La prima impressione è importante?
Buongiorno dottori, chiedo un consiglio... Vorrei rivolgermi a uno psicoterapeuta, e mi chiedevo quali devono essere le discriminanti per capire se un terapeuta fa per me oppure no?
Ho già avuto esperienze in passato con gli psicoterapeuti, e ad esempio una volta mi è successo che al primo colloquio la sensazione "di pancia" che mi trasmetteva lo psicoterapeuta fosse abbastanza negativa: mi trasmetteva un senso di noia e passività, continuavo a distrarmi, e non sono uscito dalla seduta con un senso di "buonumore".
Nulla da dire sulla sua professionalità, ma il feeling di pancia che ho avuto con quella persona è stato questo.
Mi chiedevo se la mossa migliore per il paziente sia di usare questa prima sensazione di feeling per decidere se restare o no, o se ci si debba dare il tempo di spiegare tutta la problematica al terapeuta, aspettare le sue indicazioni, e provare a metterle in pratica per vedere se il problema si risolve.
Spero di essere stato chiaro.
Grazie a chi risponderà.
Cordiali saluti
Ho già avuto esperienze in passato con gli psicoterapeuti, e ad esempio una volta mi è successo che al primo colloquio la sensazione "di pancia" che mi trasmetteva lo psicoterapeuta fosse abbastanza negativa: mi trasmetteva un senso di noia e passività, continuavo a distrarmi, e non sono uscito dalla seduta con un senso di "buonumore".
Nulla da dire sulla sua professionalità, ma il feeling di pancia che ho avuto con quella persona è stato questo.
Mi chiedevo se la mossa migliore per il paziente sia di usare questa prima sensazione di feeling per decidere se restare o no, o se ci si debba dare il tempo di spiegare tutta la problematica al terapeuta, aspettare le sue indicazioni, e provare a metterle in pratica per vedere se il problema si risolve.
Spero di essere stato chiaro.
Grazie a chi risponderà.
Cordiali saluti
Gentile utente,
questo è il suo nono consulto. In base a quanto leggo nei precedenti, lei ha portato avanti delle terapie psicologiche da più di dieci anni, arenandosi a un certo punto di ogni percorso.
Le è stato suggerito anche da questo sito di impegnarsi al massimo con il curante che di volta in volta aveva di fronte.
La dr.ssa Brunialti le aveva scritto di portare alla psicologa la stessa email che lei aveva spedito a noi, ma lei ha preferito fare diversamente, salvo poi lamentarsi di non essere riuscito a farsi comprendere dalla curante.
Da una sua richiesta in psichiatria apprendiamo che sta curando l'ansia con le benzodiazepine, e il dr Ruggiero le ha detto che non è quello il farmaco giusto, ma lei non ha dato riscontro.
Chi le ha prescritto questo farmaco, e in base a quale diagnosi?
Ora scrive che vorrebbe rivolgersi a un ulteriore curante e ancora una volta la sua mania di controllo la conduce all'evitamento.
Scrive di temere che: "la sensazione "di pancia" che mi trasmetteva lo psicoterapeuta fosse abbastanza negativa: mi trasmetteva un senso di noia e passività, continuavo a distrarmi, e non sono uscito dalla seduta con un senso di "buonumore"".
Presumo che il senso di noia e passività, la frequente distrazione e la mancanza di buonumore siano in lei piuttosto frequenti, non siano prodotte solo da quest'ultimo curante: sbaglio?
Perché poi un colloquio terapeutico dovrebbe produrre "buonumore", come una specie di droga?
Ci chiede quale sia "la mossa migliore" per un paziente, espressione che denota una strategia di combattimento, non un'alleanza con il professionista. Chiede se dar retta all'iniziale "sensazione di feeling", che nel suo caso è stato di estraneità e ripulsa, "o se ci si debba dare il tempo di spiegare tutta la problematica al terapeuta, aspettare le sue indicazioni, e provare a metterle in pratica per vedere se il problema si risolve".
In tutta la sua email, ma specialmente nelle frasi che riporto, c'è la sua resistenza al curante. Lei prospetta una procedura scandita secondo i suoi tempi, i suoi modi e la sua sostanziale sfiducia; immagina di dovere:
1. spiegare tutta la problematica al terapeuta; 2. aspettare le sue indicazioni; 3. provare a metterle in pratica; 4. vedere se il problema si risolve.
