7 anni di ansia e DAP e relative cure

Salve, è da quasi 7 anni che soffro di ansia e DAP con emetofobia. In pratica i miei attacchi di panico si sviluppano, oltre che nel 'modo classico', anche con il terrore che possa succedere quello che tanto temo, ossia la paura di vomitare. Detto ciò, da inizio 2006 sino a metà 2008 ho seguito una cura con Entact e Alprazig. Dopo questi 2 anni e mezzo ho lentamente ridotto e poi sospeso l'Entact, che mi aveva pure dato effetti parecchio sgradevoli come aumento di peso, apatia, calo della libido. Ho sempre continuato ad assumere l'Alprazolam, tentando pure di ridurlo svariate volte allo scopo di sospenderlo, ma poi avveniva una crisi di panico molto forte e quindi, purtroppo, ritornavo punto e a capo. Negli ultimi 2 anni in particolare, ho avuto un peggioramento del mio stato, ossia il mio livello di attacchi di panico/emetofobia è notevolmente peggiorato, rendendomi la vita invivibile. Ho fatto psicoterapia sin dagli inizi di questo disturbo, ma non sono mai riuscita a trarne realmente giovamento; inoltre, una volta smesso l'Entact, ho sviluppato una riluttanza a questo genere di farnaci, evitandone un'ulteriore assunzione (temendo specialmente di provare effetti indesiderati quali nausea, aumento di peso, ecc ecc). Ho comunque una psichiatra di fiducia, e dopo aver raschiato il fondo nelle ultime settimane, ho deciso di provare a superare le mie paure, e ho iniziato ad assumere il Daparox in gocce, in maniera molto graduale, iniziando proprio da 1 goccia, e aumentando gradualmente di goccia in goccia ogni 3 giorni.
Da 1 anno poi, son passata dall'Alprazig allo Xanax RP; dapprima al dosaggio di 0,5mg 2 volte al giorno, per poi passare a 1mg, sempre due volte al giorno. Da 2 mesi fortunatamente son riuscita a riabbassarlo a 0,5mg (2 volte al giorno). Detto ciò, ad oggi sono arrivata a 5mg di Daparox.Vorrei sapere grosso modo, se nonostante l'assunzione molto graduale, è possibile ugualmente poter avere dei benefici già a questi dosaggi, e quale sarebbe, secondo voi, il dosaggio più idoneo di paroxetina da arrivare ad assumere nel mio caso. Un'ultima mia 'curiosità': tra l'escitalopram e la paroxetina, quale delle due molecole è più efficace e ha meno effetti collaterali? (per quanto sappia che sia molto soggettivo l'effetto, ma almeno secondo la vostra esperienza). Vi ringrazio tantissimo.
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Dr.ssa Paola Scalco Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 4.3k 101 45
Gentile Ragazza,
per quanto concerne gli aspetti farmacologici della sua terapia, le consiglio di postare la richiesta nella sezione Psichiatria di questo sito, poiché in quanto non medici, gli psicologi non si occupano di questo.
Rispetto invece la psicoterapia, che tipo di lavoro è stato svolto? Si trattava di uno specialista diverso da chi la seguiva nella terapia farmacologica?
Perché secondo Lei non ne ha tratto giovamento?

Saluti.

Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
https://whatsapp.com/channel/0029Va982SIIN9ipi00hwO2i

