Voci ed errata percezione del reale

Gentili dottori
Ho 26 anni e soffro di disturbi dell'umore sin da bambina, diagnosticato e trattato farmacologicamente solo da due anni.La diagnosi è stata disturbo bipolare. Ho cambiato diversi farmaci.
Attualmente assumo solo uno stabilizzatore (lamictal). Tutto sommato sto bene,anche se in alcuni periodi faccio estrema fatica a fare tutto ciò che devo fare. La mia domanda però non riguarda la mia diagnosi o la terapia bensì alcuni sintomi e fenomeni collaterali che vivo sin da piccola.Ho fatto diverse domande al mio psichiatra ma lui ha minimizzato o è stato vago. Presumo lo abbia fatto per non spaventarmi e non gliene voglio per questo anzi lo capisco.Il fatto è che io ho sempre sentito delle voci (adesso molto meno) su cui non avevo e non ho il controllo. Il mio psichiatra mi ha detto che è una forma dissociativa della personalità e che non è grave. Non parlo di allucinazioni uditive ma di voci interiori.Nelle fasi più gravi della mia depressione non erano solo nella mia testa, ma io stessa davo loro voce. Insomma parlavo da sola (cosa comune anche ad alcune persone sanissime) e ripetevo ossessivamente delle cose).Inoltre ho passato due anni della mia vita in uno stato alterato della percezione. Sono stata abbandonata dal mio ragazzo e da quel momento in poi ho vissuto in una realtà parallela creata dalla mia mente in cui ho avuto l'illusione di controllare gli eventi, di avere premonizioni e segni, visioni passate(non reali) e future, di leggere nel pensiero del mio ex, di sapere sempre dove fosse e cosa facesse, di guardarlo vivere. La mia mente ricreava la realtà modificandola per renderla più accettabile.Penso di aver fatto confusione in quel periodo. In parte sapevo di creare ma spesso avevo il dubbio se una cosa era accaduta veramente o esisteva solo nella mia testa (nella mia realtà consolatoria). Questo dubbio derivava dalla mia razionalizzazione della cosa, che mi premetteva di avere un minimo di controllo. Questa attività creativa della mia mente, che si è manifestata in diverse situazioni, insieme alle voci e ad una tendenza non tanto lieve a mentire, ossia a creare, senza una apparente motivazione, eventi che non sono mai successi e che io considero reali (faccio sempre fatica a distinguere cosa ho creato e cosa è successo veramente) mi causa una gran confusione. Ora sto certamente molto meglio ma capisco che questa tendenza "creativa" è una cosa che appartiene profondamente al mio modo di essere, di vivere e di pensare la realtà.Il mio psichiatra minimizza perchè a torto pensa che le mie domande siano legate alla paura di essere "pazza". Invece non ho nessuna paura, ma voglio solo capire e prendere le misure. In gran parte ora tutto ciò è sotto controllo. Ma se davvero ho una mente così creativa penso di avere il diritto di sapere come il mio cervello lavora per potermi difendere dai suoi "scherzetti". Attualmente non credo quasi mai al mio istinto, perchè ho paura di immaginare le cose. Non credo ai sensi. Non credo a nulla.
[#1]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Gentile utente,

Non penso che il suo psichiatra abbia sottovalutato o minimizzato, può essere corretto il "tagliar corto" in sede di visita perché lei non ci pensi più di tanto, se già ha questa inclinazione.
I pensieri ripetitivi se molto intensi possono indurre dissociazione, o la dissociazione creare dei fenomeni di "doppio binario".
"Ma se davvero ho una mente così creativa penso di avere il diritto di sapere come il mio cervello lavora per potermi difendere dai suoi "scherzetti". "
Anche se capisce come funziona non è che possa cambiare le cose. Può sapere che se si tratta di ossessioni bisogna rinunciare a rifletterci sopra e a trovare risposte, questo le peggiorerebbe.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