Il fatto è, caro utente, che una terapia psicologica non funziona in questo modo. Quella che descrive assomiglia alle modalità per farsi prescrivere una dieta.
A partire dallo "spiegare tutta la problematica" lei è nell'equivoco: la "problematica" da portare in terapia consiste nel disagio che la spinge a cercare aiuto, e questo disagio si comunica subito e si chiarisce in una, due, massimo tre sedute; e mentre lei ne parla, rendere chiaro a sé stesso il modo in cui si manifesta il suo disagio dovrebbe già darle sollievo e indicarle la direzione verso il cambiamento e fornirle l'energia per attuarlo.
Quali indicazioni si aspetta da un terapeuta, visto che una diagnosi ormai l'ha certamente avuta?
Se dal curante desidera dei suggerimenti sulle strategie per attuare il cambiamento deve essere esplicito nella richiesta, e deciso ad impegnarsi per metterle in pratica.
Infine, fondamentalmente, non deve chiedersi con diffidenza "se il problema si risolve". Il problema, caro utente, siamo noi, il modo come gestiamo la nostra vita, le nostre relazioni, perfino le nostre malattie.
L* psicolog*, in quanto specialista che conosce il funzionamento, le asperità e i contorsionismi della mente, è un aiuto validissimo, ma per fruire di questo aiuto prima di tutto dobbiamo volerlo accogliere.
Auguri.
questo è il suo nono consulto. In base a quanto leggo nei precedenti, lei ha portato avanti delle terapie psicologiche da più di dieci anni, arenandosi a un certo punto di ogni percorso.
Le è stato suggerito anche da questo sito di impegnarsi al massimo con il curante che di volta in volta aveva di fronte.
La dr.ssa Brunialti le aveva scritto di portare alla psicologa la stessa email che lei aveva spedito a noi, ma lei ha preferito fare diversamente, salvo poi lamentarsi di non essere riuscito a farsi comprendere dalla curante.
Da una sua richiesta in psichiatria apprendiamo che sta curando l'ansia con le benzodiazepine, e il dr Ruggiero le ha detto che non è quello il farmaco giusto, ma lei non ha dato riscontro.
Chi le ha prescritto questo farmaco, e in base a quale diagnosi?
Ora scrive che vorrebbe rivolgersi a un ulteriore curante e ancora una volta la sua mania di controllo la conduce all'evitamento.
Scrive di temere che: "la sensazione "di pancia" che mi trasmetteva lo psicoterapeuta fosse abbastanza negativa: mi trasmetteva un senso di noia e passività, continuavo a distrarmi, e non sono uscito dalla seduta con un senso di "buonumore"".
Presumo che il senso di noia e passività, la frequente distrazione e la mancanza di buonumore siano in lei piuttosto frequenti, non siano prodotte solo da quest'ultimo curante: sbaglio?
Perché poi un colloquio terapeutico dovrebbe produrre "buonumore", come una specie di droga?
Ci chiede quale sia "la mossa migliore" per un paziente, espressione che denota una strategia di combattimento, non un'alleanza con il professionista. Chiede se dar retta all'iniziale "sensazione di feeling", che nel suo caso è stato di estraneità e ripulsa, "o se ci si debba dare il tempo di spiegare tutta la problematica al terapeuta, aspettare le sue indicazioni, e provare a metterle in pratica per vedere se il problema si risolve".
In tutta la sua email, ma specialmente nelle frasi che riporto, c'è la sua resistenza al curante. Lei prospetta una procedura scandita secondo i suoi tempi, i suoi modi e la sua sostanziale sfiducia; immagina di dovere:
1. spiegare tutta la problematica al terapeuta; 2. aspettare le sue indicazioni; 3. provare a metterle in pratica; 4. vedere se il problema si risolve.
Il fatto è, caro utente, che una terapia psicologica non funziona in questo modo. Quella che descrive assomiglia alle modalità per farsi prescrivere una dieta.
A partire dallo "spiegare tutta la problematica" lei è nell'equivoco: la "problematica" da portare in terapia consiste nel disagio che la spinge a cercare aiuto, e questo disagio si comunica subito e si chiarisce in una, due, massimo tre sedute; e mentre lei ne parla, rendere chiaro a sé stesso il modo in cui si manifesta il suo disagio dovrebbe già darle sollievo e indicarle la direzione verso il cambiamento e fornirle l'energia per attuarlo.
