazza, a che puno della terapia siete arrivati?
Che tipo di trattamento è il Suo?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
dopo
Utente
Utente
E' una psicoterapia psicoanalitica ed ho iniziato nell'aprile dell'anno scorso.
[#3]
Psicologo, Psicoterapeuta attivo dal 2009 al 2016
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Utente

Cosa potrà cambiare in lei se non si vuole veramente cambiare,Nulla!!

Molte persone arrivano in terapia con la testa piena di conoscenza,alcuni hanno anche avuto buoni "insight" sul proprio modo di essere e di relazionarsi con il mondo,ma non riesco a cambiare parlano di tutto hanno cpaito tutto ma non cambiano le cose.

Questo perchè sono incastrate nella loro vita intelletuale,se si permette ai pazienti di rimanere nella loro testa diceva il padre della Psicoterapia della Gestalt nulla cambierà!

Ci sono persone che devono essere capovolte dalla testa ai piedi nel senso metaforico del termine.
Il vuoto non lo riempirà leggendo e facendo attività di altro genere,il vuoto va capito, va fatto spazio, cosi in modo da poter lasciare emergere,i suoi bisogni naturali spontaneamente.

La terapia la potrà aiutare sempre se avrà il coraggio di dire al suo terapeuta apertamente che non crede nella terapia...

Non bisogna ingoiare il cibo e le cose,cosi come la terapia senza produrre i suoi dubbi,incertezze ecc sono queste che vi faranno da tramite per la sua crescità!


Saluti
[#4]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> È una condanna il dover imparare a stare con gli altri.
>>>

Da chi le sarebbe venuta questa condanna? Se non vuole, non è obbligata a farlo. Ma sembra che lei stia da sola non perché le piace, ma perché stare in mezzo agli altri le riuscirebbe troppo difficile e doloroso, come se le mancasse l'equipaggiamento giusto. Mi sbaglio?

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#5]
dopo
Utente
Utente
***
Spero di riuscire a parlare e ad essere sempre più chiara con lo psicoterapeuta.
Ma spesso ho la sensazione di non capirci più nulla e non riesco a pensare e ripensare a me stessa, a raccontarmi.

***

Non lo so. Se ripenso al passato, ci sono stati momenti in cui lo stare con gli altri a scuola o in "situazioni amichevoli" mi procurava disagio, ma mi sono obbligata ad affrontare comunque la cosa.

C'è stato poi un periodo, verso i 17-19 anni, durante il quale mi sono cullata nel pensiero dei miei piccoli successi scolastici e dei progetti universitari/professionali. Mi sentivo "intelligente e capace" e forse ho dimenticato quanto fossi invece incapace nella vita e nella realtà. Infatti, dopo il primo anno di università, sono crollata.

Ho avuto anche un'esperienza di lavoro-stage in un ufficio "disastrosa". Lì non potevo scegliere. Ci dovevo stare in mezzo alle persone. Capire cosa mi dicevano e interagire. Invece sono riuscita solo a "parlare con il computer", come mi è stato anche detto dalla collega-tutor.

Sì, credo di non avere l'equipaggiamento. Nè per la vita lavorativa, nè per quella affettiva. La prima è necessaria e la seconda la vorrei, ma in modo "strano". Non so neanch'io come.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.2k 372 182
>>> la vorrei, ma in modo "strano". Non so neanch'io come.
>>>

Beh, non so se questo è il suo caso, ma se non si prova, sporcandosi le mani, cadendo e rialzandosi, sbagliando e riprovando come fanno tutti, è difficile riuscire a capirlo. Ma di nuovo, se non le riesce, ha bisogno di qualcuno che le spieghi come fare, non per analizzare e tentare di capire come mai le succede tutto questo.

Cordiali saluti