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dopo
Utente
Utente
Eppure ho postato il consulto proprio nella sezione psichiatria. Magari riprovo nuovamente a postarlo.
Riguardo invece l'aspetto di psicoterapia, avevo iniziato a seguirla per 7 mesi consecutivi dall'inizio del disturbo. La psicologa di allora era molto 'blanda', ossia non percepivo utile nè produttivo il suo modo di porsi nei confronti miei e del mio problema. Dopo di lei in seguito, ho conosciuto poi la psichiatra dalla quale sono stata per diverso tempo e che è la stessa che mi aveva seguito anche nella terapia farmacologica e che mi conosce da più tempo, in quanto ha seguito il mio percorso sin dalle origini. Solo che è da qualche anno che non ci possiamo più incontrare, dato che è stata trasferita di sede. E da quando ciò è accaduto, lei stessa mi aveva suggerito di proseguire con una psicologa consigliatale da una persona fidata di sua conoscenza. Questa psicologa seguiva il metodo cognitivo-comportamentale, e non metto in dubbio che fosse in gamba, ma anche con lei non ho ricevuto benefici. Anzi, a furia di auto-osservarmi per captare segnali e/o sintomi per poi inquadrare gli eventuali collegamenti, l'ho finita per diventare ancora più sensibile ad ogni minima sensazione corporea e non. Per cui, dopo un altro anno, si è sfumata anche questa psicoterapia, senza alcun frutto purtroppo.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Cara Utente,

da quanto ci riferisce si evince che nel complesso lei ha seguito principalmente una terapia psicofarmacologica più volte rimaneggiata nel corso degli anni, e che, nel frattempo, ha svolto 2 tentativi psicoterapeutici per 2 brevi periodi, senza risolvere sostanzialmente nulla.

E' quindi comprensibile la sua sfiducia, ma i ben 7 anni di psicofarmaci penso testimonino concretamente che la strada per uscirne non può essere solo quella.
In caso contrario immagino che avrebbe già risolto, dopo tutto questo tempo, e che non si sarebbe rassegnata ad essere una potenziale assuntrice a vita di psicofarmaci.
Del resto le ricerche sull'efficacia dei diversi approcci indicano nel trattamento combinato (farmaci + psicoterapia) l'approccio elettivo per la cura di disturbi invalidanti come il suo.

Vorrei chiederle qualche informazione in più sui trattamenti psicoterapeutici svolti per aiutarla a capire cosa può non aver funzionato.

Non ho capito se la prima psicologa era una psicoterapeuta nè se seguiva un orientamento particolare (se sì, quale?) e se le sedute si svolgevano presso una struttura pubblica.
Quante sedute più o meno avrete svolto e con che cadenza?

Della seconda psicologa di dice che è una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, ma anche in questo caso non ci ha detto per quante sedute ha proseguito la terapia.
Le ha esplicitato i dubbi che ci sta comunicando?
Se sì, cosa le ha risposto?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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dopo
Utente
Utente
Gentile dott.ssa,
la prima psicologa non credo che seguisse un orientamento/metodologia particolare; o almeno, non ha mai menzionato niente del genere. Le sedute si svolgevano presso una struttura privata, dunque a pagamento. La frequenza era settimanale per 5 mesi buoni, dopodichè è diventata quindicinale, sino a sfumarsi. Contiamo che, al periodo (parlo del 2006), il mio stato di malessere era al suo inizio. C'era un'immensa paura perchè l'inizio di un disturbo del genere metterebbe in crisi chiunque, ma, rapportato ad ora, non avevo certo il grado di disagio che ho sviluppato negli ultimi 2 anni ad esempio. Sia come frequenza che come intensità degli attacchi di panico e dell'emetofobia stessa.

Della seconda psicologa, con terapia cognitivo-comportamentale, la frequenza di sedute era sempre settimanale, e solo dopo svariati mesi, circa 7 più o meno, è diventata quindicinale sino a sfumarsi anch'essa. Quest'ultima psicologa, era a conoscenza delle difficoltà che io avevo anche nella psicoterapia stessa; più che difficoltà, un'assenza di benefici, più precisamente. Nonostante ciò, si è voluti proseguire per vedere un pò come andava strada facendo, ma, ripeto, senza raccogliere alcun frutto purtroppo.

