Ansia e paranoia?

Salve,
mi chiamo Linda e sono una ragazza di 20 anni. A 16 anni ho preso coscienza di soffrire di disturbi d'ansia, in particolar modo di derealizzazione e depersonalizzazione che mi sono autodiagnosticata dopo varie letture e ricerche. A 18 anni mi è successo un fatto del quale sto subendo ancora le conseguenze. Ero con un amica e fumai una dose elevata di marijuana (ne assumevo ogni tanto a basse dosi), da quel momento mi si scatenò un attacco di panico che durò tutta la durata dell'effetto stupefacente, subii un fortissimo stress e presi moltissima paura. Da quel giorno ho iniziato ad avere attacchi d'ansia sempre più frequenti (tachicardia, respiro affannoso, vista annebbiata, sensazione di svenimento, panico, sudorazione) mi sentivo molto strana e molto depressa. In particolar modo la cosa che mi disturbava di più erano gli episodi di derealizzazione e depersonalizzazione che accompagnavano tutta la durata della mia giornata. mi smrbava di impazzire, così decisi di chiedere consulto ad uno psicologo il quale mi diagnosticò un disturbo dell'ansia legato ad una leggera sociofobia. La terapia durò 6 mesi, senza assunzione di farmaci, al termine della quale vidi moltissimi progressi, infatti non ho più avuto attacchi d'ansia, svenimenti e la derealizzazione diminuì nettamente. Di questo sono molto contenta. Ovviamente non ho più toccato marijuana o sostanze simili, ma mi sono resa conto che solo percepirne l'odore mi scatena un ansia terribile, è come se avessi il terrore di rivivere quell'esperienza e sento l'esigenza di scappare dalla stanza o dal luogo dove c'è l'odore. Se ne subisco l'aroma inizio a sudare e tremare ed è come se si scatenasse un nuovo attacco fortissimo di derealizzazione. Tutto ciò mi crea diverso disagio dato che quasi tutti i miei amici assumono marijuana, sopratutto quando si è in gruppo, e questo contribuisce ad allontanarmi da loro che la maggior parte delle volte non comprendono questo mio disagio che molto spesso mi porta a rinunciare a diverse uscite o incontri che mi interessano molto. Inoltre da qualche mese sento che non mi sento totalemnte a mio agio nemmmeno se ordino un cocktail o un bicchiere di qualche bevanda al bar o a casa di amici, ho paura che ci sia della droga all'interno e che io senza volere possa perdere il controllo di me stessa. Ah, non so se può essere d'aiuto ma da quando ho 14 anni soffro di emicrania con Aurea.
Comunque, on vorrei si trattasse di una forma di paranoia legata dal fatto che io abbia il terrore di perdere il controllo della mia persona. Spero qalcuno possa essermi d'aiuto, vorrei cercare di capire se è il caso di ricominciare la terapia per previnire altri stati ansiogeni e se si tratta effettivamente di paranoia.
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Dr. Gianmaria Benedetti Psichiatra, Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta 927 16
Il termine 'paranoia' usato comunemente non corrisponde al significato che ha in medicina.
Lei sembra 'entrata in paranoia' (nel senso comune) dopo l'esperienza che ha descritto, che sembra aver vissuto in modo traumatico. A volte certe esperienze, le più diverse, possono costituire un 'trauma', perchè si combinano con precedenti stati mentali della persona e creare quindi situazioni sgradevoli come la sua. Un po' come unire nitrato e glicerina, sostanze innocue, che però insieme fanno la nitroglicerina.
Quindi è probabile che che la terapia fatta finora non abbia sciolto o messo in sicurezza la 'gicerina' del suo stato mentale, e Lei quindi va nel terrore ogni volta che sente odere di nitrati, per usare la similitudine.
Penso quindi che potrebbe essere utile conoscere un po' di più se stessa e diminuire il rischio di combinare guai, cioè di ricreare la nitroglicerina.

Dr. Gianmaria Benedetti

http://neuropsic.altervista.org/drupal/

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dopo
Utente
Utente
La ringrazio molto per la risposta. La metafora da lei adottata mi piace molto. Cercherò comunque di seguire il suo consiglio. Le allego un passaggio che mi ha colpito molto e nel quale mi identifico, direttamente estratto da uno dei miei libri preferiti di Sartre:

No, Pietro non era responsabile. Ma tuttavia aveva sempre portato questa tara con sè: essa era alla base del suo carattere; non è come un cancro o la tubercolosi, da cui si può sempre fare astrazione quando si vuol giudicare un uomo qual è in se stesso. Quella grazia nervosa e quella sottigliezza ch'eran tanto piaciute a Eva, quando lui le faceva la corte, erano fiori di pazzia. " Era già pazzo quando l'ha sposata; soltanto non si vedeva. Ci si domanda -pensò il signor Darbédat,- dove cominci la responsabilità, o piuttosto, dove finisca. In ogni caso, egli si analizzava troppo, era sempre rivolto verso se stesso. Ma questo era la causa o l'effetto del suo male?"

