Può la morte di un padre portarsi via anche il rancore per lui?

Buongiorno,
con mio padre ho sempre avuto un pessimo rapporto: lui era molto assente e le poche volte che c'era era violento, sia verbalmente che fisicamente (mia madre debolissima di carattere, non aveva proprio la capacità di difendermi).
Una volta l'ho picchiato io per difendere mio fratello più piccolo.
Quando avevo 23 anni me ne sono andato di casa.
Lui allora ha capito che si era comportato male, ha pianto, mi ha chiesto scusa ma a me non interessava nulla, che si arrangiasse lui coi suoi sensi di colpa.

Così vedendolo più raramente (andavo a casa loro 1/sett.
per mia madre, non certo per lui) mi diventò più tollerabile, niente altro.
Ma poi col passare degli anni ho capito che lui era sempre lo stesso: violento, classista, razzista, gretto, solo con meno testosterone... Proprio una brutta persona.
Così pure vedendolo sempre meno, adesso che ho 46 anni siamo ormai a max 1/anno, pure in quelle volte lo disprezzo e so che se si azzardasse a toccare ancora mia madre o addirittura mio figlio non esiterei a pestarlo a sangue, più di quanto feci l'unica volta 25 anni fa.
Mi colpisce il fatto che pur non pensando mai a lui, 2-3 volte l'anno, "dal nulla", la notte sogno di picchiarlo ferocemente, anche se al risveglio la qualcosa non mi faccia sentire né meglio né peggio.

E' l'unica persona al mondo che io abbia mai odiato, soprattutto per quello che mi ha lasciato, ossia: grande senso di inadeguatezza, disistima di me e soprattutto totale mancanza di entusiasmo nei confronti della vita (da ragazzino ero profondamente pentito di essere nato e l'idea del suicidio mi ha sempre accompagnato, sempre).
Solo i miei amici e la mia prima fidanzata mi hanno rimesso al mondo, per la semplice ragione che mi hanno costruito l'autostima partendo da 0.

Ora io sono consapevole che sotto la mia coltre d'indifferenza ancora c'è vivo rancore per lui.
Non lo odio, non gli auguro la morte o la malattia (anche perché non ho alcun desiderio di prendermi cura di lui) però, forse suggestionato dalla letteratura, da tempo ho iniziato a maturare la fantasia che il giorno in cui lui morirà, io mi sentirò più leggero e liberato, magari guarderò perfino alla vita con più entusiasmo (io sono uno Schopenhauer-iano...).

Pensate che la mia sia appunto solo un'autosuggestione oppure è un speranza lecita?
Avete mai sentito di qualcuno che dopo la morte di un congiunto a preso a vivere più serenamente?


Grazie mille e cordiali saluti.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 186
Gentile utente,
in genere la morte del congiunto per il quale nutriamo astio, se nell'immediato ci libera da certe oppressioni, nel tempo ci permette di vederne la comune umanità e ci fa riflettere sulle nostre reazioni talvolta inadeguate nei suoi confronti.
Per questo noi psicologi suggeriamo di cercare la serenità di questa visione "da lontano" per tempo, sia allontanandoci, come ha fatto lei, sia elaborando il trauma che abbiamo subito, fino alla meta ideale, non sempre raggiungibile, di poter parlare pacatamente con la persona in questione delle sofferenze che ci ha inflitto.
Detto questo da psicologa, mi permetta una piccola osservazione da prof di filosofia: Schopenhauer amava molto suo padre, e fu devastato dalla sua morte precoce, avvenuta tra l'altro in circostanze molto dubbie.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Sono ragionevolmente certo non vedrò mai più umanità di quanto ne abbia vista finora. Anzi: da quando ho un figlio (ora quasi 7 anni), e nonostante mio padre lo veda quasi mai, il disprezzo è sempre lentamente ma inesorabilmente aumentato, perché mi salta all'occhio come tante cose per me scontate (quotidianamente giocarci insieme, leggere favole, portarlo in piscina, parlarci, ecc.) per lui fossero completamente estranee, perfino su mia esplicita richiesta, 0.
Io non mi pentirò mai di non averlo apprezzato a sufficienza, di non aver almeno provato a recuperare il rapporto quando era vivo o cose del genere. Lo so.

