Paura e difficoltà a esprimersi

Gentili Dottori,
vi scrivo per descrivervi, per quanto riesca, la mia situazione e attendo un vostro parere. Grazie mille.
Ho difficoltà ad esprimere la mia vera personalità. Ho la sensazione di aver capito che chi sono stato in tutti questi anni in realtà non sia io, ma sia un ''falso me'' che ho io stesso dato per scontato essere me a tutti gli effetti.
La difficoltà ad esprimermi e ad esserci, a sentire, scegliere ed appunto esprimere quel che sono e penso, così come lo vorrei dire mi ha e mi crea problemi allo stomaco che è come se avesse ormai appreso la capacità di ''reprimere'' irrigidendosi così come la schiena e spesso quando riesco a lasciarmi un po andare sento proprio che il corpo è coinvolto un po di più. La voce è un altra componente che sembra non venirmi fuori.
Parlo, ma non come vorrei, riempio spazi vuoti di parole come per timore di poter essere smascherato e che si veda la vera fragilità del mio essere che è opposto forse a quel che mostro. Alla fine di una giornata la stanchezza è tanta e spesso mi sento come se vivessi in un mondo come in un film, faccio la maggior parte delle cose senza pensare al perche lo faccio. Mi ''ritrovo'' in un posto senza sapere davvero perche ci sono andato e se trovo la motivazione spesso, se non sempre, non ha senso.
Allo stesso tempo la paura di esprimerlo mi paralizza e metto in discussione ogni cosa di me, da chi sono, al mio genere, a perchè sono come sono, a cosa voglio..chi voglio essere. La cosa più difficile è realizzare un pensiero logico e mio.
La sensazione è come di essere due persone distinte.
Il vivere le cose ''io'' mi spaventa a tal punto che anche mangiare, bere e defecare sono diventate delle paure.
è come se ''rifiutassi'' quel che entra, non riesco neanche ad aspirare il fumo della sigaretta spesso, è come se il fumo la rifiutasse, volesse buttar fuori. L'idea di poter fare qualcosa e vivere quella paura che non so bene cosa sia si potrebbe paragonare alla paura che prova un bambino nel vivere qualcosa che lo spaventa terribilmente e qualcuno che lo tira, e lui è paralizzato dalla paura e trema mentre si avvicina a quel fuoco.
Passo la maggior parte in casa o in auto, spesso girovagando senza meta. Spesso rifiuto anche l'espressione di me al maschile, come se mi identificassi maggiormente nelle emozioni femminili.
Ho spesso ansia e momenti di ''corto circuito'' dove posso piangere e vivo un sistema di ruminazione costante perchè ormai tutto mi sembra senza senso. Cerco di tirare avanti ma non ho dei sogni, dei pensieri miei, se non quelli di tirare sera, con l'illusione che la vita sia breve e che devo solo pazientare che finisca.
Non avevo mai ragionato come un individuo a se. I miei genitori sono stati e sono tutt'ora molto proiettati su me e mia sorella, con la quale ho poco rapporto.
Ma mi chiedo non ho nessun piacere per la vita? e non ho proprio un minimo di stima di me?
non voglio proprio neanche un briciolo di qualcosa per me?
grazie per un vostro parere.
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro Utente,

ho riletto la sua storia clinica prima di provare a rispondere al suo consulto e non posso fare a meno di notare che, da ormai più di un anno, le sue richieste vanno tutte nella stessa direzione, pur con sfumature a volte differenti.

A me sembra che sia come se lei non riuscisse a fare pace con se stesso, come se non riuscisse a riconoscersi nella sua unità ed unicità, come se gran parte delle componenti della sua identità perdessero confini di senso più per sè che per gli altri.

A partire dalla sua identità sessuale, poco riconosciuta, poco sentita, forse in parte negata, passando poi al rapporto con il suo corpo, con i suoi pensieri, le sue emozioni, le percezioni/dispercezioni di sè, fino ad arrivare alle relazioni con l'altro da sè; tutte queste componenti meriterebbero attenzione clinica, con un collega de visu che possa aiutarla a prendere maggiore coscienza dei suoi veri bisogni e desideri.

Ci aveva scritto in passato di essere seguito da una collega psicologa. E' ancora in terapia? Se sì, che tipo di lavoro state facendo? Si sente "riconosciuto" dalla sua curante.

Un caro saluto.

Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dott. Callina,
la ringrazio per la risposta e per il suo consulto.
Le confermo che è ormai tanto tempo che la cosa si ripresenta e ahimè le cose non si sistemano.
Sono ancora in terapia, si, ma purtroppo le cose non si smuovono; durante le sedute spesso, se non sempre, non riesco a tirare fuori quella parte di me ne riesco precisamente a descriverla. Spesso faccio fatica a parlare, devo trovare il tono di voce giusto e spesso solo alla fine della seduta vien fuori un piccolo frantumo di me, cosi come sono, almeno in parte.
Il tipo di terapia non la conosco. Credo una normale psicoterapia, one to one. Non ho conoscenze in merito.