[#2]
dopo
Attivo dal 2009 al 2009
Ex utente
Gent dott. Pacini
La ringrazio per la risposta ma non penso abbia compreso quello che volevo dire. Ora penso di avere trovato comunque un equilibrio mentale ma mi rendo conto in alune occasioni in cui interagisco con altre persone che c'è qualcosa in me che è portato a creare e sostiturire la realtà percepita con una realtà pensata, più accettabile. Non mi importa avere una descrizione scientifica del disturbo e della sua fenomenologia. Esattamente come un diabetico deve sapere come rapportarsi con il cibo, io devo sapere come rapportarmi con i miei sensi per avere una vita regolare ed equilibrata. Attualmente tendo ad essere probabilmente più scettica del dovuto, perchè ho paura di immaginare le cose. Le faccio un esempio banale. Non riesco mai a capire se un ragazzo che mi piace ricambia (e non sono nè stupida nè ingenua e tantomeno distratta). Nego anche l'evidenza per paura di aver immagiato tutto. Le può sembrare stupido ma è un esempio come un altro. Non riesco ad usare l'intuito perchè ho paura di immaginare. Qual'è poi il confine tra intuito e immaginazione? A volte invece succede il contrario mi convinco fermamente che una cosa esiste per poi scoprire tramite terzi che non è vera e allora io sprofondo nello sconforto perchè realizzo di aver lavorato di testa. Non è per me una situazione facile. E' come non essere in grado di utilizzare i propri sensi, come avere una macchina e non sapere come guidare per evitare incidenti.
Attualmente sono confusa perchè pur stando meglio mi rendo conto che il mio cervello tende ancora a costruire realtà sue in cui mi posso pericolosamente rifugiare. Ha mai visto il film "Solaris" nella versione di soderbergh? Ecco il film spiega bene quello che ho passato dopo il mio lutto-abbandono. Non è facile accettare di aver vissuto in una dimensione che non esiste. Non è facile neanche dopo ritornare alla realtà. Anche perchè ho la consapevolezza che potrebbe ricapitarmi perchè il cervello lavora sempre nello stesso modo, continua cioè a lavorare e a creare...
[#3]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
" Esattamente come un diabetico deve sapere come rapportarsi con il cibo, io devo sapere come rapportarmi con i miei sensi per avere una vita regolare ed equilibrata"

Prima di dire che non si è capito cerchi di prendere in considerazione che qualcuno abbia capito più di Lei in questo momento, a cominciare dal suo psichiatra.
Nella risposta le ho detto quello che lei appunto chiede, ma non è una prescrizione, è un'ipotesi.

Il diabetico si cura, lo stesso può fare lei. Il diabetico non ha modo di rapportarsi con il cibo, ha una disfunzione metabolica. Se mangia poco il diabete non guarisce. Se mangia normalmente peggiora, e non ci può fare niente. Se non esistessero le cure, il decorso sarebbe quello naturale. Idem per le malattie mentali.
Le cure si danno per questo, non perché le persone si debbano poi controllare da sole. Questa è un'idea che si intuisce nel suo ragionamento e che è errata, peggiora i sintomi ossessivi ed è inutile contro quelli dissociativi o psicotici.

