Malati di droga. Parte I

Quali sono le motivazioni che spingono all'uso della droga?

Perché si comincia ad usare una droga? Una prima risposta può essere ricavata da una semplice riflessione sulle esperienze dirette o indirette che ciascuno di noi, nessuno escluso, ha in proposito. Molti hanno fumato la prima sigaretta o bevuto il primo bicchiere di vino da bambini, nella propria abitazione e di nascosto dai genitori. Altri lo hanno fatto assieme agli amici, talvolta provando anche droghe proibite, seppure ai limiti della legge, come la marijuana. Con la cocaina e con l'eroina questo tipo di incontro è, per fortuna, meno frequente ed avviene generalmente più tardi.

Chi non ha vissuto queste esperienze oppure non vi ha assistito da vicino? Analizzandole attentamente è facile comprendere quanto siano complesse le motivazioni che spingono ad usare una droga. Proviamo ad elencarle, cercando di vederne le varie sfaccettature.

Motivazioni che spingono all'uso della droga

La naturale curiosità che si prova per tutto ciò che è nuovo, specie se è proibito. Il valore simbolico di comportamenti che per il bambino ed il giovane rappresentano l'iniziazione al mondo degli adulti. I due temperamenti fondamentali dell'uomo, che per strade diverse portano o al capo branco, che si impone sfidando il pericolo e le leggi, oppure al gregario, che lo imita per essere accettato in un gruppo dove si sente più sicuro che da solo. Un atto di ribellione verso la famiglia e la società oppure, viceversa, la ricerca di un sostegno nel caso di difficoltà scolastiche o lavorative. Può trattarsi ancora della pillola che aiuta a stare svegli, a dimagrire, a superare una gara difficile. La ricerca di una creatività artistica che si sta inaridendo o, più banalmente, la noia e l'insofferenza per l'ambiente nel quale si vive.

Un’altra motivazione, talmente importante da meritare una trattazione a sé, è rappresentata dalle malattie fisiche e mentali alle quali le droghe possono offrire un sollievo, anche se pagato a caro prezzo. Indipendentemente dalla motivazione iniziale, in un secondo tempo subentra la tossicodipendenza, che consiste nel bisogno compulsivo di assumere una droga non tanto per riprodurne gli effetti iniziali, quanto piuttosto per compensare la carenza del suo corrispettivo endogeno. Questa motivazione prevale su tutte le altre, moltiplicando gli effetti anche di quelle che di per sé sono troppo deboli o fugaci per agire da sole, come la libera disponibilità della droga, sotto forma di sigaretta o bevanda alcolica nella propria abitazione, oppure della marijuana, della cocaina e dell'eroina in particolari circuiti. Chi sostiene la liberalizzazione della droga deve tener conto di questo dato.

Fin qui ci troviamo di fronte a motivazioni generiche, che intervengono anche in altre circostanze. La curiosità del bambino, che maneggia incautamente oggetti pericolosi, come un’arma da sparo. Le sfide motoristiche, spesso mortali, del sabato sera. La moda e l'imitazione di personaggi carismatici, che spingono moltitudini di giovani a vestirsi ed a gesticolare nella medesima maniera, spesso ritrovandosi tutti insieme in uno stadio o in una sala da ballo. Le sette esoteriche, nelle quali molti cercano rifugio. La ricerca affannosa e spesso irrazionale, infine, di un rimedio qualsiasi da parte di chi è afflitto da una sofferenza fisica o mentale. Questa riflessione non deve portare a sottovalutare le motivazioni che spingono verso la droga, ma al contrario mostra che esse sono in gran parte radicate nella natura stessa dell'uomo. Contrastandole in modo generico si rischia addirittura di rafforzarle. Questo è ad esempio il caso delle campagne educative che, mettendo l'enfasi sulla pericolosità della droga, possono accrescerne il fascino agli occhi del giovane che la vive in chiave di trasgressione, di ribellione contro la società, di affermazione della propria personalità e del proprio coraggio.