''A me sembra che sia come se lei non riuscisse a fare pace con se stesso, come se non riuscisse a riconoscersi nella sua unità ed unicità, come se gran parte delle componenti della sua identità perdessero confini di senso più per sè che per gli altri''

le rispondo dicendole che forse (ma non sono competente, ma cerco di risponderle) è come se avessi un mio schema preimpostato di realtà ed un modo preimpostato di come percepire e vivere quelle realtà.
Lo stesso da anni probabilmente.

Faccio fatica a stare con le persone ed ho bisogno anche di un solo minuto di distacco in solitudine, per poi riprendermi e rientrare ( se per esempio siamo ad una cena fuori ).
Spesso cambio persona, situazione, la percezione di me all'interno di un determinato contesto e cambia anche il come percepisco quella realtà. E magari mi ''ritrovo in pizzeria'' a mangiare una pizza..

Passo la maggior parte del tempo da solo e quando sono con altre persone è come se ogni volta che faccio qualcosa sento il giudizio, mi sento osservato e quindi le cose che faccio sono condizionate da ciò che penso, costantemente.
E' - mi creda- una radio che non sono in grado di spegnere.
Spesso ho la netta l'impressione di ''pensare'' quello che di contro stanno pensando i miei interlocutori, sopratutto se sono donne, tanto che mi comporto di conseguenza a quel pensiero. Faccio una cosa e sento il pensiero di questa o quella persona che dice questo o quello su di me. Non sono per forza critiche. Ma questo di fatto mi impedisce di essere li e fare quel che sto facendo al 100%,
Quando invece riesco ( rarissime volte) a farlo entro in uno stato di irrealtà e mi perdo, quindi tendo a rientrare nel Mood.
Ritornando alla voce, per farle un esempio, se una persona di sesso femminile mi para dandomi dei consigli io altro non sento che la voce che ho in testa espressa verbalmente.
E' come se stesse parlando di ''qualcuno''; allo stesso tempo è come se si esprimesse quella voce che mi riempie la testa. Quindi l'effetto è comunque positivo a livello di ''stomaco''.
Però manco io. Io non ci sono.
Spesso rido o scherzo ma dentro muoio, perche non sono li, presente. Probabilmente le persone potrebbero pensare di me che sono una persona piuttosto normale ma mi creda spesso non vedo l'ora di dileguarmi, qualsiasi situazione sia, per il caos che ho in testa. Ho proprio bisogno di staccarmi ed isolarmi per rientrare nei miei pensieri.
Mi creda passare tutta la giornata così è stancante, deprimente e non vedo l'ora arrivi sera per poter rincasare.
Penso la parola giusta per descrivere la mia condizione sia shock. E' come se giornalmente vivessi una realtà fittizia dove io non esisto, se non come espressione di impulsività, unica arma che riesco ad utilizzare per contrastare la situazione.

un cordiale saluto a lei.
e grazie.
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro Utente,

"Mi creda passare tutta la giornata così è stancante, deprimente e non vedo l'ora arrivi sera per poter rincasare."

sono certo di quanto dice.
E' come se lei non riuscisse mai ad essere veramente se stesso e questo non può che essere sfibrante e stancate, fino a farle desiderare di trovarsi da solo con se stesso, per smettere di fingere, anche se forse solo esternamente.
Perchè in fondo, quello che credo, è che una parte di finzione la metta in atto anche con se stesso.

La stanza della terapia dovrebbe essere l'esperienza che le consente di provare ad essere se stesso, almeno lì, almeno con la sua curante e invece lei dice che:
"durante le sedute spesso, se non sempre, non riesco a tirare fuori quella parte di me ne riesco precisamente a descriverla. Spesso faccio fatica a parlare, devo trovare il tono di voce giusto e spesso solo alla fine della seduta vien fuori un piccolo frantumo di me, cosi come sono, almeno in parte."

Questo è un vero peccato, perché dovrebbe essere il punto di partenza per sperimentare un nuovo modo di entrare in contatto con se stesso e con gli altri.

Ha provato a parlare apertamente alla sua psicologa di questa sua difficoltà a tirare fuori quella parte di sé?
Ha provato, magari, a portarle copia delle sue richieste che ha fatto su questo portale? Credo che potrebbero essere un punto di partenza da cui trarre spunto per provare a prendere contatto con il suo vero sé.

