Come scegliere la terapia più adatta a me?

Salve a tutti, ho 18 anni e da quando ne ho 11 soffro di ansia.

Da poco (circa da settembre), quest’ultima è sfociata in un disturbo di panico che mi porta a mettere in atto condotte di evitamento.

Dal 21 ottobre ho iniziato psicoterapia con una psicoterapeuta che aiutò mia sorella ad uscire dalla depressione, è brava, credo sia molto competente, ma... c’è un ma.

In due specialisti mi hanno vivamente consigliato la Terapia Cognitivo Comportamentale, mentre lei lavora solo con EMDR ed induzione ipnotica.

Io vorrei smettere di usare queste condotte di evitamento, vorrei delle soluzioni concrete per quando sono fuori casa e mi vengono crisi di ansia...
A questo punto mi chiedo se sto sbagliando terapia.

Se mi converrebbe fare TCC o comunque terapie brevi strategiche, al fine di interrompere questo circolo vizioso di evitamento.

C’è da dire che questa psicoterapeuta dista un’ora da casa mia, che devo percorrere con i mezzi pubblici, cosa che odio e che mi mette a disagio (ho fobia di stare male in pubblico e di passare troppo tempo lontana da casa mia).

Vorrei andarci col cuore in pace invece ogni venerdì sera (ci vado il sabato mattina) vivo con l’ansia e la mattina dopo va anche peggio.

Aggiungo che ho iniziato mercoledì a prendere Dropaxin 20 gocce al giorno in seguito ad una visita psichiatrica.

Le mie domande sono:
Che tipo di terapia è consigliata per chi soffre di attacchi di panico, condotte di evitamento, fobie, ansia generalizzata...?

In cosa differiscono l’EMDR e l’ipnosi dalla TCC?

È vero che la TCC funziona per un certo periodo di tempo, ma poi dato che non scava in traumi passati, i disturbi potrebbero ripresentarsi?
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Dr.ssa Paola Dei Psicologo, Psicoterapeuta 305 27 9
Gentile utente
Nel nostro mondo si dice che ogni paziente ha il suo psicoterapeuta. Nel senso che assonanze, dissonanze, empatie e simpatie determinano il gradimento di un paziente verso questo o quel collega.
Le psicoterapie di cui ci parla sono tutte adeguate e non esiste un metro oggettivo, a parte le ricerche scientifiche che danno più o meno le stesse percentuali di riuscita in qualsiasi tipo di psicoterapia. Quando si sviluppa una avversione per il proprio psicoterapeuta non significa automaticamente che la persona non sia competente o che la terapia non stia funzionando. Certe volte infatti il paziente rivive sentimenti negativi che da bambino aveva provato verso figure di riferimento e in questi casi si parla di transfert. Se fosse così, non sarebbe opportuno abbandonare subito la terapia. Anzi é importante parlare con il professionista di ciò che si prova e valutare insieme la questione.
Occorre molta attenzione per comprendere bene se il momento che sta attraversando é arrivato ad una svolta importante o se veramente la persona dalla quale sta andando non va bene per lei. Questo può scoprirlo soltanto lei, esprimendo non sincerità a chi la sta seguendo quello che ha detto a noi. Vedrà che poi decidere se continuare o cambiare percorso le sarà molto più semplice e la risposta arriverà da sola.
Ci faccia sapere

Paola Dei: Psicologo Psicoterapeuta
Didatta Associato FISIG Perfezionata in criminologia
Docente in Psicologia dell’Arte (IGKGH-DGKGTH-CH)

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