Apatia e sensi continui di ansia

Buonasera a tutti, ringrazio coloro che prenderanno visione.

Sono un ragazzo intorno ai 19 anni, ma vivo da anni in una situazione da cui non riesco a uscire. Negli ultimi due mesi , per via di eventi o avvenimenti esterni, il mondo pare essermi crollato addosso, e la mia sensazione di apatia e noia nei confronti di tutto è diventata oramai quotidiana. A ciò di recente si è aggiunta una continua ansia, che poi io cerco di capire nei confronti di quali eventi possa essere rivolta, ma non vedo una particolare minaccia futura che possa spiegarla.
Sono davvero a disagio, vorrei uscirne ma non riesco. Sono abbastanza sicuro tutto sommato che il mio stato sia causato da una razionalità esagerata e da un pessimismo cosmico, perciò in alcuni momenti di coraggio mi tiro su le maniche e dico "posso farcela ad interpretare la vita con maggiore positività". Ma poi , specie nei momenti in cui sono solo, tutto ritorna come prima . Ogni volta che mi ritrovo a girare attorno a questi punti, mi rendo conto che il mio precedente tentativo di riscatto è fallito, e perciò ogni volta che tento di reagire .. come dire , lo faccio sempre con minore voglia.
Nei momenti negativi, sono convinto che a spingermi a tale visione pessimistica sia un senso esagerato di autocommiserazione: non so per quale ragione, ma sembra che una parte di me provi piacere nel commiserarsi, nel ricordare le proprie sfortune piuttosto che cercare di rimediare ad esse. Ogni volta che mi metto nell'ottica positiva , dura poco. Come faccio a eliminare questo piacere nell autocommiserazione?
Grazie a tutti
[#1]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Caro ragazzo,
Cosa e' successo circa due mesi fa? Quale avvenimento può essere stato il fattore scatenante della sua sindrome ansioso-depressiva? Potrebbe trattarsi anche di episodi apparentemente banali ma ai quali lei potrebbe aver attribuito un particolare significato. Ad ogni modo, l'accentuarsi di tale sintomatologia sembra essere innestata in una tendenza al pensiero negativista, quasi di leopardiana memoria, e invero, da come scrive, sembra proprio che si intraveda tra le righe una sorta di autocompiacimento per il pessimismo e la vittimizzazione. Di lei mi colpisce lo stile lucido e "razionale", appunto, che mostra la sua buona capacità analitica. L'intellettualizzazione che lei utilizza e', tuttavia, un meccanismo di difesa, pur se tra quelli cosiddetti "elevati" e, come tutte le difese, ha la funzione di categorizzare e dare ordine agli avvenimenti della vita che, ahimè', e' quanto di meno categorizzabile esista, perché imprevedibile. Di qui, l'ansia, emozione complessa che si nutre della preoccupazione di non poter esercitare il controllo, e la successiva presa di coscienza depressiva, che mostra come non vi siano, in effetti, certezze o garanzie. Allora, che fare?
Credo che lei abbia bisogno di fare "contatto" con le parti più profonde, e forse poco conosciute, di se stesso: gli aspetti istintivi, i bisogni primari, i desideri del bambino che era, il mondo oscuro delle emozioni e dei sentimenti, che danno linfa vitale al nostro esistere. Cosa le piace fare? Quali attività vorrebbe praticare, quali persone vorrebbe incontrare?
Un percorso di terapia potrebbe essere per lei un'esperienza importante per aiutarla a integrare l'aspetto razionale con quello più emotivo, oltre a superare il ciclo ripetitivo di successo-fallimento che lei sta sperimentando attualmente.
Un cordiale saluto
Dott.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa ad ind. Clinico

Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale

[#2]
Dr.ssa Elisabetta Molteni Psicologo, Psicoterapeuta 112 3 4
Gentilissimo, sembra che nel momento in cui lei si mette in ottica positiva, e propende per andare avanti in maniera migliore, una parte di lei spinge per tornare indietro, riportare tutto in ottica negativa, quasi come dice lei, a provare piacere nell'autocommiserazione, nel ricordare le proprie sventure e sfortune.

Provi a domandarsi: a che bisogno potrebbe rispondere, questa modalità di comportamento? Cosa succede quando lei tende all'autocommiserazione,al pessimismo, ha qualcuno vicino che si interessa a lei? Cosa suscita questo comportamento in sè e negli altri? Sono spunti di riflessione..

Un caro saluto

Dr.ssa Elisabetta Molteni
Psicologa Psicoterapeuta - In studio e Online
www.elisabettamolteni.it

[#3]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Buongiorno a tutti, provo a rispondere alle domande poste.