Resto in ascolto
Un caro saluto
[#4]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dott. Callina,
grazie per la risposta. Le scrivo oggi perche è successo un episodio che vorrei descriverle ( e vorrei chiederle se in qualche modo secondo lei può essere ricondotto a qualche aspetto del discorso che non comprendo).
Ho avuto una discussione accesa con un ragazzo riguardo pratiche di affitto (rate non pagate) non per conto mio ma per una ragazza che sto frequentando.
E' esplosa la rabbia nei sui confronti ma spropositata rispetto a come avrei potuto gestire la cosa che ( tra parentesi) non mi interessava poi veramente. Risultato tremolio delle gambe e gambe rigide, ansia, stomaco che si è gonfiato a dismisura, sensazione di paura, come quasi fosse più importante fare quella cosa che capire perche la facessi.
Noto che in me vi è una difficoltà ad esprimermi difatti la voce era strozzata ed è come se ora, mentre le scrivo, avessi un fuoco dentro che non so come far uscire. Il rischio e che somatizzi nuovamente accumulando rabbia dentro di me.
Spesso non riesco neanche a parlare ( questo in generale) ed ora soprattutto. Ho bisogno di silenzio, al riparo dal resto.
Ad un certo punto ho quasi pensato di aver bisogno di essere in qualche modo picchiato.. come è possibile questo?
L'idea di colpire un uomo o qualcosa di simile mi immobilizza.
e sarebbe comunque solo un movimento senza coinvolgimento.

la ringrazio se vorrà dirmi la sua a riguardo.
un saluto e buona serata.
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Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Caro utente,

certamente l'episodio che riferisce ha a che fare con il suo modo di entrare in relazione con l'altro da sé. Andrebbero però indagate le motivazioni che l'hanno spinta a reagire in modo, a suo dire, spropositato rispetto alla situazione. Da cosa era spinto? Da un eccessivo senso di protezione nei confronti della ragazza? Dal voler fare una bella figura ai suoi occhi? Dal senso di giustizia? Da qualche atteggiamento del suo interlocutore? Da altri possibili elementi scatenanti? Come può ben capire è difficile ipotizzare, così, a distanza, il vero significato della sua reazione.
È proprio a questo che dovrebbe servire una psicoterapia. A interpretare, con l'aiuto del terapeuta, gli eventi che accadono per comprendere e/o trovare una strategia per far sì che non procurino lo stesso disagio che ha provato oggi.
Per questa ragione la invito di nuovo a confrontarsi apertamente con la sua curante, perchè possa aiutarla a dare un senso agli eventi e, passo dopo passo, trovare un maggiore equilibrio che possa metterla in contatto con il suo vero sé.

Resto in ascolto.
Un caro saluto
[#6]
dopo
Utente
Utente
Gentili Dottori,
vi scrivo a distanza di mesi dalla vostra risposta perchè se pur sto affrontando la cosa con un professionista sembra che la mia situazione stia peggiorando.

Vivo parecchi momenti di ''amnesia'' , non ricordo il trascorso di un ora precedente al ''cambio'' di situazione. Cambia la situazione, cambio io. Non riesco a esprimere in maniera ''ferma'' e vera quello che dico. Quindi questo mi porta a pensare e ripensare se quello che sto dicendo sia vero o meno. E' come se vivessi in uno stato di distacco dalla vera realtà o almeno questo è quello che provo.
La difficoltà ad esprimermi (non sempre sempre ma molto spesso) al maschile sta diventando sempre più difficile, sopratutto se mi soffermo sui concetti che voglio esprimere, mi soffermo su di me. Spesso utilizzo frasi di circostanza per accomodare il discorso, come non volessi davvero affrontarlo.

Ho provato a stare un po da solo ma ricerco la figura femminile che è come se fungesse da senso di dolcezza e mi abbracciasse, è come tramite il rapporto anche di vicinanza con una persona di sesso femminile trovassi il modo di esprimere tramite la persona stessa quel che vorrei forse dire. Sta di fatto che la voce femminile e la presenza mi fa stare bene. Il problema è quando la stessa mi appella al maschile e mi fa domande. Io spesso mi trovo contrarre lo stomaco, vivere una sensazione di tensione, di disagio, di angoscia, mi innervosisco e vorrei urlare ma non riesco.

Il mio stomaco in alcune situazioni è così a pezzi che mi trovo a dover camminare (spesso in casa) con la schiena curva, le braccia lunghe e strisciando i piedi per la stanchezza.

A volte non ho neanche la forza di muovermi e sono molto triste, tanto che l'idea di vivere altre situazioni simili mi mette in condizione di non riuscire ad alzarmi dal letto il mattino, quando, nel mio caso, le forze sono a zero e i muscoli sono ''rilassati'' e devo per forza di cose rimettermi in moto.


Mi sento vittima di me stesso o chiunque io sia, qualcosa prende il controllo di me e spesso mi trovo a fare cose senza un preciso motivo, forse solo per evitare almeno di stare fermo.

Se poteste anche solo darmi un vostro suggerimento. grazie