[#4]
dopo
Attivo dal 2009 al 2009
Ex utente
Con tutto il rispetto possibile e immaginabile lei sta sbagliando e di grosso pure.
Non è mia intenzione offenderla ma penso che dalle sue parole sia evidente che chi non si è mai rapportato in prima persona con un problema grave dell'umore, chi non ha sentito alcune cose sulla propria pelle, non può comprendere lo sforzo reale del paziente che vuole davvero guarire; perchè tutti i farmaci del mondo non risolveranno mai da soli il problema. Gran parte della mia guarigione è imputabile all'impegno che ho messo nel cambiare radicalmente la mia vita, il mio modo di pensare considerare il mio problema e ad un radicale cambiamento nel modo di rapportarmi con me stessa e gli altri. In tutto ciò non si può negare che il paziente sia un elemento attivo nel processo di guarigione e che con il tempo maturi une certa consapevolezza rispetto a ciò che succede al suo umore. Pensare che esiste la pillola magica (mi perdoni l'espressione poco scientifica) che risolve tutto, paragonabile all'insulina che viene data al diabetico, è per quanto riguarda la mia esperienza personale, errata. Non nego che i farmaci mi abbiano aiutato ad acquistare la giusta lucidità e una base più stabile per lavorare su questi aspetti appena elencati, ma senza un'analisi profonda di me stessa e di ciò che mi circonda e un cambiamento radicale non sarei mai guarita e questo dott. Pacini me lo deve concedere. Tra l'altro è noto che vi sono molti psichiatri che invitano i pazienti a intraprendere un percorso psicoterapeutico associato alla terapia farmacologica come molti altri preferiscono prescrivere psicofarmaci come fossero antibiotici. Io per forza di cose ho seguito un persorso individuale autonomo. Benchè sia disposta ad ammettere che in alcuni casi vi siano delle cause fisiologiche indipendenti dall'ambiente esterno e dalla coscienza individuale, non può trascurare il lato "spirituale" della faccenda. Ritornando al paragone con il diabetico, non crede che egli, in associazione alla terapia famacologica, debba adottare delle consuetudini alimentari adeguate al suo problema che presuppongono la consapevolezza dello stesso e dei meccanismi che lo regolano?. E' più che normale che io cerchi di trovare un equilibrio e un compromesso con la mia naturale forma mentale. Non dico che dentro di me ci sia necessariamente qualcosa di terribilmente sbagliato ma devo ricalibrare i miei sensi, devo ancora capire come rapportarmi alla realtà in maniera sana e raggiungere l'equilibrio senza farmi prendere da inutili paranoie o rischiare di sfociare daccapo nella mia eccessiva "creatività". Ecco dunque la mia domanda sul disturbo che ho avuto e che (per adesso in minima parte) continuo ad avere. Non lo capisco in pieno e non so bene come funziona. Se non lo capisco non so come rapportarmici e come rapportarmi con il quotidiano. Capire certo non significa controllare e questo glielo concedo ma la consapevolezza è già un primo passo perchè in qualche modo ti permette di usare stratagemmi e adottare precauzioni e contromisure. Temo che questa creatività continuerà a boicottare la mia esistenza ed è per questo che voglio neutralizzarla prendendo le dovute distanze.
Mi viene in mente una frase da un'intervista del famoso matematico John Nash che ha affermato che è riuscito a trovare la via della guarigione ponendo un filtro razionale tra se stesso e il suo problema. Lui è schizzofrenico, io ho un problema diverso non ancora definito bene. Ma anche io cerco la stessa cosa, ossia un filtro razionale che mi permetta di schermare alcuni miei impulsi nocivi per la mia vita e la mia stabilità. Per quando so, io sono bipolare, ma questo non mi aiuta a capire alcuni meccanismi,certe mie reazioni e questa creatività che si manifesta, benchè in maniera più blanda, anche in questo momento in qui i farmaci e un corretto stile di vita mi hanno stabilizzato l'umore.
Per il resto io mi rimetto nelle mani dello psichiatra che mi sta curando e che mi dà le prescrizioni farmacologiche. Ciò che mi manca è una calibrazione corretta delle mie facoltà cognitive. Non sono spaventata di scoprire quale sia (o sia stato) il mio problema. Allo stesso tempo non mi va di leggere cose a caso sulla rete che potrebbero fuorviarmi più che giovarmi. Chiedo dunque se qualcuno può consigliarmi articoli o libri da leggere sull'argomento. Non capisco solo l'atteggiamento suo e del mio psichiatra nel voler non sbilanciarsi sulla natura del mio disturbo. Penso che nel caso del mio psichiatra ci sia una volontà (comprensibile) di non caricarmi di ansia o di non farmi preoccupare inutilmente per un problema che lui considera forse superato (intendo i due anni di alterazione della coscienza). Io invece ritengo che mi sia più utile sapere perchè continuerò a convivere con la stessa forma mentale che mi ha condotto in quello stato e da cui vorrei proteggermi.
[#5]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
"che chi non si è mai rapportato in prima persona con un problema grave dell'umore, chi non ha sentito alcune cose sulla propria pelle, non può comprendere lo sforzo reale del paziente che vuole davvero guarire;"

Questa è un discorso totalmente insensato. Quindi il medico deve aver avuto le malattie per poter curare, ma per cortesia !

