Problemi a relazionarmi con i miei coinquilini

Buonasera.

scrivo perché dopo tre anni che vivo fuori casa ho capito di avere qualche problema a convivere con altre persone. Dopo una prima esperienza andata male, decido di prendere una stanza in un convitto, dove conosco la mia attuale coinquilina. A settembre 2020, mi trasferisco con lei. Non mi faccio illusioni, ma la convivenza è bellissima e il rapporto diventa più stretto.
All'improvviso, dopo 8 mesi, lei si chiude in camera, sparisce, finiscono le serate tv, le uscite e parliamo a malapena. Vado in crisi. Tutti mi dicono la stessa cosa: lascia stare. Lascio stare, la ignoro, fisso la porta chiusa della sua camera e poi chiudo la mia. Un mese dopo emerge dalla camera ed è tutto quasi come prima. Passa l'estate. A settembre 2021, un anno dopo, non siamo amiche, però alla fine ci troviamo bene insieme. Di certo, non è come prima.
Poi, un settimana fa, è venuto il tecnico per la manutenzione annuale della caldaia. Il terzo coinquilino è fuori, quindi in casa siamo io e lei. Il tecnico sta mezz'ora a trafficare in bagno, lei non si affaccia nemmeno dalla camera. Blocco l'addetto per chiedere di una perdita della caldaia che ci aveva preoccupato. Inizio una discussione con l'uomo perché per lui non c'era niente di che. Sono in difficoltà, non so che dirgli e se ne va. Passo la giornata a rimuginare.
Il giorno dopo, con calma, dico alla mia coinquilina che avrei gradito che intervenisse, o che almeno si affacciasse ad un certo punto, perché mi trovavo in difficoltà e la caldaia era anche sua. Parte la litigata. Mi dice che non serviva, che non avevo bisogno di aiuto, che fosse stata lei non lo avrebbe voluto. Affermo che non era solo mio compito preoccuparmi, risponde che potevo anche non farlo, poi mi dice che ho "problemi nella comprensione del testo" perché "lui ti credeva, quindi che ti dovevo dire io? ". Le spiego che sì, mi credeva, ma pensava stessi esagerando e che non fosse una vera perdita. Cerco di farle capire che magari sentendo due campane il tecnico avrebbe controllato più a fondo.
Mi agito, vado in ansia, tremo, perché invece di chiuderla con un disaccordo di opinioni, mi insulta, afferma che è inutile che mi prodigo per loro, perché non sono sua madre, né sua sorella, poi mi da della maleducata perché nella foga ho iniziato ad urlare.
Esce e mi dice che riprenderemo il discorso quando sarò calma.
Mi calmo e ci rimango male, perché mi aveva fatto sentire in colpa per i miei comportamenti gentili nei suoi confronti, dicendo che volevo fare la madre dove non richiesto.
"Non puoi pretendere niente da me" ha detto.
Torna a casa, mi urla perché non ho svuotato la lavastoviglie e poi: "Vuoi continuare così? ".
Le dico, calma e senza urlare, che al momento non me la sentivo di parlare.
Urla, mi manda a quel paese e smette di parlarmi.
Non so come approcciarmi a questa cosa.
So di aver sbagliato ad urlare, ma lei, come al solito, continuava a sminuire quello che provavo perché per lei era di poco conto.
Dopo la prima coinquilina, con cui avevo discusso perché mi ero improvvisamente ritrovata a fare la colf, comincio a credere di essere io il problema.
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Dr. Cinzia Cenciarelli Psicologo, Psicoterapeuta 9
Salve.la convivenza non è mai troppo semplice,ognuno ha le proprie abitudini ed opinioni.
Jung diceva: "Poco vale sapere dove l'altro sbaglia, perché li non si può intervenire, interessante diventa sapere dove si sbaglia noi,perché li si può fare qualcosa ".
La comunicazione sembra molto semplice ma non sempre lo è, anzi i segnali paralinguistici sono complicati da gestire.
Magari lavorando sulla consapevolezza di sé stessi e sulla capacità di comunicazione ci permette di trovare soluzioni differenti durante le discussioni che potrebbero così divenire scambi di opinioni e non litigi.

Dr. Cinzia Cenciarelli