Grazie per questa perla di cultura: ignoravo/ignoro completamente la situazione familiare di Arturo, ma io mi riferivo solo alla sua filosofia del mondo come volontà e rappresentazione. Anche io credo che la vita sia una forza tanto inestinguibile quanto a noi estranea e cinica, beffarda ed egoista. E il sistema di ideale stoico-aristotelici che perseguo, l'unica cosa per cui m'illudo valga la pena vivere (io morirò ma l'ideale vivrà per sempre, anche quando il genere umano dovesse estinguersi), in realtà sono consapevole è solo una barzelletta che mi racconto per tenermi (tanto tanto tanto faticosamente) in piedi. Per spiegare questa apparente incoerenza, quando mi capita di parlarne, dico che sono come taluni che pur sapendo che la fidanzata in realtà sta con lui "tanto per" senza esserne innamorata (glielo hanno già detto gli amici, l'ha capito pure lui, magari gliel'ha detto lei stessa)... si ostina a far finta di non vedere e continua a farsi un film tutto suo nella testa. Questa è la mia vita.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 186
Gentile utente,
mi tenta a discorsi filosofici, e quindi chiedo se non abbia una visione un po' riduttiva del grande, rasserenante pensiero stoico (perché poi abbinarlo ad Aristotele, quando il modello di Zenone e Cleante era Socrate?) per nulla illusorio nella sua visione della realtà.
Tornando al mio ruolo di psicologa, avverto una profonda amarezza e direi una volontà di vendetta ritorta su lei stesso, tra l'altro estranea al pensiero di Schopenhauer (veda i testi che lo hanno reso ricco e apprezzato in brillanti circoli intellettuali, come "Aforismi sulla saggezza del vivere", "L'arte di trattare le donne", etc.). Del resto è stato giustamente detto che nessun pensatore può essere pessimista, altrimenti sarebbe privo di quella visione ampia e serena che è la premessa di ogni elaborazione filosofica.
Venendo a lei, caro utente, il trauma complesso che ha subìto rappresenta una sorta di velo di Maya al contrario, usando una metafora che le è congeniale: quello che nel pensiero di Schopenhauer è lo scenario ingannevole e ridente della natura, in lei è ugualmente uno scenario ingannevole, ma fatto di una visione ossessivamente malevola della realtà.
I nostri "veli" mentali, studiati dalla psicologia (veda i "costrutti personali" di Kelly), possono essere plastici o rigidi, permettendo a chi ne è portatore una visione più o meno adeguata e in ultima analisi determinando il benessere o la malattia.
Proprio perché comprendo la sua attuale, profondissima amarezza, la inviterei a ripensare a quanto ho scritto nella prima risposta, e non solo per poter vedere suo padre sotto diverse angolature, ma per uscire almeno in parte dai condizionamenti che suo padre le ha inflitto in tenera età e continuano ad operare in lei come delle catene, le quali rimangono più che mai salde anche se il carceriere è morto e non è più possibile trovare la chiave.
Perché tenersi "tanto tanto tanto faticosamente in piedi" e doversi fare "un film tutto suo nella testa", quando un buon percorso psicologico restituirebbe a lei e a tutti quelli che ha intorno -suo figlio per primo- un uomo che è passato tra le fiamme ma è riuscito a rivedere il cielo?
Le faccio tanti auguri.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#4]
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Utente
Utente
Grazie ancora dottoressa, devo confessare che leggere le sue risposte mi costringe ad appellarmi a tutta la mia limitata cultura e capacità di comprensione giacché a differenza sua, io sono solo "un amatore" della filosofia.
Citavo Aristotele con specifico riferimento alle virtù di temperanza, lealtà, rettitudine, determinazione. Lo stoicismo poi, mi sembra si sia declinato in diverse scuole e approcci al reale. Io prediligo grandemente quello di Marco Aurelio, più serioso (mi è invece abbastanza insopportabile Seneca che sembra voler buttare tutto sul ridicolo).