Il paziente che vuole guarire non esiste: tutti i pazienti vogliono guarire, non solo chi lo declama ai quattro venti. Voler guarire conta NIENTE, per chi ha nua malattia contano mille altri fattori ma purtroppo non questo. E le persone che non mostrano più entusiasmo nel voler guarire sono affette da malattie che impediscono loro di sperare (come la depressione grave) o lasciano loro poche speranza (come le malattie in stadio avanzato).

John Nash è schizofrenico (con una zeta sola) nel film che vuole dipingerlo così. La storia è quella di un disturbo bipolare I. Figuriamoci se uno impara a gestire il disturbo e questo se ne sta buono, il contrario: si riesce a gestire perché il disturbo se ne sta buono per miracolo (o con le cure, cosa che tanti curati "famosi" omettono, inclusi tanti volti famosi che sbandierano le loro storie psichiatriche per poi avere pudori irresponsabili nel dire che ne sono usciti curandosi o spontaneamente, e non con la forza di volontà che non esiste).

Il suo psichiatra le fornisce informazioni che le sono utili da paziente. Non sta facendo una tesi sul suo disturbo, e forse il suo psichiatra ritiene che leggere e documentarsi, con questi assunti di partenza che lei ha sulla medicina che non conosce, possa farle più male che bene. Non è che chi è più edotto si curi meglio o riesca a "fare a meno" delle cure.

Dovrebbe cominciare a pensare che forse aver avuto una malattia non rende esperti della sua cura, ma soltanto degni di ricevere un'attenzione medica qualificata e priva di luoghi comuni come forza di volontà, uscirne da soli etc.
[#6]
dopo
Attivo dal 2009 al 2009
Ex utente
No, mi dispiace, non sono assolutamente daccordo. Voler guarire è fondamentale. L'atto stesso di rivolgersi ad uno specialista invece di farsi distruggere dalla malattia come purtroppo molte persone fanno è un atto di volontà forte. Ci vuole poi un'umiltà estrema per mettere in discussione la propria esistenza e il proprio modo di vivere e sentire per iniziare il percorso di guarigione. Conosco e ho parlato con molte persone che soffrono ma che decidono autonomamente di non curarsi, perchè curarsi, mi ripeto, in molti casi non significa solo accettare le prescrizioni mediche ma accettare di cambiare radicalmente. Non è vero che tutti i pazienti vogliono guarire. Ma alla fine stiamo sempre là. Lei pensa che una prescrizione possa risolvere tutto. Io le porto la mia esperienza personale. Anche se nei periodi di depressione si ha una voglia estrema di scompararire e di morire non è detto che non si possa percepire come "alterata" la propria percezione. Io vivo tutt'ora periodi depressivi anche se rispetto al passato durano molto meno. La familiarità che ho con il mio problema è per me un'ancora che mi permette di non uccidermi in quei momenti terribili. In passato ho tentato diverse volte il suicidio ora so che non lo rifarò più, semplicemente perchè ho imparato a non credere a tutto quello che sento. Ho preso cioè le distanze dalla mia malattia. Se pensa che nella mia guarigione non ci sia un atto di volontà forte e un minimo di contollo dei sintomi... non so che dirle. Io parlo per esperienza personale. In ogni caso non intendevo offenderla.Continuo a pensare che viverle dall'esterno le cose è ben diverso che sentirle sulla propria pelle e se l'avesse vissuta in prima persona non parlerebbe così. Tutta l'esperienza e la formazione di questo mondo, la sua competenza medica (che non ho messo in discussione) non le faranno mai comprendere davvero cosa significa essere malato. Questo vale per tutte le specialità mediche. Questo non vuol dire che lei o qualsivoglia specialista non sia in grado di fare la corretta diagnosi e di prescrivere la giusta terapia. L'unica cosa che mi sento di dire nel piccolo della mia esperienza è che si sbaglia sulla volontà di guarire. Le faccio un altro esempio: nei momenti più bui io non ho la minima voglia di vedere il mio psichiatra o di prendere medicine. L'unica cosa che voglio è abbandonarmi a me stessa e al mio dolore. In qualche modo devo "farmi forza" per prendere l'appuntamento e per prendere le medicine. Alle volte si è costretti a strisciare per terra... a trascinarsi come moribondi aspettando che passi. Questi sono compromessi che bisogna fare continuamente con se stessi per evitare di farsi disintegrare. Ci sono purtroppo persone che non riescono ad "imporsi" di andare dal medico e che non hanno nessuno a convincerle o a portarle dal medico. Purtroppo queste persone crepano da sole in casa, dimenticate da tutti, in balia della loro depressione. In ogni caso poi, andare dal medico non è sufficiente in molti casi.
Io non dico che avere familiarità con il proprio disturbo, come me che ci combatto da più di 10 anni, significa controllarlo, ma aiuta a proteggersi un minimo.
Un appunto: se rilegge i miei post può verificare che io non ho mai parlato di uscirne da soli. Mai mi permetterei a dire una cosa simile. Non sarei onesta. Come ci ho tenuto a sottolineare che capire il sintomo non significa controllarlo. Ma caro dottore prendere le distanze dal sintomo serve... mi creda.
Ps: la rigrazio di avermi corretto la doppia zeta in "schizofrenico", si capisce che in questa discussione era opportuno.
[#7]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
"Ma caro dottore prendere le distanze dal sintomo serve..."
Nessuno prende le distanze dai sintomi. Se ci riesce vuol dire che il sintomo la lascia in pace o non è al suo massimo grado.