Ho poi conosciuto una terza psicologa, che non ho menzionato nel messaggio iniziale, perchè non reputo rilevante. E' stato un ennesimo tentativo di psicoterapia che mi sono voluta concedere proprio lo scorso anno, nel bel mezzo del mio stato che era appunto andato peggiorando già da qualche tempo. Già dal colloquio iniziale mi sono trovata malissimo. La suddetta psicologa-psicoterapeuta, non mi ha messo a mio agio, in un quarto d'ora il telefono è squillato 3 volte con clienti che dovevano prendere appuntamenti, e dunque interrompendo i miei tentativi di provare a farmi conoscere e far inquadrare la mia situazione. Con quale stimolo, giustamente, rimettere piede presso uno studio la cui psicologa si mostra totalmente assente nei confronti del paziente, già a disagio di suo?

Volevo chiarire un ultimo punto, gent.ma Dott.ssa Massaro.
Io ho sempre creduto nella psicoterapia, molto più in questa che nella terapia farmacologica, tant'è vero che negli ultimi 4 anni assumevo solo l'ansiolitico rifiutando un'ulteriore aggiunta di antidepressivo, proprio per l'immane volontà di volercela fare da sola e senza necessariamente dover essere legata a delle cure farmacologiche. Ma quando ci si ritrova in prima persona, a vivere disagi e delusioni di questo tipo, in un arco di tempo così lungo come quasi 7 anni ormai, che fiducia e/o stimolo può venire di battere ancora il chiodo sullo stesso punto? E' questa una domanda legittima che mi pongo, giustamente.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Sono d'accordo con lei sulla terza psicologa, e ha fatto bene a non chiedere un secondo colloquio.
Sulla prima non ci ha fornito elementi significativi, mentre sulla seconda posso solo dire che è possibile che quel tipo di orientamento terapeutico non facesse per lei.

Comprendo la sua sfiducia e anche disperazione, nel senso che immagino non sappia più dove sbattere la testa.

Non ci ha però parlato di come è nato il suo disturbo e se aveva già degli antecedenti in anamnesi: è importante considerare la natura, la durata e la derivazione di un disturbo per stabilire se un percorso di mesi sia sufficiente a risolvere o meno, senza dimenticare le condizioni ambientali nelle quali si svolge la vita del paziente.

Per farle un esempio: una persona che iniziasse a stare male (ad es. sviluppando depressione o panico) perchè vive in una famiglia altamente conflittuale, dove regnano confusione dei ruoli e manipolazione reciproca mediante utilizzo del senso di colpa, potrebbe inziare tutte le terapie che vuole, ma finchè vivesse a contatto con quella situazione sarebbe complicato aiutarla a reagire diversamente, perchè sarebbe sempre profondamente coinvolta nelle dinamiche responsabili del suo malessere.
In un caso di quel tipo l'aiuto arriverebbe comunque dalla psicoterapia, ma questa richiederebbe molto più tempo e impegno dal momento che le condizioni che provocherebbero i disturbi non sarebbero cessate.
E' chiaro che molto probabilmente una persona in quella situazione non risolverebbe nulla in qualche mese di sedute solo settimanali, pur potendo apprezzare dei miglioramenti.