Qualunque sia la motivazione iniziale, il quadro cambia quando la droga comincia a manifestare i suoi effetti. All'inizio può trattarsi di una sorpresa sgradevole. Chi non ricorda la nausea, i giramenti di testa, le palpitazioni provocate dal primo bicchiere di vino o dalla prima sigaretta? Con altre droghe i disturbi possono essere molto più accentuati. Eppure, essi raramente trattengono dal riprovare, anche perché vengono spesso considerati una manifestazione di debolezza, che va nascosta e superata. Già la seconda volta gli inconvenienti si attenuano, poi scompaiono. E' allora che si manifestano, in tutta la loro forza, gli effetti caratteristici della droga.

Classificazione delle sostanze

Per arrivare subito al nocciolo del problema, lo affronteremo partendo dalla classificazione che, partendo dagli effetti mentali delle droghe, le riconduce a tre grandi classi.

Morfinici

Comprendono tutte le droghe che calmano, rasserenano, leniscono le sofferenze fisiche e mentali, attenuano il peso dell'esistenza. I veri e propri oppiacei, inoltre, influenzano anche il sistema nervoso autonomo, che presiede funzioni vegetative come la digestione, la respirazione e la circolazione del sangue. Ne attivano soprattutto la parte colinergica, che prevale durante il sonno ristoratore, l'assimilazione dei cibi e, in senso più generale, nella fase di recupero delle proprie forze.

I loro effetti rasserenanti soddisfano un bisogno, radicato nella stessa incertezza insita nella condizione umana, che si esaspera nelle difficoltà. Rappresentano il sogno che la felicità, intesa come oblio, come animo sgombro dagli affanni e dalle preoccupazioni terrene, possa essere procurata da una pozione o da una pillola.

Omero chiamava l'oppio ‘nettare degli Dei’, un nettare che l'uomo ha sempre inseguito, scoprendo poi invariabilmente che era avvelenato. Ha quindi cercato di liberarlo dalla componente dannosa, ma questa è insita nelle caratteristiche che lo rendono desiderabile. E' la storia degli innumerevoli succedanei dell'oppio e della morfina, come la meperidina, il fentanyl, il metadone e la stessa eroina, che alla lunga si sono rivelati altrettanto o più temibili. L'uomo si è anche rivolto a surrogati meno potenti o meno selettivi, come l'alcol, fino ad arrivare ai moderni psicofarmaci ad azione tranquillante e ansiolitica.

È possibile che questa rappresentazione schematica scandalizzi qualcuno, ma essa non è priva di una base scientifica. D'altronde, non è forse vero che i moderni psicofarmaci al loro primo apparire sono spesso annunciati come ‘pillola della felicità’? Una pillola che è più sicura del nettare degli dei, ma ne rappresenta un pallido e sbiadito surrogato.

Psicostimolanti

Comprendono la coca, la cocaina che ne costituisce il principale ingrediente attivo, la sua forma conosciuta come crack, nonché altri psicostimolanti accomunati da effetti sul sistema neurovegetativo che, diversamente dagli oppiacei, si traducono in una stimolazione della parte adrenergica. Alcuni sono di origine naturale, come la Catha edulis o khat, altri sintetici, come l'amfetamina ed i suoi numerosi congeneri e derivati. Rientrano inoltre in questa classe alcuni stimolanti blandi, come il tè ed il caffè, e per alcuni versi le droghe ad azione mista, o disinibente, come la nicotina e l'alcol.

Gli psicostimolanti eccitano, rendono più rapidi ed efficienti i processi mentali ed attenuano la fatica, la fame e la sete, consentendo così di sostenere sforzi che sarebbero altrimenti impossibili. Hanno inoltre un'azione analgesica, ma diversa da quella degli oppiacei: mentre questi ultimi cancellano il dolore, gli psicostimolanti lo soffocano nell'eccitazione della lotta, durante la quale non c'è tempo per pensare alle ferite.