"Tutta l'esperienza e la formazione di questo mondo, la sua competenza medica (che non ho messo in discussione) non le faranno mai comprendere davvero cosa significa essere malato."

Infatti un medico deve comprendere come si cura la malattia. Comprendere cosa significa essere malato non serve a niente per riuscire a curarsi. Se un medico si mettesse nei panni del malato psichiatrico nel vero senso del termine, per nove volte su dieci farebbe gli stessi errori che le malattie psichiche portano a fare nel tentativo di gestirsi i sintomi.

Lei ha un atteggiamento presuntuoso, nel senso che presume di sapere già tutto.

Io ho concluso perché non credo le possa essere utile in questa occasione proseguire il discorso almeno con me.
Lei traduce il suo disagio e la sua esperienza personale in presunzione di sapere cosa è giusto, cosa ha senso e soprattutto - la cosa meno gradevole - in convinzione di essere un malato "più bravo e capace" di altri malati "meno bravi e capaci".

Saluti
[#8]
dopo
Attivo dal 2009 al 2009
Ex utente
Lei si scalda per nulla.
Le rispondo che quando si prendono le distanze dal sintomo è vero che la sua gravità si è in qualche modo ridimensionata ma è ancor più vero che si riduce l'impatto che esso ha sulla vita di chi lo subisce. Questo non vuol dire che il sintomo non esista più e non continui a condizionare la nostra esistenza di "malati". A volte la questone cruciale è propro la convivenza con i sintomi. Non mi ritengo brava e capace perchè voglio guarire o perchè cerco di ridurre l'impatto della malattia nella mia vita sociale e lavorativa, nè migliore di qualcun'altro solo perchè in me dopo anni di insensate sofferenze è scattato qualcosa che mi ha dato la giusta spinta a collaborare alla mia guarigione. Non credo di sapere più dei medici sulle malattie mentali o sulla fisiologia della mia malattia. L'appunto che le ho fatto non riguardava la comprensione del disagio, del dolore o dell'ottica del malato da parte di chi lo cura. Lei giustamente ha risposto che non è compito del medico immedesimarsi nel paziente. Ma senza collaborazione attiva di noi pazienti il medico può far poco in molti casi. La malattia non guarisce magicamente con i farmaci. La mente non è un'organo come un altro (anche se lei presumo che pensi il contrario). Se non fossi cambiata io profondamente tutte le medicine del mondo non mi avrebbero aiutato. Magari il suo orientamento professionale di psichiatra "puro" la porta in questa direzione e in quest'ottica. Se intervenisse uno psichiatra-psicoterapeuta non penso che sarebbe daccordo con lei. Poi alla fine è una questione di impostazione. Non penso che nessuno dei suoi colleghi qui interverrà a smentirla per rispetto professionale e per solidarietà, questo lo posso capire. In ogni caso vorrei dirle anche che in questi anni ho avuto modo di frequentare diverse persone che hanno avuto problemi simili al mio. Mi creda se le dico che dopo alcuni anni si impara molto convivendo con il proprio problema e si impara a raggiungere dei compromessi con la propria malattia. Questo non vuol dire essere presuntuosi.
[#9]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Presuntuoso ho spiegato cosa vuol dire, non è un'offesa, è un tipo di atteggiamento supponente.
Lei insista con il dire che è un punto di vista, invece è un atteggiamento disutile per il tipo di problema che è oggetto del suo consulto.