Tornando a lei: nel corso delle sedute che ha effettuato immagino che siano state formulate delle ipotesi sul suo malessere.
Ci può dire se è stata identificata la causa?
Può specificare se questa è tuttora attiva, cosa che renderebbe più complesso - ma pur sempre possibile - lavorare sul problema?
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dopo
Utente
Utente
Gentile Dott.ssa,
cerco di sintetizzare un pò la mia situazione antecedente per poi arrivare al 2006, ossia l'esplosione del disturbo.
Riguardo la mia famiglia, ho i genitori separati da quando avevo pochi mesi; con mia madre ho uno splendido rapporto, parliamo di tutto e abbiamo tanta confidenza; mentre mio padre è un misantropo, è un uomo intelligente e capace, ma in assoluto isolamento da tutto e tutti. Fa una vita solitaria, ha un unico hobby, il biliardo; e lavora. Stop. Non ha mai mostrato interesse nei miei confronti, sono cresciuta vedendolo 1 volta al mese (lui vive ancora con mia nonna paterna). Vedendo il suo atteggiamento sempre così poco espansivo e per le sue, ho sempre cercato di fare io il primo passo, per provare a instaurare un dialogo, di qualunque tipo, ma il risultato è sempre stato deludente. E, dopo 28 anni di sopportazione, assenze, mancanze, e di questo strano e sottile filo, ormai sfilacciato, che ancora manteneva questo rapporto ''in piedi'' (seppur in maniera anomala), mi sono scocciata e ho colto l'occasione per smettere di considerarlo. Non penso spesso a lui, sento che per quanto sia mio padre, è una presenza/figura ininfluente nella mia vita. Eppure, nonostante ciò, ho sempre avuto mille soggezioni. Ogni volta che entravo lì in quella casa, sentivo che stavo inserendo la ''modalità circostanza'', ossia un modo di essere che non era il mio vero modo spontaneo...Sempre piena di paura del giudizio altrui, dei commenti potenzialmente negativi che avrei potuto ricevere, imbarazzo, ecc ecc. Tutto questo si è ripetuto per anni, anni e anni, sempre e solo 1 sola domenica al mese.
Non sono una psicologa, ma rispondendo alla sua domanda sulla causa del mio malessere, posso provare a ipotizzare pure questo tipo di situazione, vissuta sempre con disagio sicuramente. Però anche con una sorta di normale arrendevolezza e consapevolezza del soggetto che mi trovavo di fronte, che sicuramente non è certo adatto a fare il padre (non mi ci è voluto molto per capire il perchè della separazione tra mia madre e lui infatti).
Una cosa che un pò mi stupisce, però, è che io e lui non ci sentiamo da ormai 8 mesi...(ci siamo incontrati solamente al funerale di mia nonna materna purtroppo, 3 mesi fa, e sono stata salutata da lui sono con un banale ciao, niente di più).. Beh, non capisco perchè, nonostante abbia reciso quel famigerato filo sfilacciato non facendomi più sentire, io non abbia ricevuto sollievo dal liberarmi di questa situazione, che nonostante non fosse influente, immagino che negli anni abbia creato nella mia mente, seppur senza accorgermene, un sacco di confusione, senso di inadeguatezza, insicurezza, ecc ecc.
Con le varie psicoterapie, ovviamente è venuto fuori il mio vissuto e questo aspetto del rapporto quasi inesistente con mio padre, ma nessuna delle psicologhe ha attribuito questa come precisa causa. Forse, un pò di più, la mia psichiatra. Ma le psicologhe non ricordo considerassero questo come il motivo.

Con questo ho risposto alla sua domanda per quanto riguarda una possibile causa dell'origine del mio malessere. Per quanto, comunque, non ne sia totalmente sicura al 100% che sia questa. Non ho ancora capito come funziona e quanto possa realmente incidere l'ereditarietà di questo tipo di disturbi. Infatti, specifico un'ulteriore cosa, giusto per riallacciarmi alla sua richiesta di fornire altri elementi sul mio quadro. Sia mia madre che mio zio (fratello di mia madre), hanno sofferto anch'essi di disturbo da ansia e attacchi di panico. Mia madre ne è brillantemente uscita, mio zio sta sicuramente meglio, ma ha ancora qualche 'ombra' diciamo. Entrambi, però, senza emetofobia. Io ho pure questa rogna in più purtroppo.

Altro chiarimento: la prima psicologa da cui son stata, come ho detto, non so se seguisse un determinato metodo in particolare. Però posso dire che ogni seduta avveniva in questo modo: io ad ogni colloquio, portavo dei miei appunti scritti a mò di diario durante la settimana, lei li leggeva assieme a me, e poi a fine lettura si commentava il tutto. Questo è tutto ciò che ricordo della mia prima psicoterapia. Non ho altri elementi da fornire a riguardo.