Mentre i morfinici sono le droghe di chi cerca la pace interiore e l'oblio, gli psicostimolanti sorreggono chi ama la lotta, chi nella vita cerca di affermarsi sugli altri.

Psichedelici

Sono anche chiamati allucinogeni, sebbene le allucinazioni siano solo una delle manifestazioni dei loro effetti. Comprendono la mescalina, la psilocibina, l'LSD e altri composti naturali e di sintesi, ma molte altre sostanze possono esercitare, specie a dosi elevate, gli effetti tipici di questa classe di droghe: l'amfetamina, la L-DOPA (che normalmente è impiegata nel trattamento del morbo di Parkinson), lo stesso oppio, la Cannabis indica, la scopolamina e l'atropina.

Queste ultime sono i principi attivi dell'Atropa belladonna, della Datura stramonium e di altre piante, nelle quali è abbastanza facile imbattersi nei terreni incolti.La loro caratteristica distintiva è di svincolare dal contatto con la realtà, quella che percepiamo attraverso i sensi e possiamo toccare ed influenzare con le nostre mani, consentendo così alla mente di avventurarsi liberamente nello spazio e nel tempo.

Gli agenti psichedelici conferiscono poteri straordinari, negati all'uomo comune, che sono stati variamente utilizzati per formulare gli oracoli, per percepire fenomeni subliminali (la cosiddetta ‘percezione extrasensoriale’), per aumentare o ripristinare la creatività artistica. Qualcuno ha cercato di sfruttarli, peraltro con pessimi risultati, per curare alcuni disturbi mentali legati a traumi pregressi e sepolti nel subconscio. L'idea era che queste droghe potessero riportarli alla luce, così come fa la psicanalisi. Le sensazioni procurate dagli allucinogeni sono paragonabili ad avventure in mondi sconosciuti e vengono anche chiamate ‘viaggio’, o trip.

Alcuni agenti psichedelici riproducono abbastanza fedelmente i sintomi di alcune malattie mentali, altri no. Per esempio, l'intossicazione da amfetamina è contraddistinta da uno stato confusionale e da allucinazioni uditive simili a quelle che si osservano in alcune fasi della schizofrenia. L'LSD produce invece allucinazioni prevalentemente visive.

Pur nell'ambito delle diversità qui delineate, tutte le droghe hanno in comune una caratteristica basilare, consistente nella capacità di disattivare i meccanismi che controllano e mantengono entro limiti fisiologici alcuni importanti processi mentali. I morfinici riducono la percezione di alcuni segnali d'allarme a contenuto spiacevole, come il dolore, l'ansia e la paura, che l'organismo attiva quando viene a contatto con situazioni avverse: la fiamma del fuoco, che può ustionare; un acido caustico, che può erodere i tessuti; uno sforzo fisico eccessivo, che rischia di sfiancare il cuore; un impegno lavorativo superiore alle proprie forze; la perdita di una persona cara, che lascia soli ed indifesi. Oltre che di un fatto reale, può trattarsi del suo timore o della sua aspettativa. Queste droghe procurano un senso di sollievo non eliminando le avversità, ma riducendo la percezione della loro pericolosità.

Gli psicostimolanti disattivano invece il segnale d'allarme costituito dal senso di fatica, di fame e di sete. Esso avverte l'organismo che si deve fermare, che deve ricostituire le sue risorse energetiche e idriche. Queste droghe, inoltre, riducono la percezione del dolore, anche se con un meccanismo diverso da quello degli oppiacei. In questo modo gli psicostimolanti consentono di sostenere sforzi che sarebbero altrimenti impossibili, ma espongono al rischio di abusare delle proprie forze senza rendersene più conto.