Tornando a me, il mio "velo di maya al contrario" credo sia una conseguenza di di considerazioni anche piuttosto semplici (in ordine sparso):
- nessuno ha mai risposto alla domanda di Leibniz "perché l'Essere?";
- una tristezza consapevole e pienamente accettata garantisce più pace interiore di qualsiasi speranza o progetto positivo. La rassegnazione: questa grande svilita e sottovalutata;
- se io fossi già morto non sentirei la mancanza di nulla, non parliamo se non fossi neanche nato..!
- l'unico motivo per cui non mi suicido, pur non essendo credente, è che magari per qualche motivo che non posso neanche immaginare, la violenza su se stessi abbia conseguenze negative anche dopo la morte. Una sorta di "scommessa di Pascal" in chiave laica/fisica quantistica, per cui ormai tanto vale rimanere, se tutto va come previsto avrò sofferto inutilmente per un'ottantina d'anni, che non sono nulla rispetto all'infinito.

La sua ipotesi di "vendetta su me stesso" invece trovo non mi fotografi assolutamente, non credo nessuno meriti il male, neanche me stesso, non ci penso proprio. Altra divagazione sul tema: anche perché io non credo alla libertà personale, semmai al momento del Big-bang era già determinato che io adesso le stia scrivendo questo post.

Però vabbe', lei mi ha già spiegato che la morte dei congiunti favorisce al limite la revisione con maggiore comprensività della persona che non c'è più (ma questo le assicuro io non succederà) e non era/è mia intenzione prendervi tempo col mio nero. Solo per compensare parzialmente la voglio informare che nonostante è da quando avevo al più nove anni che desidero essere vecchio (guardavo mia nonna materna, così serena, con tanta invidia) o morto, è una vita che inspiegabilmente mi dicono che sono proprio una persona positiva, con un sorriso solare, che dimostra dieci anni in meno di quelli che ha. Quando avevo vent'anni anni mi sono tatuato un jolly che piange, per far sapere che non sono quello che credono. Mi sembra di urlare in una stanza insonorizzata da una vita.
Ma io stesso tornando da una corsa o nuotata, o dopo una bella lettura, o la musica, non di rado mi sorprendo a sorridere e allora mi chiedo "ma che cavolo hai da sorridere? non c'è niente da ridere!". In quel tempo anche io lavoravo in zona Stazione Centrale, mi chiedo perché Kabobo la picconata in testa non l'abbia data a me.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 186
Gentile utente,
stavolta non mi lascerò trascinare troppo dalle sue interessanti riflessioni filosofiche, perché le cose che dice allertano in me la psicologa.
Per esempio: "una tristezza consapevole e pienamente accettata garantisce più pace interiore di qualsiasi speranza o progetto positivo"; "mi sorprendo a sorridere e allora mi chiedo "ma che cavolo hai da sorridere? non c'è niente da ridere!""; infine il grande travisamento dello Stoicismo (en passant, anch'io prediligo Marco Aurelio): "io non credo alla libertà personale, semmai al momento del Big-bang era già determinato che io adesso le stia scrivendo questo post".
Tutte queste sono autoprescrizioni di pessimismo e mutilazioni dell'autoefficacia.
Qui non dirò altro, ma in un percorso psicologico riuscirebbe a capire quale funzione e quale valenza abbiano queste frasi.
La riflessione "l'unico motivo per cui non mi suicido, pur non essendo credente, è che magari per qualche motivo che non posso neanche immaginare, la violenza su se stessi abbia conseguenze negative anche dopo la morte" desta una suggestiva eco perché sono le medesime parole pronunciate da Amleto.
Ma ecco la frase che dice tutto: "Mi sembra di urlare in una stanza insonorizzata da una vita".
Se ama la filosofia non può rinunciare al cuore stesso della filosofia, che è la ricerca della verità: provi quindi a leggere, anche online, che cos'è il trauma complesso e quali sono i suoi effetti.
Tenga conto che quando le dicevo di cercare la guarigione anche a vantaggio di suo figlio, avevo presente che al di là di tutti i sorrisi e le affettuosità poste in essere, c'è sempre il rischio della trasmissione transgenerazionale del trauma.
Le faccio sinceri, affettuosi auguri, ricordandole che lei non ci ha scritto perché questo fa parte del destino immutabile, ma a causa di quella libertà che gli Stoici attribuivano alla ricerca del Bene.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#6]
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Utente
Utente
Chiedo scusa per la precedente divagazione, in effetti per quanto i "Pensieri" di Marco Aurelio mi siano tanto cari, lo Stocismo ha il "difetto" di riconoscere la libertà.
Io invece penso che come l'acqua non può scegliere a che temperatura bollire, Saturno su che ellittica orbitare, i miei neuroni non possono scegliere quali reazioni biochimiche stabilire con quale altro neurone (e mi creda: m'indispettisce stare con Lutero).
Si, ho letto Amleto, e in effetti avevo quasi dimenticato quel passaggio che credo fosse nei primi capitoli; riconosco le mie parole non sono poi tanto diverse dalle sue... Ma Amleto non muore suicida dopotutto.
Ho appena letto questo https://www.aisted.it/trauma-complesso e confermo che si: presento oppure ho presentato in passato i 3/4 dei sintomini descritti.
Si, effettivamente da prima che concepissimo ho timore di trasmettere il mio nero a mio figlio, ma poi mi è venuto naturale a parlare, cantare e fare cose con lui quando era ancora in pancia e non ho ancora smesso. A detta di chiunque, dal nido fino alle attuali elementari (sport, vacanze, amici, ecc.), lui è il ritratto della serenità e socievolezza (sarà merito della mamma... ed è pure sveglio!). Nonostante questo ogni tanto ci penso che per lui e solo per lui farei bene a intraprendere un percorso terapeutico, perché anche se adesso va benissimo perché tra 5-10 anni sarà ben più dura di adesso. Ma per alcuni motivi in concreto non lo faccio:
- i soldi che richiederebbe;
- i tempi 10-20 anni che richiederebbe mi scoraggiano;
- ho già deciso che a settembre voglio ricominciare yoga, inoltre la poca meditazione Vipassana che pratico, quando la pratico qualche settimana consecutiva, avverto che mi alleggerisce sensibilmente (e infatti sospendo);
- mi piacerebbe di più un consultorio filosofico. Il mio desiderio irrealizzabile è stare chiuso in una stanza col prof. Vito Mancuso e non uscirne finché lui non mi ha convinto della solidità del suo ottimismo ovvero io lui della ineludibile mancanza di senso del creato.