Qualche altro dato per arricchire il quadro.. Dunque, io sono sempre stata figlia unica. Ho vissuto con mia madre, mio zio e miei nonni sino all'eta' di 15 anni, amata e trattata con affetto e sentendomi davvero in famiglia. Poi io e mia madre siamo andate a vivere da sole. In seguito mia madre ha avuto un compagno, col quale ha avuto mia sorellina, che oggi ha 8 anni, e che io amo tantissimo. Il suo compagno non vive con noi, perchè ha gia' la sua casa, e alla fine l'unico modo per mantenere l'equilibrio migliore, si è rivelato questo dopo diversi tentativi ovviamente; che ognuno non abbandonasse la propria casa, conquistata con fatica e sacrificio, ma stando ognuno nella propria; e mia madre va da lui il fine settimana e stanno tutti assieme. Qualche volta vado anche io, vengo sempre ''invitata'', ma io ho molto piacere anche a godermi un pò di pace e tranquillita' a casa mia da sola. Mi fa molto piacere sia l'una che l'altra cosa in ogni caso.
Comunque.. io non avevo mai avuto attacchi di panico prima di 22 anni. Posso dire di essere stata sempre una ragazza molto emotiva, che arrossivo per un nonnulla, che ha sempre temuto il giudizio altrui, che non osava mai più di tanto, che si sentiva sempre infastidita dagli sguardi delle altre persone.. Ho avuto le prime avvisaglie di ansia e panico, verso i 21 anni, quindi l'anno prima che il disturbo esplodesse poi del tutto.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
La sua situazione famigliare è stata dunque fin dal principio sfavorevole: le sue considerazioni sull'incapacità e forse impossibilità di suo padre a fare il padre non cambiano per nulla la realtà, perchè sono semplicemente riflessioni che ad un certo punto lei ha dovuto fare, non potendo fare altro.

Non è possibile liquidare un padre, per pessimo o inesistente che sia, con una decisione, ed è perfettamente normale che la sua decisione non le abbia consentito di metterci davvero una pietra sopra:

"non capisco perchè, nonostante abbia reciso quel famigerato filo sfilacciato non facendomi più sentire, io non abbia ricevuto sollievo dal liberarmi di questa situazione, che nonostante non fosse influente".

Un conto è il padre reale, esterno, e un altro il padre interiorizzato che lei si porta e si porterà sempre dietro, all'interno della sua mente, come lo fa qualunque altra persona.

Tenga poi presente che per ogni bambina il padre è una presenza fondamentale per imparare a gestire i rapporti con il mondo maschile, e che le ricerche in questo campo evidenziano che l'autostima delle figlie è strettamente correlata a ciò che il padre comunica loro in termini di giudizio e considerazione della loro persona.

Venendo alla presunta "familiarità" dei suoi disturbi, non mi sembra che la personalità di suo padre abbia qualcosa in comune con il suo tipo di problema, mentre è possibile che l'ansia di mamma e zio abbiano condizionato la sua crescita in termini di apprendimento del malessere: l'ipotesi genetica si è sempre più ridimensionata nel tempo con il riconoscimento della necessità di altre condizioni (ambientali in primis) per lo sviluppo di qualunque disturbo o patologia mentale, ed è possibile che lei abbia semplicemente imparato a stare male in quel modo perchè sa (o ha visto) che sua mamma stava così.

Essere cresciuta in una casa dove erano presenti sia una madre che uno zio con questi problemi l'ha molto probabilmente condizionata fin ai primi anni: l'identificazione gioca spesso un ruolo importante nello sviluppo di disturbi analoghi a quelli già presenti in famiglia e il desiderio (inconscio) di essere come la mamma o vicina alla mamma potrebbe aver condizionato la sua storia personale di figlia con un solo genitore sul quale contare.

Non posso poi non farle notare questa "coincidenza":

"mia madre ha avuto un compagno, col quale ha avuto mia sorellina, che oggi ha 8 anni".

