Emotività eccessiva o comprensione limitata?

Gentili dottori,
sono qui a chiedervi un consulto per capire meglio la mia condizione psicologica.

Il sunto è il seguente: provengo da una famiglia modesta, a venti anni ho scelto una facoltà lunga ed onerosa. Durante gli studi ho spesso fatto lavori e lavoretti non inerenti al percorso di studio per sopperire i costi di sopravvivenza.

Ho scelto per passione all'epoca, senza pensare all'estrazione sociale di provenienza, alla lunghezza del tipo di studi, alle eventuali amicizie nel ramo. Non avevo fatto indagini di mercato. Ovviamente queste sono riflessioni degli ultimi anni.

Mi sono laureata tardi, a 32 anni, senza esperienza pratica nel settore e in piena crisi economica. Ovviamente non trovo lavoro, non ho un curriculum competitivo e quindi non produco. Persino i lavoretti non sono più così semplici da trovare. I miei genitori sono anziani e mi aiutano per quel che possono.

Questa condizione genera una forte forma di ansia nella mia persona, spesso piango e vivo molto male le delusioni. Ho di recente sostenuto la prima parte dell?Esame di Stato relativo alla mia figura professionale, ma non ho certezza del risultato. Sto contattando studi professionali di continuo ma senza esito positivo. Il tempo passa e il mio curriculum non si accresce.

Non riuscendo a trovare un posto nella società, mi sento molto frustrata e sono vittima di fenomeni depressivi che a volte generano giornate di immobilismo. A volte non riesco nemmeno a dormire dai pensieri e assumo Minias a tale scopo.

Il problema è che tutti sostengono che dipenda dal mio carattere e da disturbi emotivi. Forse. Però io credo anche che se una persona avesse una possibilità, riuscisse ad uscire un po' di casa e ad avere una vita un po' meno alienante, forse acquisirebbe maggior coraggio ed inizierebbe a vedere un po' positivo. Quello che nessuno dei miei (genitori, fidanzato) capisce, è che non sono depressa ed emotiva e quindi non riesco nella vita, al contrario è la difficoltà nel riuscire che mi rende vulnerabile agli attacchi di sconforto.

A volte basterebbe la comprensione a farmi sentire meglio, invece, inevitabilmente, mi sento solo inadeguata, perché tutti mi vorrebbero vedere con il sorriso stampato sulle labbra. Ma insomma, senza lavoro, senza prospettive e nemmeno più giovanissima, cosa dovrei ridere? Beati coloro che sono così. Io non riesco a vedere la vita a colori, se, trentenne, devo ancora iniziare tutto.

Ditemi voi se davvero bisogna non deprimersi in tale condizione e quanto realmente l'aspetto emotivo generatosi vada ad influire nella riuscita complessiva.

Grazie per l'ascolto.
[#1]
Dr. Sergio Sposato Psicologo 147 6 14
Gentile ragazza,

La sua situazione, negli ultimi tempi, sembra essere diventata abbastanza frequente. Molte persone della sua età si ritrovano infatti a fare i conti quotidianamente con l'assenza di lavoro e di prospettive. Essendo il lavoro una parte fondamentale dell'esistenza umana -sia sul piano della sopravvivenza, sia su quello della completa realizzazione dell'individuo- è normale che si possano provare sentimenti si ansia e sconforto. Tuttavia, ogni individuo ha una sua propria capacità di gestione degli eventi e non è detto dunque che tali stati d'animo debbano necessariamente portare a un quadro psicopatologico. Lei chiede se sia normale sentirsi tristi o ansiosi quando non si riesce a trovare lavoro e la risposta alla sua domanda è: dipende da persona a persona. Il problema nel suo caso sarebbe cercare di capire l'entità dei suoi stati d'animo, la loro intensità e frequenza, in modo da valutare la necessità di un eventuale supporto psicologico. Purtroppo tale valutazione può essere effettuata soltanto dal vivo, per cui il mio consiglio è quello di rivolgersi al più presto a uno psicologo nella sua città in modo che possiate stabile insieme se e come intervenire. Inoltre lei dice di assumere un farmaco per far fronte ai suoi stati d'animo, senza specificare chi glielo ha prescritto e in quale occasione. Tenga conto che la prescrizione di psicofarmaci andrebbe effettuata solo da un medico psichiatra e monitorata costantemente per valutare l'efficacia e la posologia. Se i suoi sintomi fossero tali da richiedere l'effettivo ricorso a un farmaco, a maggior ragione la invito a contattare quanto prima uno psicologo. Vedrà che in tal modo potrà stare meglio e, allo stesso tempo, ridurre l'impatto che l'incomprensione con i suoi cari le genera.

Cordialità

Dr. Sergio Sposato MSc, CPsychol, AFBPsS
Practitioner Clinical and Counselling Psychologist
EuroPsy Certificate (Clinical and Health Psychologist

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottore,
grazie per la risposta e la celerità.

Non ho approfondito alcuni aspetti in effetti, e glieli preciso adesso.
Ho necessitato di supporto in passato per curare disturbi dell'alimentazione (bulimia) che hanno interessato circa un decennio della mia esistenza e che ritengo superati, almeno all'atto pratico. Ovviamente è stata un'esperienza che mi ha cambiata profondamente, modificando la mia personalità da estroversa e un po' superficiale ad introversa e riflessiva.

Purtroppo ho interrotto i due tentativi di consulenza ai quali mi ero approcciata, per questioni prevalentemente economiche. A volte leggo che alcuni suoi colleghi affermano che la questione economica sia una scusa per non affrontare la terapia. Io personalmente ritengo che le persone maggiormente disagiate economicamente, siano anche quelle che incontrano superiori difficoltà nell'intraprendere un percorso che richiede continuità. Infatti a mio avviso sarebbe cosa alquanto utile per me seguire il suo consiglio, ma finché non ho un reddito, per me pesano anche 10 euro.

Forse dal mio canto la pecca è non aver mai capito quanto il sistema sanitario potrebbe venirmi incontro in tal senso, ho solo pensato di rimandare. Attualmente sono molto concentrata sulla questione "lavoro" tant'è che le attribuisco tutti i miei mali, però se devo essere onesta, non so quanto il mio atteggiamento sia in parte legato e si confonda con il lascito dovuto ai disturbi del passato.

Per quanto riguarda i farmaci che ho assunto (fluoxetina) e quelli che assumo (minias), diciamo che tutto è iniziato con una missiva del mio psichiatra al mio medico generico. Da lì in poi, terapia consultiva o no, il mio medico generico non ha mai battuto ciglio nel prescrivermi quel che chiedessi. Recentemente ho sollevato la questione e lui mi ha dato il nominativo di due psichiatri, dicendo che, se per il momento non fossi stata in grado di seguire una terapia consultiva a lungo termine, almeno andare a fare un incontro per rivedere lo schema farmacologico sarebbe stato opportuno.

Lei mi sa dire se il sistema sanitario è in grado di offrire un servizio adeguato?

Nel caso non riuscissi a intraprendere un percorso, dovrei seguire il consiglio del mio medico e far valutare almeno l'aspetto farmacologico?

Grazie di tutto.