Ancora cordialità.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 186
Gentile utente,
come sa, l'acqua bolle a temperature diverse a livello del mare e a 5000 metri d'altezza, e sull'orbita dei pianeti la teoria di Keplero non è più indiscussa, ma il punto non è su questioni di fisica: in neurobiologia l'affermazione: "i miei neuroni non possono scegliere quali reazioni biochimiche stabilire con quale altro neurone" è falsa.
Basta bere una bevanda alcolica, prendere una droga o una medicina, osservare le nostre reazioni emotive ad una notizia bella e a una brutta o a certi comportamenti: far l'amore, ad esempio, provoca reazioni diverse dal venir picchiato, e possiamo renderci conto di un effetto che il più delle volte è direttamente o indirettamente determinabile da noi stessi.
Il tema della libertà è il più affascinante enigma della filosofia. Rimane però prioritario quello della verità, e a mio parere è bene preservare quelle poche verità cui abbiamo accesso, ossia, per dirla con Leibniz, le "verità di fatto".
Ora lei scrive che farebbe bene ad intraprendere un percorso terapeutico, ma poi resiste con motivazioni che in parte sono false: vediamole una per una.
1 La spesa. Si buttano i soldi in tante sciocchezze, e poi esistono percorsi gratuiti o quasi, alle ASL, nei Centri di Salute Mentale, presso le Scuole di formazione degli psicoterapeuti.
2 I tempi di 10 o addirittura 20 anni. Ma dove, nella terapia dell'Uomo dei Lupi, di freudiana memoria? Oggi una terapia lunga non dura più di tre anni (ce n'è di validissime che durano tre mesi o perfino le terapie a seduta singola, ma non riguardano casi come il suo), e comunque ogni professionista, per legge, deve grosso modo indicare tempi, spesa, esito prevedibile.
3 Yoga e meditazione Vipassana: benissimo. Ma il limite che rivestono nel suo caso l'ha diagnosticato da sé: "quando la pratico qualche settimana consecutiva, avverto che mi alleggerisce sensibilmente (e infatti sospendo)". Non è solo una simpatica battuta la sua, caro utente.
4 Il "consultorio filosofico" esiste (veda in rete Gerd Hachenbach; l'anno scorso ho tenuto su questo, e sulla Psicologia Positiva, dei corsi online per l'Unitre su scala nazionale). Nella sua città c'è anche un Istituto dedicato al counseling filosofico, ma ho delle motivate remore sul counseling condotto da non psicologi.
Il prof. Vito Mancuso merita una nota a parte. Perché non prova a chiedergli un incontro?
Caro utente, ripeto che se ci ha scritto è perché qualcosa di nuovo sta nascendo in lei, ed è in sua facoltà assecondare o buttar via le risorse che ne possono scaturire.
Per concludere le dirò che l'ingrediente fondamentale del successo di una terapia è la volontà del paziente di affrontarla.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#8]
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Utente
Utente
E cosa stabilisce se adesso bere una bevanda alcolica ovvero andare a corrrere, se non una precedente reazione biochimica, che a sua volta è stata stabilita da una precedente reazione biochimica, e così indietro fino ad Adamo ed Eva. E anche se la droga me la somministrano con inganno, cosa ha deciso che l'ingannatore dovesse ingannarmi se non una sua reazione biochimica?
Una volta ho ascoltato un'intervista di Terence Hill che spiegava come nascevano le loro esilaranti scazzottate nei film, per me fu illuminante. Allo spettatore sembrava un caos inenarrabile, invece per loro era come un balletto: cattivo 1 si lancia con la fune, Terence Hill schiva, il cattivo finisce contro il muro, cadendo fa ribaltare un tavolo, che lancia cattivone 2, che atterra davanti a Bud Spencer, che gli tira un cazzotto e lo manda contro cattivone 3, ecc. ecc. A noi sembra un caos inenarrabile, alcuni hanno più consapevolezza di altri del balletto invece, ma sempre di causa-effetto si tratta. E' l'Essere che al momento del Big Bang (per non dire prima ancora) ha stabilito la coreografia. E io e lei "siamo". Come i cavalloni del mare: montano, corrono, s'infrangono, rifluiscono, senza mai smettere di essere mare; sarebbe ridicolo se essi, per assurdo, prendessero a pensare di essere "di per sè".