Lei quindi ha iniziato a stare male quando la nuova arrivata aveva qualche mese e poi il suo disagio è esploso l'anno successivo in tuta la sua drammaticità.
La presenza di una nuova figlia e di un compagno che non si unisce a voi, ma che le "porta via" la mamma che lo raggiunge a casa sua quando può, è un insieme di cambiamenti davvero non di poco conto.
Nel tempo la sua realtà si è sgretolata: prima ha perso quel nucleo in cui ci dice che si sentiva "amata e trattata con affetto e sentendomi davvero in famiglia" e poi, anni dopo, ha "perso" anche la mamma, che prima era tutta sua.

Non importa che lei voglia bene alla sua sorellina: la gelosia e il sentimento di dover condividere il suo solo genitore presente con un'altra figlia, più piccola e quindi più bisognosa di cure, tempo e attenzioni, hanno molto probabilmente dato vita ad un malessere non indifferente, che potrebbe manifestarsi proprio con quel panico che riporta l'attenzione della mamma sua di lei, perchè ne ha bisogno e perchè sta male in un modo che sua madre ben conosce.

Ci rifletta.
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dopo
Utente
Utente
Gent.ma Dott.ssa,
ho pensato molto alla situazione nell'insieme, così come ne abbiamo discusso facendo una panoramica un pò a tutto il mio quadro.
Ci sono tanti 'punti d'ombra' nel mio passato, molte cose che non ho mai compreso o forse alle quali non ho dato peso, forse perchè dentro di me non sentivo come potenziali cause o, comunque, come elementi che potessero influire nell'inizio del mio malessere.
Come ad esempio la questione di mia sorellina. Io non so a livello inconscio cosa possa accadere nella mente di una ragazza di 20 anni che ha sempre vissuto come figlia unica e coi genitori separati, stando così vicina alla madre, e che si ritrova con una nuova arrivata, che però sente subito di amare, e della quale alla fine si accorge, che non ne può proprio fare a meno, che sia stato un pò come un dono, e che in fondo è bellissimo avere una sorellina con 20 anni in meno, perchè mi fa sentire utile, mi fa sentire gioiosa della condivisione di tante piccole cose, e la sensazione di protezione che provo nei suoi confronti è qualcosa che sicuramente non avevo mai provato prima che lei arrivasse.
Sempre parlando di sensazioni ''conscie'', posso dire di non aver mai provato gelosia nei suoi confronti, o nei gesti di mia madre verso lei. Tantomeno del suo compagno. Lo scombussolamento c'è stato solo per qualche giorno subito dopo la sua nascita; ho fatto qualche pianto da sola, ma era come un pianto di sfogo di qualcosa che finalmente, dopo 9 mesi di attesa, finalmente si era concretizzato. Un pianto d'emozione. Finalmente potevo vedere quella creatura ed iniziare a viverla. E questo nuovo percorso non mi metteva a disagio neanche un pò, anzi... mi rendeva felice. Riguardo invece ciò che può essere avvenuto a livello inconscio, ripeto, io questo non lo so. Però può darsi che abbia ragione. Ma non ho mai sentito gelosia, ancor meno per il compagno di mia madre. Ho un legame talmente forte con mia madre, che ho sempre desiderato il meglio per lei, e ho sentito il suo affetto nei miei confronti sempre presente, idem quando è arrivata anche mia sorellina. Il rapporto mio e suo non è mai cambiato, però rifletto ugualmente su ciò che è potuto avvenire inconsciamente in quei periodi 'mentre io non mi accorgevo'..

