Ansia, senso di inadeguatezza, tremore

Vivo da solo, lontano dalla mia casa d'infanzia e dalla mia famiglia, per via dei miei studi universitari. Conduco una vita che nulla ha da invidiare a quella che conducono molti miei coetanei nelle stesse condizioni. Non ravviso nulla di particolare che possa indurmi a pensare sia la causa di quanto segue.

Da qualche mese a questa parte, avverto un forte malessere personale, una vera e propria crisi di autostima. Si tratta di una condizione di cui non riesco a individuare tempistiche e dinamiche più precise, poichè certe insicurezze mi sono sempre appartenute sebbene in forma ed entità minori. Tutte quelle paure, sviluppate nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza, più o meno affrontate, superate o tenute sotto controllo negli anni, sono riaffiorate quasi simultaneamente divendo ingestibili. Pur non essendo il classico ragazzo sicuro di sè, ho sempre condotto una vita serena, fino a quando qualche tempo fa le cose sono cambiate. Gli amici, le persone a cui tengo, e così il loro parere, la loro opinione è diventata per me fondamentale al momento di prendere una decisione o fare una scelta, per quanto banale. Finisco per assecondare gli altri, al fine di compiacerli o per paura di pregiudicarmi venendone abbandonato. Spesso mi trovo a mentire alle persone che ho attorno o alla mia famiglia, per sentirmi all'altezza delle loro aspettative o per non dar loro modo di preoccuparsi per me. Mi sento inadeguato, impacciato, intimidito dal confronto con gli altri, perchè insicuro sul mio aspetto fisico, e sulla mia capacità di relazionarmi agli altri anche nelle situazioni più semplici e naturali, specie nelle nuove conoscenze. Affronto momenti di socialità in maniera quasi serena solo se in compagnia di almeno un volto amico. Da solo sono spaesato. Mi manca l'intraprendenza di affrontare le cose senza razionalizzarle all'estremo. Avverto la necessità di uscire fuori dagli schemi, ma resto bloccato, anche nelle situazioni in cui una buona dose di faccia tosta non guasterebbe e non "stonerebbe". Mi sento quasi in dovere di dover mantenere una condotta e un comportamento impostato, vittima di una morale da cui non riesco a svicolarmi, che mi impone di non lasciarmi mai andare del tutto, e seguire unicamente l'istinto. Vivo nella costante paura di essere giudicato e "classificato" da gli altri, solo in virtù dei miei difetti fisici, o addirittura di apparire "sgradevole", cuore della mia insicurezza e del senso di inadeguatezza che avverto. Non faccio altro che autoanalizzarmi, e vagare tra i miei pensieri. Fatico a distrarmi e sorridere davanti ad estranei. Mi sento vittima delle decisioni e opinioni altrui e delle condizioni imposte dall'ambiente circostante, incapace di ritagliami il mio ruolo. Da molti anni soffro di un leggero tremore costante alle mani, ora tornato più forte che mai, e che è causa per me di forte imbarazzo. Dovrei chiedere un supporto psicologico, o aspettare semplicemente? Sono molto preoccupato e giù di morale. Grazie infinite.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Gentile Utente,

da quanto ci dice sembra che la situazione sia per lei ultimamente divenuta insostenibile, e che aver aspettato anni prima di chiedersi se non fosse il caso di rivolgersi ad uno psicologo non abbia portato a risultati positivi.

Anzi, col passare del tempo e il progressivo mutare delle condizioni esterne lei si trova ad essere ancor più insicuro e spaventato di prima da quello che gli altri potrebbero pensare di lei.

Di conseguenza non credo proprio che sia il caso di attendere ulteriormente prima di contattare di persona uno psicologo.

Nel descriversi per prima cosa lei ci dice:

"Vivo da solo, lontano dalla mia casa d'infanzia e dalla mia famiglia".

Quanto le pesa questa lontananza e quanto secondo lei ha influito nel determinare il peggioramento che ci riferisce?

In seguito aggiunge:

"Mi sento vittima delle decisioni e opinioni altrui e delle condizioni imposte dall'ambiente circostante, incapace di ritagliami il mio ruolo."

In che senso?
Si riferisce in particolare a qualche decisione che le è stata imposta da altri?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dottoressa, la ringrazio innanzitutto per la celere risposta.

Ho nostalgia della mia famiglia, ma non ritengo che questo possa aver influito nel determinare la mia condizione. Sono infatti soddisfatto della scelta di trasferimento (per altro, a suo tempo, appoggiata dai miei cari), e oltretutto ritengo che queste insicurezze si siano limitate a riaffiorare solo di recente, ma in realtà albergassero in me sin da bambino. Ho dei genitori comprensivi, che mi hanno sempre sostenuto e appoggiato, e forse proprio per la necessità che avvertivo di compiacerli e conformarmi alle loro aspettative, ho preferito allontanarmi da casa e iniziare a essere più indipendente, cercando di autodeterminarmi senza influenze esterne, sfuggendo all'impulso di renderli orgogliosi di me ad ogni costo.