Quali indicazioni si aspetta da un terapeuta, visto che una diagnosi ormai l'ha certamente avuta?
Se dal curante desidera dei suggerimenti sulle strategie per attuare il cambiamento deve essere esplicito nella richiesta, e deciso ad impegnarsi per metterle in pratica.
Infine, fondamentalmente, non deve chiedersi con diffidenza "se il problema si risolve". Il problema, caro utente, siamo noi, il modo come gestiamo la nostra vita, le nostre relazioni, perfino le nostre malattie.
L* psicolog*, in quanto specialista che conosce il funzionamento, le asperità e i contorsionismi della mente, è un aiuto validissimo, ma per fruire di questo aiuto prima di tutto dobbiamo volerlo accogliere.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Utente
Grazie per la risposta dottoressa. Lei ha toccato vari punti, cerco di rispondere per quanto possibile punto per punto. Sul fatto dei farmaci, me li prescrive il medico di base, non mi è stata comunicata una diagnosi. So che non è il farmaco adatto come ha detto il dottor Ruggiero. Il medico di base mi ha consigliato di andare dallo psichiatra, ma al momento vorrei provare a farcela senza antidepressivi (che in una visita psichiatrica di molti anni fa mi prescrissero ma non presi) perchè ho paura degli effetti collaterali. Ma riconosco che su questo aspetto probabilmente sto sbagliando, e dovrei cambiare idea. Chiedeva se ho ricevuto una diagnosi: gli psicoterapeuti che mi hanno seguito nel corso della vita non mi hanno mai comunicato diagnosi. Sul resto forse c'è qualche fraintedimento: riguardo al senso di noia, passività e distrazione, non sono presenti spesso in me, e non si sono presentati davanti a tutti i curanti che mi hanno seguito. Solo 1 o 2. Altri psicoterapeuti invece mi hanno trasmesso a pelle altre sensazioni, come positività, stimolo a cambiare, fiducia e motivazione. Mi chiedevo solo se queste sensazioni di pancia che si provano con un terapeuta o con l'altro siano da tenere in conto quando devo decidere se quel tale psicologo fa per me o no, ma dalla sua risposta mi sembra di capire che non sono fondamentali, sbaglio? Sono consapevole dei miei errori nelle varie terapie, che bisogna impegnarsi, ascoltare e che la terapia non è solo un ricevere indicazioni. Riguardo al buonumore, non avrei dovuto inserire quella parola, so che le sedute non devono dare una "botta di buonumore" ma fare altro, è che spesso faccio fatica a trovare le parole giuste per spiegarmi. Riguardo a :"rendere chiaro a sé stesso il modo in cui si manifesta il suo disagio dovrebbe già darle sollievo e indicarle la direzione verso il cambiamento e fornirle l'energia per attuarlo." Nell'ultima terapia non è avvenuto. Ho spiegato il problema ma non ho avuto alcun sollievo, nè mi è stato chiara la direzione verso il cambiamento. Io tendo a pormi in "assetto da combattimento", parlare di mossa migliore, etc, quando il terapeuta non guida le cose. L'ultimo che ho provato stava molto in silenzio e mi lasciava libero di parlare e parlare liberamente, senza intervenire, e alla fine mi perdevo. In ogni caso farò tesoro del suo messaggio e lo rileggerò piú volte con calma. In questo momento non riesco a scrivere piú di cosí, non mi sento molto lucido... Cordiali saluti.
Gentile utente,
la ringrazio del riscontro.
Vorrei aiutarla nel suo impegno verso la guarigione facendole rilevare alcuni punti di questa sua seconda email su cui la invito a riflettere.
Farmaci. Non sono medico, quindi non entro nel merito. Le faccio però notare che una persona che teme gli effetti collaterali degli antidepressivi dovrebbe chiedere ad uno specialista quali sono gli effetti collaterali delle benzodiazepine assunte per più di quindici giorni.
Diagnosi. Lei non l'ha chiesta e forse per questo non le è stata comunicata, ma può avere la sua importanza per tre cose: il farmaco giusto; la psicoterapia adeguata; l'idonea gestione personale dei sintomi.