Intanto, vengo ai fatti concreti: questo inverno partì in vacanza, una settimana, tornai a casa e da lì tutto è precipitato. Non che, preciso , prima tutto fosse rose e fiori: l'inverno è da me sempre stato considerato sinonimo di depressione, di antiquato, di noioso. Come ogni anno, credevo che con l'arrivo della primavera mi sarei sbloccato, forse per i bei ricordi, per il sole , per il caldo. In questo periodo si instaura nel mio cervello tutta una serie di procedure automatiche che fanno in modo che io viva con grandi speranza questo periodo, ancora più dell'estate stessa.

Ma questa volta mi sono sbagliato: tornato dalle vacanze, l inizio della primavera è stato un disastro; un improvviso tracollo economico in famiglia, un'ansia familiare crescente proprio per queste ragioni, un padre spinto in uno stato di depressione ancora più spiccata della mia, la fine di una relazione con una persona che amavo ; ma il peggio doveva ancora venire, con un parente colpito da un infarto e un'altra ricoverata in psichiatria. Ed ancora , mio padre, forse l evento piu eclatante, in procinto di togliersi la vita.
Evidentemente in questo periodo ne ho avute ragioni su cui commiserarmi; da allora ogni giorno che passo ,arrivato ad un certo punto , mi chiedo come io mi senta; mi chiedo quando tornerà la normalità; poi magari vado a farmi un giro al parco, mi dico "oggi sì che è una gran bella giornata" ma mi rendo conto che non lo penso davvero, che lo dico solo perchè gradirei che tutto tornasse normale ,e al più presto.
Preciso anche questo: oltre le sciagure che ho dovuto sopportare, è come se io poi cercassi di aggiungerne altre; quando avviene qualcosa di negativo , è come se mi facesse piacere aggiungerla alla lista delle mie sfortune , anche se di per sè non influisce minimamente sulla mia psicologia.
[#4]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
In effetti ritenevo anch'io di aver assorbito completamente la mentalità leopardiana, anche se una molto simile l'avevo sviluppata anche prima di leggere qualche opera . Sono molto vicino alla filosofia di Schopenhauer, in effetti in questo periodo sono fortemente convinto che la razionalità sia un elemento non tanto positivo, in quanto permette di vedere le cose sempre per come appaiono agli occhi. Io, a differenza forse di Leopardi, ho deciso che voglio uscirne, soprattutto voglio farlo non affidandomi a nulla di razionale; mi sono avvicinato parecchio a Dio, mi rendo conto soltanto adesso che proprio per la sua essenza irrazionale, perchè è invisibile, non possiamo fare altro che affidarci a lui. Ma ciononostante non c'è molto da fare: non riesco ad abbandonarmi all'irrazionalità, la intravedo come una strada non mia.