Per quanto riguarda la seconda affermazione, mi riferisco per lo più al fatto di non sentirmi mai all'altezza delle situazioni: il classico pesce fuor d'acqua. Credo che nessuno mi abbia mai imposto o persuaso a prendere decisioni contro la mia volontà. Sono io purtroppo, che più o meno consapevolmente, mi uniformo alle decisioni degli altri.

Grazie infinite
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
A volte non serve che le imposizioni siano esplicite, ma possono prendere corpo in maniera più subdola quando un figlio è abituato a conformarsi alle aspettative della famiglia perchè sente il bisogno di non deludere e fare anzi felici i propri genitori.

Se lei infatti ha scritto questa frase ("Mi sento vittima delle decisioni e opinioni altrui e delle condizioni imposte dall'ambiente circostante, incapace di ritagliami il mio ruolo") c'è un motivo.

Fermo restando che le rispondo a partire dall'ipotesi che lei non soffra di un disturbo neurologico, il tremore alle mani è un sintomo che mette in scena la sua insicurezza nell'agire.
Il cammino verso l'acquisizione dell'autonomia dalla sua famiglia infatti non è semplice e la difficoltà con cui lo sta intraprendendo segnala la necessità di avvalersi di un sostegno psicologico, come anche lei ipotizzava, per evitare che le dinamiche che ha descritto divengano sempre più invalidanti.

Era chiaro già dal suo post iniziale che si tratta di difficoltà datate, ma riemerse ultimamente, ed è probabile che siano riemerse proprio per il fatto che, per qualche motivo, in questo momento lei risente particolarmente dell'allontanamento dalla sua famiglia.
Trasferendosi si è sottoposto ad una situazione stressante, in cui le mancano le conferme che, nel bene e nel male, i suoi le permettevano di ricevere, ma forse negli ultimi tempi è cambiato qualcosa che ha risvegliato il suo senso di inadeguatezza.

In questo momento a che punto è del percorso universitario?
Sta forse ultimando un ciclo?
[#4]
dopo
Utente
Utente
Riflettendo in senso critico sulle sue parole, mi rendo conto che ha perfettamente ragione. Conoscendo questa mia debolezza, in molti probabilmente hanno cercato di persuadermi a fare alcune scelte anzichè altre, se pur senza alcuna cattiva intenzione: i miei genitori in primis anche se inconsapevolmente.

Per quanto riguarda il tremore, dopo visite mediche accurate, fu escluso in ogni modo il rischio di disturbi neurologici, o che il problema avesse origini - per così dire - "organiche". Credo sia iniziato tutto verso i 12 anni, e con alti e bassi ha raggiunto il suo massimo tra i 17 e i 19 anni, senza mai interrompersi del tutto. Gli accertamenti clinici mensionati, risalgono a 4 anni fa ormai, quando il tremore pareva fosse quasi sparito (in concomitanza con il mio trasferimento per altro!). Dopo poco riprese ad aumentare, fino ad oggi. Esso è direttamente connesso ad ansia e stress, e nei momenti in cui raggiungono livelli alti, diventa invalidante, impedendomi di tenere in mano oggetti piccoli, di scrivere, di suonare strumenti musicali, o di compiere il benchè minimo gesto senza che tutti se ne accorgano. Questo è ciò che ho notato. Neppure con la respirazione riesco a tenere sotto controllo il problema, e non esagero nel dirle che tutto questo è semplicemente frustrante.

Per quanto riguarda gli studi, sono uno studente lavoratore fuori corso, ed ho molto rallentato la mia carriera (pur conservando una media alta) proprio a causa di queste difficoltà, che spesso mi pongono nella condizione di non riuscire a concentrarmi pienamente sugli esami. Spesso sono passati lunghi periodi "di recupero" tra una prova d'esame e l'altra. Ad oggi sono prossimo alla conclusione, anche se con non poca delusione, per i motivi appena spiegati, e anche per il fatto che lo studio è una delle poche cose che mi dona serenità, e che per ragioni lavorative e di mera sopravvivenza, è stata trascurata maggiormente. Avverto la sensazione che aver completato il percorso in tempi più lunghi, già mi possa pregiudicare in una prospettiva lavorativa futura attinente al mio campo d'interesse, e ciò rimette in moto il circolo vizioso fatto di ansia, frustrazione e risultati per me poco soddisfacenti, che si autoalimenta.

Come mai secondo lei, la paura del rifiuto e del giudizio (anche estetico) altrui si è radicata in me sin da piccolissimo, senza mai abbandonarmi del tutto, e che collegamento c'è con quanto detto prima? Pensa che a ciò possa aver contribuito una forte delusione sentimentale che ho subito e risalente a due anni fa, causata purtroppo da una serie di tradimenti fisici e morali?