Un altro punto che volevo spiegare un pò meglio, è questo. Io non sono mai venuta a conoscenza del disturbo di mia madre e di mio zio. Loro non mi hanno mai detto nè mostrato niente, e mia madre è stata bravissima a ''proteggermi'', perchè io, che ero un'acutissima osservatrice sin da bambina, non mi sono mai, e dico mai, accorta di nulla. Nè di un suo malessere, nè se le potesse mancare il sorriso se per caso stava male. Mai. E anche qui parlo di sensazioni delle quali ero cosciente. Non ho mai pensato che mamma stesse male o che mi nascondesse qualcosa volontariamente. Come non l'ho mai pensato neanche di mio zio. Anzi, colgo l'occasione per spendere due parole anche su di lui. Lui è come mio fratello, è sempre stato (ed è tuttora) con me un gran giocherellone, ci assomigliamo tantissimo a livello caratteriale, siamo molto uniti, e anche di lui posso dire di non aver mai sospettato di nulla. Son venuta al corrente dei loro trascorsi malesseri, solo quando è emerso il mio, quindi a 22 anni. Pure per quanto riguarda lui, quindi, posso mettere un punto di domanda per quanto riguarda il condizionamento o il presunto 'contagio', ma riflettendo comunque un pò su entrambe le ipotesi.

Per quanto riguarda i miei desideri attuali invece, il mio solo ed unico desiderio è quello di star bene, di poter vivere normalmente, di affrontare le normali problematiche che affrontano tutti senza dover combattere col panico ovunque vada o con chiunque mi trovi, e senza dover passare altri anni rinunciando a mille cose per il fatto che gli attacchi di panico mi stroncano ogni attività (e non solo ''perchè ho paura che possa succedere'', ma perchè succede sempre realmente purtroppo).
Desidero solo ed unicamente questo...e forse anche capire cosa dovrei fare con mio padre...perchè sento che anche se è da quasi 9 mesi che non ci vediamo/sentiamo più, è come se questa situazione sia solo in stand by, però non so ancora bene come comportarmi, perchè io con mio padre ho una difficoltà immensa di comunicazione, c'è una comunicazione quasi inesistente, ed ho il terrore di come mi potrebbe prendere parlare con lui in un modo che non c'è mai stato sinora.. ho persino paura di potermi sentire male in sua presenza..insomma, non so proprio che fare..
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Non siamo consci di molte dinamiche che ci riguardano e ci appartengono, ma questo non vuol dire che io abbia ragione anche perchè si tratta di ipotesi basate solo sul suo racconto e non sulla conoscenza diretta del caso.

Mi fa piacere che queste ipotesi le siano servite a riflettere e magari ad intuire che ci sia anche dell'altro, qualcosa che in tutti questi anni non è stato considerato e che potrebbe aver innescato e sostenuto il suo malessere e provocato il passaggio al panico da questa situazione di partenza:

"Posso dire di essere stata sempre una ragazza molto emotiva, che arrossivo per un nonnulla, che ha sempre temuto il giudizio altrui, che non osava mai più di tanto, che si sentiva sempre infastidita dagli sguardi delle altre persone".

La situazione con suo padre, poi, è sicuramente una fonte di problemi coscienti e inconsci, perchè - come le dicevo - la sua figura e il rapporto con lui non è liquidabile con una decisione razionale su cosa sia meglio fare.

Tenga presente che i sintomi come nausea, vomito ed emetofobia simboleggiano sul piano corporeo il rifiuto di situazioni, emozioni e legami che non si riesce ad accettare e a "tenere dentro", ma che allo stesso tempo possono generare anche angoscia all'idea di essere "tirati fuori" per le conseguenze che ne deriverebbero.

Non so se questo tipo di lettura si possa applicare al rapporto con suo padre o ad altro, ma il mio consiglio è quello di ripensare ad una psicoterapia e di ridiscutere la terapia farmacologica: visto che lo Xanax è solo un palliativo e che le benzodiazepine danno dipendenza, uno psichiatra probabilmente imposterebbe la cura in modo tale da eliminarlo e da trovare nel contempo un farmaco che lei dia dei risultati, cosa che, se non ho capito male, la paroxetina non le sta dando a sufficienza.
Al momento non è più seguita da uno psichiatra, giusto?
Ansia

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