" Mi creda se le dico che dopo alcuni anni si impara molto convivendo con il proprio problema e si impara a raggiungere dei compromessi con la propria malattia. "

Lei continua a insistere su questo concetto assurdo con il quale manca di rispetto a chi ha malattie più gravi ed è meno fortunato della sua. Le malattie si subiscono e basta. Non sempre sono così gravi. L'adattamento alle malattie può essere buono o peggiorarle. Il cervello non è un medico.

Adesso mi spiace ma non interverrrò più come già le dicevo, visto che presumo lei continui ad argomentare ripetendo gli stessi concetti, non è utile farlo con me. Non ha scritto con l'idea di stare a sentire i commenti di chi scrive, ma per mettere le mani avanti su cose di cui nessuno l'accusa e vantarsi di saperci fare con la sua malattia. Posizioni che non corrispondono ad una buona consapevolezza dei problemi psichici, sia che siano lievi, sia che siano gravi, sia che ci siano ancora, sia che siano finiti.
[#10]
dopo
Attivo dal 2009 al 2009
Ex utente
Va bene concludo anche io. In ogni caso ora lei è stato poco rispettoso nel dire alcune cose non conoscendo la gravità della mia malattia e il suo decorso negli anni.
Il suo atteggiamento "difensivo" è poco professionale. Una sola cosa aggiugo. Se avessi subito e basta la mia malattia ora sarei morta suicida. Ci tengo poi a precisare che non mi sono vantata di nulla e che ho realmente scritto per chiedere un consulto e un parere professionale. Poi la discussione è proseguita in questo senso. Può fare la sua ultima replica se lo ritiene opportuno. Non ho risposto per avere l'ultima parola. Faccia come crede.
Scusi se le ho fatto perdere tempo
[#11]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 43.5k 993 248
Presuntuoso ho spiegato cosa vuol dire, non è un'offesa, è un tipo di atteggiamento supponente.
Lei insista con il dire che è un punto di vista, invece è un atteggiamento disutile per il tipo di problema che è oggetto del suo consulto.

" Mi creda se le dico che dopo alcuni anni si impara molto convivendo con il proprio problema e si impara a raggiungere dei compromessi con la propria malattia. "

Lei continua a insistere su questo concetto assurdo con il quale manca di rispetto a chi ha malattie più gravi ed è meno fortunato della sua. Le malattie si subiscono e basta. Non sempre sono così gravi. L'adattamento alle malattie può essere buono o peggiorarle. Il cervello non è un medico.

Adesso mi spiace ma non interverrrò più come già le dicevo, visto che presumo lei continui ad argomentare ripetendo gli stessi concetti, non è utile farlo con me. Non ha scritto con l'idea di stare a sentire i commenti di chi scrive, ma per mettere le mani avanti su cose di cui nessuno l'accusa e vantarsi di saperci fare con la sua malattia. Posizioni che non corrispondono ad una buona consapevolezza dei problemi psichici, sia che siano lievi, sia che siano gravi, sia che ci siano ancora, sia che siano finiti.
Disturbo bipolare

Il disturbo bipolare è una patologia che si manifesta in più fasi: depressiva, maniacale o mista. Scopriamo i sintomi, la diagnosi e le possibili terapie.

Leggi tutto