Sono preoccupato di iniziare a prendere il trittico, ma non so se sia un errore

Salve, scrivo perché nell'ultimo controllo il medico psichiatra che mi segue mi ha palesato la volontà di prescrivermi il trittico, ma sul momento ho rifiutato la prescrizione per paura.
Mi ha prescritto da un mese e mezzo cipralex 10mg, lyrica 150 mg (da 1 settimana tavor 1mg al bisogno).
Nell'ultimo mese è successo un evento sul lavoro che mi ha fatto sentire molto "a rischio" e che il giorno dopo mi ha sfogato in uno stress molto importante.
Ho avuto un attacco di panico che mi ha portato in PS a fine luglio.
Ho avuto molta ansia e altri due attacchi di panico, uno lunedì 11 e uno Venerdì 15 in due situazioni diverse... Ad oggi il mio sonno credo che si sia un pò "guastato" da circa 1 settimana.


Ho paura ad assumere anche trittico.
Mi chiedo quanto tempo lasciar passare tra ogni medicinale.
Ho paura di non sentire la sveglia se lo assumo o di essere "sedato" la mattina.
ho paura che se qualche sera esco con gli amici e faccio tardi, poi dovrei assumerlo magari alle 3 di notte e dopo poche ore potrei non averlo smaltito, risultando appunto "sedato" o un pò intontito... ho paura di aver meno controllo della mia "vigilanza" e che le persone (o una potenziale partner) siano disincentivate dal volermi conoscere o avermi intorno se magari ho momenti del giorno dove non sono "presente" o se poi dico che assumo tutti questi medicinali.
Può aver senso, o sto andando contro un muro?


Il precedente psichiatra mi prescrisse 3 anni fa zoloft 100mg e lyrica 75mg.
Per più di sei mesi ho mantenuto il dosaggio di 50mg e poi nel giro di due settimane me l'ha fatto eliminare a Maggio, mi ha mantenuto solo il lyrica.
Mi sentivo bene.
A Giugno ho cambiato medico perché mi sono trasferito in altra città.
Contestualmente sono 3 anni che seguo con cadenze regolari e frequenti sedute di terapia cognitivo comportamentale.
La psicoterapia mi è sembrata efficace.

Ho ricostruito la mia storia e compreso meglio i miei sentimenti scomodi, giudicandoli sempre meno e "esprimendoli" di più.
Inizialmente avevo ansie molto forti che, dopo essere state ascoltate, si sono acquietate e ho sperimentato una depressione.
Il percorso mi ha aiutato ad assumermi più responsabilità e notare quali sono i miei comportamenti un pò "tossici" e dannosi per me e gli altri e ad agirne altri.
Mi ha portato a maturare l'idea che l'ansia sia una mia emozione e non una minaccia esterna e che il mio panico sia lo spavento delle mie sensazioni fisiche o un eccessivo carico di tensione prolungato.
Mi ha fatto vedere così tanto il mio imbarazzo e la mia tristezza, che alla fine mi sono sentito "tranquillo" di mostrarle agli amici più cari, generando più connessione da entrambi lati e cura da parte loro.
Compresi i miei genitori.
Mi ha fatto capire che quando necessario la mia vergogna e la mia tristezza posso viverle e che poi dopo, facendolo, posso sciogliere un pò delle mie tensioni.
Tuttavia ad oggi "scopro" di avere ancora delle paure, quelle della "contaminazione" e quella dello stare nei gruppi...
Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Nonostante elogi la sua terapia è evidente che sono presenti diversi sintomi che si classificano in modo chiaro in una patologia psichiatrica.

I trattamenti che assume sono bassi nei dosaggi, i precedenti sono stati mantenuti per tempi troppo brevi.

La sua preoccupazione sui farmaci era presente precedentemente come è presente oggi.

Questo indica che attualmente non è in compenso e che le sue terapie vengono variate in funzione del singolo sintomo e non di una considerazione generale di trattamento clinico.

Introdurre nuovi farmaci e non aumentare i dosaggi di terapia attuale non è una azione condivisibile.

Sarebbe opportuno che le terapie siano ottimizzate in funzione di una diagnosi psichiatrica che pare tardi a venire e che i dosaggi ed i tempi di trattamento siano adeguati ad essa.

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Grazie della risposta dottore.
Elogio la terapia, perché mi pare che mi abbia aiutato ad avere una qualità di vita migliore, però mi sa che il cuore del problema ancora non sono riuscito a vederlo o ad affrontarlo per bene.