La ringrazio ancora
Linda
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Dr. Gianmaria Benedetti Psichiatra, Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta 927 16
Ho trovato che la sua citazione viene da un racconto de 'Il Muro', che ho letto, ma troppi anni fa... Cosa l'ha colpita, del passaggio, da identificarsi?
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Utente
Utente
Beh, diciamo che estrapolare il passaggio dal contesto ne danneggia molto il messaggio. Il racconto è 'la camera' e il protagonista è Pietro, uno schizofrenico. La particolarità, e quindi la cosa che mi ha colpita, è che lui è conscio del suo stato di allucinato. Viene descritto, più che come soggetto schizoide, come un individuo prigioniero di se stesso e della sua "malattia". Egli infatti, come nelle ultime due righe riportate sopra, si domanda in continuazione qual'è il suo problema, focalizza talmente tanta attenzione verso se stesso che perde di vista la linea della realtà. E' un alienato.
Riporto un altra frase del libro che mi piace molto: "Ma, cara signora, tutti gli alienati sono dei bugiardi, lei perderebbe tempo se volesse distinguere ciò che essi provano realmente da ciò che pretendono provare."
Ed io mi identifico molto in questo, nel fatto di essere prigionieri di se stessi, dei propri pensieri, delle proprie analisi. Alle volte è come essere murati vivi nel proprio corpo.. è una sensazione straziante, ma allo stesso tempo ne sono come.. 'gelosa' perchè mi permette di reinterpretare la realtà in chiave assurda, speciale.
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Dr. Gianmaria Benedetti Psichiatra, Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta 927 16
Sembra affascinata dalla 'clausura', si potrebbe dire.
D'altronde la 'rinuncia al mondo' avviene in cambio di qualcosa che dà molta sicurezza e potere.
Nei casi 'religiosi', diciamo così, è chiamato anche 'matrimonio con Dio', se non sbaglio, e certo l'immagine è da vertigine, direi....
Nel suo caso da cosa deriverà il potere di 'reinterpretare la realtà'? che nelle allucinazioni e nel delirio diventa anche quello di creare la realtà...
[#6]
dopo
Utente
Utente
La mia più che una 'rinuncia al mondo' è una continua analisi di esso. Io sono la spettatrice e ne esercito un ruolo attivo e passivo. La cosa che mi da sicurezza in questa sorta di 'rinuncia' è la convinzione, forse più una presunzione, di svelare il mondo. Di scoprire la verità del mondo. Con questo non voglio dire che la mia visione personale è quella prediletta, anzi, vale quel che vale, però è un idea che ho sviluppato da sola, tramite diverse letture, diversi ragionamenti, e per questo fino a poco tempo fa la custodivo come un segreto. Anzi, forse è proprio questa esperienza da autodidatta che mi rende così orgogliosa e fiera delle mie teorie. E' una cosa che non mi ha insegnato nessuno, si è creata tramite le MIE SCELTE di lettura. Ma riconosco anche che tutto ciò provoca un conflitto tremendo dato dalla mia incapacità di comunicare! Mi sento oppressa dal mio stesso cranio, ho come la sensazione di voler esondare, come se aspettassi da un momento all'altro che escano dalla mia bocca fiumi di parole e di svuotarmi finalemente da ogni pensiero, e renderlo quindi concreto e comunicarlo e condividerlo al mondo. L'idea quindi di scrivere una grande opera, ma essere consapevoli allo stesso tempo che la mia inettitudine non lo permetterà. Di non avere le capacità per farlo.
In breve, sono arrivata alla conclusione che il mio può definirsi un disagio esistenziale, e la mia ansia, le mie paure, le mie insicurezze probabilmente sono date da questo.
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Dr. Gianmaria Benedetti Psichiatra, Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta 927 16
Ecco quindi il suo 'potere' nascosto, cui Lei forse sacrifica 'il mondo': 'svelare il mondo' e anche se stessa, in un'impresa titanica. Ma allo stesso tempo la rinuncia a farlo, per "la sua inettitudine".

Lei è poco più che adolescente, mi pare, e le fantasie onnipotenti alla sua età sono normali, o quasi. Ma mi sa che lei ci è entrata un po' troppo, ritirandosi contemporaneamente nella clausura, e lo manifesta e lo paga con quello che diceva nel suo post iniziale, sensi di estraniazione, di irrealtà e momenti di terrore (parlare di 'panico' è ormai un cliché salottiero, temo).
Dopo di che qualcuno ha anche svelato il mondo, insistendo, da Copernico e Galileo a Schopenhauer, Kirkegaard, Nietsche, Marx, ecc ecc, e prima Buddha, Socrate, Mitra, Cristo, Krsna...


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dopo
Utente
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Di ciò mi rendo conto, del mio senso di estraneazione, delle fantasie onnipotendi e tutto il resto. Forse il punto è che pretendo di conoscermi al 100 percento, quando invece non è affatto così. Da sempre trasmetto agli altri un alone di mistero intorno alla mia figura, probabilmente per autodifesa, ed è possibile che tutto questo 'mistero' lo trasferisca in realtà anche al mio io. Riconosco che la strada per la conoscenza di se è lunga e fatta di esperienza. Forse devo interiorizzare questo.

La ringrazio per la chiacchierata
Linda
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