Come sempre la ringrazio.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Se la paura del rifiuto risale alla sua infanzia penso che le delusione subita due anni fa sia semplicemente un evento che ha confermato in lei il senso di disvalore e inadeguatezza, ma non può essere la causa di come si sente oggi se non in maniera parziale.

Forse è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il vaso era già pieno.

In che senso ci dice: "la paura del rifiuto e del giudizio (anche estetico) altrui si è radicata in me sin da piccolissimo"?

Ha qualche ricordo specifico?
[#6]
dopo
Utente
Utente
Gentile Dottoressa, credo fermamente nelle sue parole e nella sua interpretazione dei fatti. Ritengo appunto che la cocente delusione amorosa subita, sia stata in larga parte dovuta a quel senso di inadeguatezza e inferiorità, di cui ho avuto conferma nel tradimento da parte del mio partner. A una situazione in cui avrei dovuto riconoscere e condannare l'infedeltà subita senza addossarmi colpe e responsabilità, ho invece cercato spiegazione a quanto era successo nella mia inadeguatezza, e nel bisogno giustificato dell'altro di trovare lontano da me, qualcosa di meglio. Mi ero addirittura ripromesso di perdonare la persona in questione, pur di non perderla. La storia non ha però fortunatamente avuto seguito per varie vicessitudini, e ad oggi sono grato di questo, sia per orgoglio personale, sia per non essermi fatto dominare dal mio incontrollato e insano bisogno di non essere abbandonato. Ciò conferma sicuramente il fatto che "il vaso" a cui fa riferimento fosse già pieno, e l'esempio ne è la prova.

Per quanto riguarda la mia affermazione del post precedente, ho ricordi sin dalla più tenera età di questo senso di inadeguatezza. Per citare qualche esempio:

- la costante rivalità con i miei compagni di classe per i voti migliori a scuola, e il bisogno di primeggiare (cosa per altro vissuta con profonda ansia sin dalle scuole elementari).
- la sensazione di essere messo in disparte dai compagni di scuola, di essere considerato il classico secchione, che non veste alla moda, che non cura particolarmente il proprio aspetto, che è schernito per un fisico un pò troppo asciutto per la sua altezza ed età (questo sin dal primo anno di liceo), apparendo gracile, debole, indifeso.
- la sensazione di risultare sgradevole agli occhi degli altri, sin dalle scuole elementari, e di conseguenza la paura di avvicinarmi alle ragazze.

Quest'ultima l'ho poi interpretata come omosessualità latente, da che di li a poco, (15 anni) ho iniziato a provare interesse per i ragazzi, nonostante nel frattempo avessi già avuto qualche breve esperienza eterosessuale. Ho fatto outing a 18 con alcuni amici e compagni di classe e ad oggi convivo benissimo con la mia sessualità. Negli ultimi anni di scuola, spesso provavo la sgradevole sensazione di essere giudicato e schernito anche per questo, cosa per altro di sovente avvenuta. Ho tuttavia superato il tutto con una buona dose di faccia tosta e coraggio, di cui ad oggi, tutto considerato, mi meraviglio.
Non ne faccio mistero con amici, colleghi e con alcuni famigliari, anche se per la mia proverbiale paura di dare inutili preoccupazioni ai miei genitori, la cosa è rimasta loro "formalmente" nascosta. Sebbene siano di mentalità aperta, prondamente comprensivi, e nonostante credo ne sospettino già da tempo, non si è mai reso necessario parlargliene apertamente.

Crede che anche questo possa aver contributito ad oggi ad aprire il mio personale "vaso di Pandora"?

La ringrazio infinitamente per il tempo che mi dedica, soprattutto perchè mi rendo conto che la situazione è complessa e profonda. Il fatto in sè di parlarne con qualcuno, e di ricevere la sua opinione professionale mi aiuta già moltissimo a far chiarezza. Sento di avere imboccato la strada giusta per comprendere l'origine di tutto il mio malessere.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Per quanto riguarda il non chiaro disvelamento della sua omosessualità non si può escludere che questo sia stato e sia tuttora causa di tensioni, contribuendo al suo malessere.

Visto che nell'ultimo post ha parlato del suo "incontrollato e insano bisogno di non essere abbandonato" la riporto a considerare il suo incipit, che già le avevo fatto notare in quanto piuttosto significativo del fatto che la prima cosa che ha voluto dire di sè è questa:

"Vivo da solo, lontano dalla mia casa d'infanzia e dalla mia famiglia"

Teme che la abbandonerebbero o rifiuterebbero parlasse chiaramente del suo orientamento sessuale?
O forse in fondo si sente già in qualche modo respinto dai suoi, anche se ci dice che sono di mentalità aperta?
E' figlio unico?

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