Non so cosa dovrei fare, ci provo a guarire. Prendo i farmaci prescritti nonostante all'inizio ne avessi paura. Avrebbe avuto più senso che lo psichiatra mi aumentasse il dosaggio dell'antidepressivo che prendo, per esempio?

Sono stanco di stare male, ci sto provando a uscirne, sto investendo tanto, ma sono ancora qui, fermo, seppur "migliorato" per certi versi... Mi quadra il suo discorso: non so quale sia la mia patologia psichiatrica. Potrebbe essere il caso di chiedere una visita ad un altro professionista psichiatra?

In certi periodi mi è stato detto che andava curata la depressione, per quello mi hanno dato la terapia.
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Dr. Francesco Saverio Ruggiero Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico igienista 45k 1.1k
Una terapia cognitivo comportamentale classica ed impostata in modo adeguato non dura tre anni.

Questo glielo dice un cognitivista di prima generazione (2004) e quindi non possiamo più parlare di terapia cognitiva.

L'avrà certo aiutata a capire gli schemi ma se non applica tali schemi o se si ripetono alcune condizioni disfunzionali con la medesima modalità non ha avuto molto successo.

Non sempre capire i propri schemi mentali è funzionale od utile ai fini del trattamento, inoltre senza un inquadramento diagnostico appropriato la situazione si ripete per anni e questo è ciò che accade.

Le preoccupazioni sono invariate negli schemi ma non nei contenuti, quindi variano nel tempo in modalità simile.

A ciò si aggiunge che le terapie farmacologiche non appaiono appropriate per tempi e dosaggi.

La diagnosi di depressione è vaga, poco incisiva su un reale inquadramento, in quanto sono presenti diverse sfaccettature sui disturbi dell'umore che possono variare di volta in volta o presentare nuovi quadri clinici periodicamente.

Direi che la situazione va rivista in generale per inquadramento e terapia.

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Stimolato dalla prima parte della sua risposta, ho letto che la terapia cognitivo comportamentale dovrebbe avere una durata massima di un anno. Forse, la mia terapeuta, formata secondo quella scuola e con abilitazioni all'emdr, ha intrapreso un altro percorso o un'altra strategia? Potrei provare a parlargliene quando ci rivedremo al rientro dalle ferie e chiederle se possiamo mirare le successive sedute alla problematica più urgente, quella del panico secondo i protocolli cognitivo-comportamentale.

Cercherò di farmi inquadrare da un altro professionista, allora, chiedendo maggior chiarezza sul mio quadro. Proverò a passare dall'ASL.

Il fatto che le preoccupazioni si "cambiano d'aspetto", ma abbiano sempre la stessa provenienza, quindi, potrebbe far pensare ad un disturbo dell'umore?(come il disturbo bipolare, quello depressivo, o quello ciclotimico, per esempio?..)

Questa cosa dell'umore mi fa accendere una spia. Magari non c'entra, ma lo psicologo che da bambino mi seguì per un anno, intorno agli 8 anni, riferiva che in risposta ai metodi a volte umilianti dlele maestre (io aggiungerei anche delle dinamiche che seguivano poi tra compagni, e al rapporto con i genitori una volta in casa) avevo sviluppato una "distimia"... questo me lo riferiva mia madre tempo fa: mi portarono già a quell'età poiché bagnavo ancora il letto, rifiutavo di andare a scuola e non facevo i compiti..Non avevo mai smesso di bagnare il letto, almeno fino agli 8 anni..

Credo che comunque in famiglia ci sia una sorta di malessere o di familiarità con certi problemi, purtroppo... che siano "appresi", o genetici...o semplici casualità...
Mio padre quando ero piccolo, ha assunto tavor per un periodo e mia madre tendeva ad essere apprensiva... mia sorella intorno ai 19 anni ebbe anoressia/bulimia...
il ramo di famiglia di mia madre (i suoi fratelli principalmente) è connotato da molta apprensione e mia nonna fino ai 50 anni, ebbe forti ansie e depressioni che la portarono anche al ricovero (nella storia familiare cmq la II guerra mondiale lasciò delle cicatrici..solo per dirne una: quando c'era il temporale, mia nonna faceva nascondere tutti i suoi figli perché i tuoni le ricordavano i bombardamenti..)..
Il ramo paterno, diciamo che è quello di cui ho saputo meno cose, anche se so (e un pò ricordo) che la nonna paterna è sempre stata un pò scollegata dalla realtà per certe cose (li ho conosciuti poco, ma penso avesse qualche forma di demenza purtroppo...)
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