Pensare quotidianamente alla morte - paura di morire

Buonasera.
Sono una ragazza di quasi 29 anni e mi sto rendendo conto che da circa un anno non sto bene, soffro di ansia e sono praticamente sempre malinconica.
Due anni fa ho avuto un incidente stradale, sono stata investita sulle strisce e mi sono rotta una gamba (frattura scomposta ed esposta di tibia e perone); nulla di particolarmente serio a parte la necessità di un intervento chirurgico ed una degenza abbastanza lunga per ricominciare a camminare.
Il primo anno, nonostante le difficoltà legate alla riabilitazione, sono stata bene emotivamente e psicologicamente.
C'è da dire che sotto certi aspetti la degenza in ospedale ed il periodo successivo a casa sono stati dei mesi particolarmente sereni, mi sentivo speciale ed ero circondata dall'affetto di tante persone. Era come se non avessi "accusato il colpo" e non mi sono sentita particolarmente turbata dall'incidente e dalle sue conseguenze fisiche.
Dopo un anno qualcosa è cambiato: ho iniziato a pensare al fatto che non si può mai sapere cosa può succederti, le disgrazie capitano in modo inaspettato, anche la morte.
Ho paura di non sapere come e quando morirò, ho il terrore di lasciare le cose in sospeso, di lasciare mia madre da sola (i miei genitori sono separati e non vedo né sento mio padre da 13 anni e lei ha solo me).
Dall'altra parte penso alla morte come una liberazione, a volte penso al suicidio come porre fine ad una esistenza al momento non soddisfacente (il lavoro non va, non mi sono laureata ancora, non ho un compagno con il quale poter intraprendere un cammino di vita assieme ed a livello economico abbiamo non pochi problemi, anche grazie a mio padre).
Non mi sento propositiva, sono scoraggiata dal fatto che mi sento sfortunata, anche per il mio passato personale e familiare e al momento non mi sento di avere obiettivi e davvero a volte penso di farla finita, come per porre fine all'attesa logorante di qualcos'altro di brutto che potrebbe capitarmi o capitare alle persone a me care; dall'altra mi rendo conto che c'è ancora tanto che dovrei realizzare quindi abbandono l'idea ma mi lascio sopraffare dall'ansia della non prevedibilità della morte ed allora mi viene il panico.
E' da un anno che la mattina, quando suona la sveglia, penso: "un domani non mi sveglierò e non ci sarò più" e mi terrorizza il fatto di non poter sapere la modalità in cui questo avverrà.
A volte penso di non aver elaborato l'incidente, so di non essermi fatta male in modo drammatico ma la cosa che non accetto e che mi turba è il fatto che nell'attimo prima di essere investita io non sapevo che sarei stata investita.
Il pensiero di non sapere quando e come morirò, non poterlo decidere io nei tempi e nei modi mi sta condizionando nella quotidianità.
Spero di essere stata esauriente.
Ringrazio anticipatamente quanti mi risponderanno.
Cordiali saluti.
[#1]
Dr.ssa Valentina Sciubba Psicologo, Psicoterapeuta 1.6k 38 9
Gentile utente,
a volte i traumi hanno bisogno non solo di tempo, ma anche di un aiuto psicologico per essere elaborati e superati.
Inoltre possono essere collegati a tematiche profonde e precedenti al trauma che, nel caso, è opportuno affrontare ed elaborare anche a fini di prevenzione e con uno sguardo al futuro. L'epidemiologia infatti ci insegna che il sostegno psicosociale ha un'influenza anche sulla possibilità di incidenti.
L'insieme di paure e di vissuti depressivi che il trauma sembra aver scatenato travalica l'episodio traumatico in sé e può indicare probabilmente l'opportunità di una riflessione su tematiche esistenziali del presente e del passato per poter affrontare al meglio la vita futura.

Valentina Sciubba Psicologa
www.valentinasciubba.it Servizi on line
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Disturbi psicologici e mente-corpo

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

da quanto ci dice lei ha reagito in maniera inadeguata all'incidente che ha subito, nel senso che la sua affermazione:

"Il primo anno, nonostante le difficoltà legate alla riabilitazione, sono stata bene emotivamente e psicologicamente.
C'è da dire che sotto certi aspetti la degenza in ospedale ed il periodo successivo a casa sono stati dei mesi particolarmente sereni, mi sentivo speciale ed ero circondata dall'affetto di tante persone"

fa pensare che ciò che ha "guadagnato" dall'esserne stata vittima (affetto e vicinanza delle altre persone) ha di lunga superato il peso dei risvolti negativi e che non è stata colpita da sintomi post-traumatici come può accadere in questi casi (ricordi intrusivi dell'accaduto, sogni, estremo disagio nel rievocare quanto successo e nell'entrare in contatto con oggetti/luoghi che lo ricordino).

Ha iniziato a sentirsi malinconica e ossessionata da questi pensieri sulla morte dopo aver terminato la riabilitazione, quindi quando ha perso l'attenzione di chi prima si occupava del suo recupero?

Com'era la sua vita prima dell'incidente?
Come stava e che opinione aveva di sè stessa?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#3]
dopo
Utente
Utente
Gent.mo Dottore,
sì, questo malessere è emerso quando ho ricominciato a camminare senza fatica e a non avere più disturbi (dolore cronico che mi affliggeva); ultimamente sta peggiorando, mi sveglio la mattina con un totale senso di vuoto, come se la vita che sto vivendo fosse inutile.
Prima dell'incidente la mia vita era abbastanza insoddisfacente: vivo solo con mia madre da quando ho 15 anni, mio padre non mi parla da allora e non ha mai pagato il mantenimento. Soldi pochi, preoccupazioni tante che permangono anche oggi.
Sono andata in stallo con la tesi, sono stata presa da un totale senso di rifiuto verso la laurea che vedo come momento di limite tra l'età della spensieratezza (che nei fatti non è mai stata spensierata, tutt'altro) e quella adulta che vedo come solo un cumulo ed una somma di preoccupazioni.
Nella mia auto-analisi ho ipotizzato di non voler crescere dato che mi sono sentita privata, da ragazzina, della deresponsabilizzazione che credevo tipica di quell'età avendo dovuto, in quegli anni, volente o nolente, fare molti sacrifici.
Mi sembra quasi di essere destinata ad una vita di piattume ed incertezza, mi chiedo sempre più spesso se ne valga la pena.
Cordialità
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
"ho ipotizzato di non voler crescere dato che mi sono sentita privata, da ragazzina, della deresponsabilizzazione che credevo tipica di quell'età avendo dovuto, in quegli anni, volente o nolente, fare molti sacrifici"

E' possibile che lei stia aspettando di ricevere un risarcimento, prima di continuare con la sua vita e accettare di diventare adulta, ma il miglior risarcimento per tutto quello che ha sofferto le verrà da sè stessa, nel momento in cui si laureerà e troverà un lavoro e un posto nella società, magari costruendo anche la propria famiglia con presupposti differenti da quelli che hanno portato alla difficile situazione passata e presente della sua famiglia d'origine.