Per svolgere un ruolo difensivo, i segnali d'allarme fisiologici che vengono disattivati dalle droghe devono lanciare un messaggio sgradevole, in sintonia col pericolo del quale rappresentano l'avvertimento; allo stesso modo i segnali d'allarme artificiali, costruiti dall'uomo contro i furti e le rapine, non consistono certo in un brano di musica classica, ma nel suono assordante di una sirena. Gli effetti piacevoli dei morfinici e degli psicostimolanti sono quindi la conseguenza della sgradevolezza del segnale d'allarme che essi interrompono o attenuano.

Analoghe considerazioni possono essere fatte per gli psichedelici, che consentono alla mente di svincolarsi dai limiti ristretti entro i quali è normalmente confinata: sebbene tali limiti possano essere percepiti psicologicamente come una prigione, come una restrizione della libertà, essi segnano i confini del terreno sul quale la mente può muoversi senza correre rischi eccessivi.

Quella fin qui delineata è la caratteristica centrale delle droghe, il motivo fondamentale che spinge ad usarle. Ne derivano una serie di sensazioni ed effetti da un lato pericolosi, ma dall'altro piacevoli e, talvolta, anche utili. Questo è ad esempio il caso di un grave dolore fisico o della disperazione per la perdita di un famigliare, che oltre certi limiti di tollerabilità oscurano la mente, paralizzano e tolgono la voglia di vivere. L'utilità delle droghe si manifesta anche nel caso di persone nelle quali i meccanismi fisiologici d'allarme o di difesa prima descritti siano patologicamente ipersensibili, così da attivarsi anche quando non è necessario. Sono i soggetti emotivi, apprensivi, quelli che si preoccupano di tutto e vanno facilmente incontro a forme fobiche, come la claustrofobia e l'agorafobia, oppure depressive. In questi casi il ricorso alla droga rappresenta un tentativo di auto medicarsi, di correggere la propria anomalia costituzionale.

Guai, tuttavia, se i segnali fisiologici d'allarme e di difesa vengono disattivati solo per nascondere le difficoltà della vita, per non affrontarle. In questi casi la droga conduce di per sé, indipendentemente dai suoi effetti collaterali, ad un paradiso artificiale che finisce per aggravare le difficoltà. Oppure, essa determina una pericolosa sopravvalutazione delle proprie forze, che induce a commettere atti inconsulti e pericolosi. O, ancora, fa confondere l'immaginazione con la realtà.

E' facile capire, a questo punto, quanto sia tenue il confine tra uso ed abuso della droga. La differenza è spesso determinata dalla dose, dall'ambiente, dal contesto sociale, da fattori costituzionali. L'uso accorto di una droga può rendere più sopportabile la vita e perfino, in determinate circostanze, salvarla; il suo abuso la distrugge.

La linea di demarcazione tra uso ed abuso della droga è tenue, ma non manca certo la possibilità di individuarla.

In primo luogo esiste un sostanziale accordo sul fatto che alcune droghe, come gli psichedelici attualmente disponibili, sono intrinsecamente pericolose. Di conseguenza esse vanno bandite anche dalla sperimentazione terapeutica sull'uomo, limitandone l'impiego alla ricerca scientifica di base.

All'altro estremo si trovano le bevande alcoliche, e qualche altra droga, per le quali è possibile definire un margine di impiego ragionevolmente sicuro in quanto sono conosciute ed usate da tempi immemorabili.

In mezzo ci sono quelle da usare con grande cautela, sotto un rigido controllo medico, oppure da rendere più sicure con interventi non facili, ma possibili. In questo modo stiamo tuttavia anticipando alcune conclusioni, che affronteremo a parte.

 

Bibliografia

Questo articolo è tratto dal libro Malati di droga, pubblicato in edizione elettronica prima inglese, poi italiana:

Silvestrini Bruno. Drug Sickness, Ed. Lambert, Academic Publishing (2014)

Silvestrini Bruno. Malati di droga. (2017)

 

Data pubblicazione: 08 maggio 2017

Autore

brunosilvestrini
Prof. Bruno Silvestrini Farmacologo

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1955 presso Università di Bologna.
Iscritto all'Ordine dei Medici di Roma tesserino n° 14314.

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