Sarei d'accordo per iniziare una terapia, non so però da dove iniziare. Non so a chi rivolgermi; magari sarei grato se riusciste a indicarmi qualche personalità che potrebbe fare al caso mio.
Ringrazio ancora tutti per l interesse. Buona giornata
[#5]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Di motivi ne ha avuto, sicuramente, e anche seri. Per quanto ognuno di noi abbia percezione delle cose in un modo particolarissimo, nel suo caso vi sono elementi oggettivi che hanno, probabilmente, precipitato un malessere latente.
Non la stavo invitando all''irrazionalita', ci mancherebbe, ma al potenziamento di aspetti meno rigidamente razionali e all'integrazione. D'altra parte, mi rendo conto che la strategia da lei adottata fino a questo momento le e' stata funzionale. Che poi, ci sia un certo compiacimento ad aggiungere alle presenti "sciagure" anche altre, e' un meccanismo eccessivo ed improprio che non le consente di uscire da questo ciclo speranza-delusione.
Per un'eventuale terapia, o semplicemente una valutazione psicologica, può fare riferimento anche agli specialisti che si trovano su questo sito e che sono della sua zona, oppure può rivolgersi in strutture pubbliche quali un Consultorio o un CSM.
Della relazione interrotta , come e' finita? Chi ha lasciato chi? E suo padre, ora, e' seguito a livello psichiatrico? Lei, cosa fa nella vita? Studia, lavora? Ha altri sintomi, oltre al suo senso di sconforto, quali insonnia, stanchezza, idee negative persistenti? In tal caso, una valutazione psichiatrica potrebbe anche essere pertinente. Ci faccia sapere.
Un cordiale saluto
Dott.ssa Elisabetta Scolamacchia
[#6]
dopo
Attivo dal 2013 al 2013
Ex utente
Buonaserata a tutti,
Aggiungo a questo punto un elemento che reputo centrale. Sono cresciuto in una famiglia (in senso ampio, zii e zie compresi) dove vige un forte senso di cristianità; il mio problema è che temo di aver recepito la morale cattolica in senso negativo, molte volte sembro considerare più potente il male che il bene; accade perciò che al minimo errore , qualsiasi sbaglio, peccato, il mio cervello lo recepisce come un tradimento nei confronti di Dio, è un passo in avanti verso il male . In queste circostanze, di notte mi capita di sentirmi "toccato nel sonno"; il tutto avviene con dinamiche molto semplici: realizzo un sogno che mi terrorizza, in cui molte volte io non sono protagonista ma sento parlare di me nel sogno: si dice che io sia lontano da Dio, che egli non mi protegge più. E all'improvviso, come lasciato in balia del male, mi sento toccato e mi sveglio di botto, con tachicardia e ansia e incapacità nel riprendere sonno. Di recente quindi è comprensibile come io abbia quasi paura di andare a dormire, per non vivere queste situazioni.
Purtroppo il mio cervello non accetta mezze misure: se sei razionale e decidi di non abbandonarti nei confronti di Dio, paradossalmente sento la lontananza di Dio ma non di tutti i principi irrazionali: sento forte su di me il "disturbo" causato dall'agire di forze maligne, proprio perchè ho rifiutato di rifugiarmi in Dio(in questo senso non conosce mezze misure). Invece quando decido di abbandonarmi all'irrazionale, lo recepisco come un azione di convenienza, non che io lo voglia fare veramente. Ovvio poi che ci si rifugia in Dio per ottenere pace interiore; io però questa serenità non la sento, e ciò contribuisce a farmi pensare che la strada irrazionale non mi aiuta.
Per rispondere alle domande: ho perso nell ultimo anno due persone a me care, per fortuna non definitivamente(non sono decedute) ma comunque sento forte la mancanza. Uno dei due è un mio caro amico d infanzia, che mi ha da un giorno all altro eliminato dalla sua vita, annullando anni di amicizia; l altra è appunto la persona che io amavo, con la quale ufficialmente non vi è stato nulla, ma ho dovuto accettare ugualmente l idea che lei abbia scelto un altra persona. Mio padre da ragazzo ha vissuto i miei stessi problemi, poi però lui è riuscito, grazie al supporto della fede, a rimettersi in carreggiata e a superare i drammi del suo passato. Ultimamente ,da anni che non succedeva, è entrato nuovamente in questa fase di depressione, durata diverse settimane; sono state settimane durissime, in cui ho quasi dovuto recitare la parte del padre e lui quella del figlio in preda ad una crisi, ora fortunatamente è tornato attivo e , per quanto possibile , positivo; il problema è che ha aggiunto nuova carne sul fuoco. Nonostante possa adesso sembrarne uscito, ha caricato su di me ricordi e negatività oltre a quella che già c'era. Non segue nessuna terapia, è stato un momento che tutti vogliamo considerare passato, ma che io non ho la forza per considerarlo tale.
Buona serata a tutti.
[#7]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 739 20 3
Gentile ragazzo,
Comprendo il suo profondo dilemma esistenziale che è' molto umano perché calato nella sua realtà . Capisco che per lei l'irrazionale abbia connotazioni spaventose al punto da turbarle il sonno e che il razionale sia più prevedibile e rassicurante. Infatti, i "mostri" interni, o quelli che lei percepisce come tali, non vanno affrontati da soli. Ci vuole un professionista che la accompagni in questo percorso. Le perdite di cui parla hanno in comune che mancano, entrambe, a quanto pare, di una spiegazione razionale. Appartengono al regno delle emozioni e dei sentimenti, regno che sfugge a ogni tentativo di categorizzazione logica, appunto. Un mondo ignoto e, quindi, da lei percepito come pericoloso o negativo. Tuttavia, quanto più si fugge da se stessi, tanto più si rischia di cedere allo spavento e al senso di impotenza. La depressione di suo padre la ha segnata probabilmente perché si è' reso conto che pure una persona forte come lui stava rischiando di soccombere al suo senso di disperazione. Ciò deve averla toccata molto. Ma uscire da questa impasse e' possibile. Non da soli, comunque.
Buona serata a lei
[#8]
Dr.ssa Elisabetta Molteni Psicologo, Psicoterapeuta 112 3 4
Allora, sicuramente nella sua vita sono capitati degli eventi spiacevoli, chein qualche modo lei si è trovato a fronteggiare.

Come dice giustamente la collega, il rifugio nel mondo della razionalità sembra proteggerci da ciò che viviamo come pericoloso, emotivamente insostenibile perchè troppo forte. In realtà, in questo momento, Lei riconosce che questo meccanismo non funziona più, non la fa stare bene; questa "apatia" un po' capitata, un po' cercata da sè, non la porta da nessuna parte.

Potrebbe essere utile rivolgersi ad uno psicologo per condividere queste situazioni e trovare nuove modalità di comportamento più funzionali! Può pensare al privato, cercando o in questo sito o nell'Albo degli psicologi della sua regione tutti i nominativi; oppure al pubblico, semplicemente rivolgendosi al Centro Psico Sociale o al consultorio della sua zona.
Un caro saluto, ci tenga aggiornati se lo desidera e buona giornata!
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