1) caso vuole oggi devo andare dal mio medico, mi farò prescrivere un nuovo tagliando presso il consultorio psichiatrico (l'ultimo lo feci a gennaio '20 e mi diagnostico una lieve forma di depressione e narcisismo). Quanto alle spese inutili: devo comprarmi un paio di scarpe nuove perché quelle che ho sopo quindici anni la suola si è consumata fino ad arrivare al tallone. Le uniche spese che faccio per me (sempre con oculatezza) sono per lo sport e i libri (evito anche di uscire la sera). Per farle capire quanti soldi io spenda in "sciocchezze" (ora però non mi offenda sospettando io mi sia offeso per la sua, in generale, giusta osservazione :-)).
2) Anche 2-3 anni è una spesa non da poco...
3) Forse non mi sono spiegato bene: la mia non era una battuta: smetto perché sentendomi meglio valuto che posso sospendere e dedicare il mio tempo serale ad attività più "divertenti", ossia leggere (sono un poco compulsivo sulla lettura, lo so), anche se in fondo so che è sbagliato perché quel benessere richiede pratica costante per essere mantenuto.
4) Adesso scrivo al prof. Mancuso, vediamo se la coreografia generale disposta dall'Essere prevede che egli mi risponda...

Altro che "qualcosa di nuovo sta nascendo": tra lei e la mia amica che settimana scorsa mi ha indirettamente spinto a scrivere qui, in questi giorni mi trovo in piena "crisis".
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 3.8k 186
Gentile utente,
le crisi sono momenti da sfruttare, è dimostrato che sono come il calore per la candela di cera: rendono fluido e malleabile quello che sembrava fissato una volta per tutte.
Dal suo medico si faccia prescrivere anche sei sedute dallo psicologo delle ASL o del Consultorio: è in sua facoltà farlo, se non ha troppa paura di qualcuno che anziché pillole le può fornire spunti di riflessione.
Le auguro ogni bene. Da qui per ora non possiamo fare altro, ma saremo sempre lieti di avere sue notizie.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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