Costanza nell'impegno, che si fonda sull'alleanza terapeutica. Lei parla di "psicoterapeuti che mi hanno seguito nel corso della vita", e poi di "Altri psicoterapeuti invece mi hanno trasmesso a pelle altre sensazioni, come positività, stimolo a cambiare, fiducia e motivazione".
Questa quantità di curanti è stata del tutto vana, dal momento che malgrado i loro buoni effetti sul momento lei li ha abbandonati tutti, senza aver conseguito la meta della guarigione.
Scrive, infine: "Io tendo a pormi in "assetto da combattimento", parlare di mossa migliore, etc, quando il terapeuta non guida le cose. L'ultimo che ho provato stava molto in silenzio e mi lasciava libero di parlare e parlare liberamente, senza intervenire, e alla fine mi perdevo".
Due suggerimenti: dica lei da subito al curante che vuol essere guidato, e scelga curanti che praticano terapie dirigiste. Chieda esplicitamente qual è il loro orientamento metodologico.
Sarò lieta se vorrà tenerci aggiornati. Auguri.
la ringrazio del riscontro.
Vorrei aiutarla nel suo impegno verso la guarigione facendole rilevare alcuni punti di questa sua seconda email su cui la invito a riflettere.
Farmaci. Non sono medico, quindi non entro nel merito. Le faccio però notare che una persona che teme gli effetti collaterali degli antidepressivi dovrebbe chiedere ad uno specialista quali sono gli effetti collaterali delle benzodiazepine assunte per più di quindici giorni.
Diagnosi. Lei non l'ha chiesta e forse per questo non le è stata comunicata, ma può avere la sua importanza per tre cose: il farmaco giusto; la psicoterapia adeguata; l'idonea gestione personale dei sintomi.
Costanza nell'impegno, che si fonda sull'alleanza terapeutica. Lei parla di "psicoterapeuti che mi hanno seguito nel corso della vita", e poi di "Altri psicoterapeuti invece mi hanno trasmesso a pelle altre sensazioni, come positività, stimolo a cambiare, fiducia e motivazione".
Questa quantità di curanti è stata del tutto vana, dal momento che malgrado i loro buoni effetti sul momento lei li ha abbandonati tutti, senza aver conseguito la meta della guarigione.
Scrive, infine: "Io tendo a pormi in "assetto da combattimento", parlare di mossa migliore, etc, quando il terapeuta non guida le cose. L'ultimo che ho provato stava molto in silenzio e mi lasciava libero di parlare e parlare liberamente, senza intervenire, e alla fine mi perdevo".
Due suggerimenti: dica lei da subito al curante che vuol essere guidato, e scelga curanti che praticano terapie dirigiste. Chieda esplicitamente qual è il loro orientamento metodologico.
Sarò lieta se vorrà tenerci aggiornati. Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Utente
Grazie per la risposta, dottoressa. Apprezzo tutte le indicazioni (farmaci, diagnosi, terapie etc.). Sí, in effetti la diagnosi io non l'ho mai chiesta. Sul fatto dei tanti curanti ha ragione, devo scieglierne uno e impegnarmi a fondo con quello, non cambiarne 50. Solo non so come scieglierlo. Sono sincero, nel primo messaggio ho mentito un pò: tutte le dinamiche che riferivo sulla passata terapeuta (senso di noia, mi lascia parlare molto e non mi guida, etc.) sono relative a una terapia in corso, e non a una passata. Le ho anche già detto che mi trovo meglio a essere guidato, ma lei dice che non lavora in quel modo. Pratica approccio centrato sulla persona. Non avrei dovuto scrivere su questo sito, ho sbagliato. Ho inquinato il rapporto terapeutico. Avrei dovuto parlare di queste cose con la terapeuta attuale. Non credo che risponderò ancora su questo sito, non vorrei inquinare ancora di piú la terapia di come ho già fatto. Mi spiace solo di non aver chiarito il punto su "quanto peso abbia la prima impressione a pelle con lo psi", ma pazienza, vedrò di aggiustarmi in altro modo. La ringrazio comunque sinceramente di aver cercato di aiutarmi. Cordiali saluti
Prego, gentile utente. La ringrazio della sua valutazione positiva.
Ancora auguri!
Ancora auguri!
Prof.ssa Anna Potenza
Riceve in presenza e online
Primo consulto gratuito inviando documento d'identità a: gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 713 visite dal 16/05/2025.
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