Rapporto a distanza

Salve, mi rivolgo in prima istanza a voi perchè credo di aver bisogno d'aiuto; ho 25 anni, da quasi 9 sono fidanzata felicemente con il mio ragazzo.
Gli ultimi 8 anni della mia vita sono stati meravigliosi,il mio ragazzo mi faceva sempre sentire importante perchè mi poneva sempre al primo posto ( anche dopo se stesso)
: ho vissuto giorno dopo giorno in costante simbiosi con lui dal momento che, terminato il liceo, abbiamo intrapreso la stessa facoltà. Questa occasione ci ha consentito di vivere la nostra routine giornaliera insieme attimo per attimo, condividendo ogni momento della giornata ed essendo insieme a vivere i momenti belli e brutti di ogni giorno. La nostra giornata era fatta di piccole grandi cose: fare la spesa;cucinare;studiare;guardare la tv..
Ciò che ho appena descritto mi sembra fondamentale per capire il momento di difficoltà che attraverso:è da 7 mesi che il mio fidanzato, a causa del fatto di aver vinto un concorso in gdf, vive lontano da me in un contesto che non ci consente neanche di sentirci liberamente al telefono. Infatti, trovandosi in caserma, deve sottostare a tutta una serie di ordini e orari che non dipendono da lui. Riusciamo a vederci solo un fine settimana, in media, al mese e sarà cosi ancora fino alla fine dell'anno; dopo saranno due fine settimana al mese per un altro anno.Il primo mese è stato come elaborare un lutto,anche se in realtà ho rimosso quelle lunghe giornate, l'unico ricordo nitido e dettagliato che è rimasto impresso nella mia mente è il giorno della sua partenza.
In questi mesi ho cercato di gestire questa situazione e di trovare la forza di andare avanti ogni giorno,ma in realtà il mio non è stato un vivere, bensì un sopravvivere. Non mi va di studiare,non riesco a concentrarmi e non riesco ad accettare questa lontananza: più passa il tempo e più sto male!
La cosa peggiore è che trasferisco questa rabbia che ho nei confronti della mia vita vuota all'interno del rapporto con il mio fidanzato. In particolare lo accuso di avermi lasciato da sola e non aver continuato gli studi insieme, di aver pensato solo alla sua sistemazione professionale e non anche alla mia, di aver rinunciato alla nostra vita insieme per un posto di lavoro e di mettermi al secondo posto tutte le volte che il suo nuovo lavoro non gli consente di pormi al centro della sua attenzione. Di contro so perfettamente che questo lavoro l'ha accettato, con tutti i sacrifici che comporta, proprio in considerazione del nostro matrimonio, per darci una base solida da cui partire.
So perfettamente che sta facendo questo sforzo per noi due, per assicurarci un futuro forse migliore. A riprova del suo immenso amore e della sua serietà nei miei confronti è uni dei pochi,se non l'unico, a non aver stretto rapporti di amicizia e ad isolarsi quando ci sono le libere uscite per poter solo parlare al telefono con me, senza mai uscire con nessuno e senza mai rivolgere la parola a nessuna ragazza.
Nonostante questo non riesco a fare a meno di provare un'immensa gelosia al pensiero che le sue colleghe possano anche solo vederlo ogni giorno, mentre io non posso,mi da fastidio che possano stare al tavolo con lui.
Ultimamente litighiamo quasi tutto il giorno perchè io non riesco a fare a meno di pensare che lui mi abbia abbandonata,lasciata al mio destino e, a mio avviso, prossimo fallimento personale.
La cosa strana è che, se da una parte lo amo sopra ogni cosa e vorrei sposarlo subito, sacrificando,almeno inizialmente,i miei progetti sul futuro,dall'altra parte lo detesto proprio perchè questa situazione espone unicamente me al dovermi adattare alle sue scelte di vita (seppur prese insieme,fase dopo fase di questo concorso).
Ulteriore aggravante è la mia soggezione psicologica nei confronti della figura di mio padre: lui si aspetta grandi risultati (a volte impossibili) in ambito universitario e,per questo non accetterebbe mai un matrimonio senza che prima io sia laureata. Lui sostiene, a ragione, che il mio sforzo dev'essere pari a quello sopportato dal mio ragazzo perchè insieme i nostri sacrifici confluiscono in un unico risultato: una vita forse decorosa. So che le sue parole sono sagge, ma solo a livello teorico. Vivere lontani è cosa diversa dall'idea di essere lontani, per cui non mi sento capita e supportata dalla mia famiglia, e soprattutto da lui, nel mio malessere. So di non sentirmi libera fino in fondo di scegliere autonomamente della mia vita, poiché sento,dentro di me,che andrei immediatamente a vivere col mio fidanzato, proseguendo gli studi lì in attesa del grande passo: il matrimonio. Questa mia volontà purtroppo resta solo un sogno chiuso nel cassetto poiché, tra l'altro, non avrei mai il coraggio di mettermi contro la mia famiglia e decidere della mia vita. Di contro, restando dove sono,ogni nuovo giorno è un giorno vuoto e privo di significato, un giorno triste e buio che vorrei finisse subito con la sera, un giorno che non sono in grado di riempire di contenuti e,proprio per questo, un giorno in più che dovró vivere lontano dal mio amore.
La mia è una situazione paradossale, mi sento come un cane che si morde la coda, girando intorno a se stesso senza trovare mai una soluzione.
Vi ringrazio in anticipo e spero che possiate darmi un consiglio, perchè non so davvero come continuare in questo modo e quale sia la scelta migliore per me!
[#1]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Gentile Ragazza,
Una relazione per funzionare ed essere funzionale, non puo' basarsi sulla simbiosi, sul fare tutto insieme ed essere tutto per l' altro, ma dovrebbe avere spazi , tempi e risorse private e personali.
Reggere la distanza, e' una prova difficile ed ardua, per una coppia che non e' mai stata distante ne' fisicamente, ne' mentalmente, ma a mio avviso potrebbe far transitare il rapporto ad una dimensione adulta.
Il suo sentirsi vuota andrebbe analizzato a fondo, non crede di bastare a se stessa?
Non ha degli hobby, degli interessi, oltre lo Studio ed il suo fidanzato?

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#2]
Dr. Fernando Bellizzi Psicologo, Psicoterapeuta 1.1k 37 6
Gentile Utente,

quello che Lei descrive, per quanto doloroso, è situazione abbastanza comune in chi decide di legare la propria vita ad una persona che fa parte di un istituzione militare, laddove a fronte di una sicurezza economica e qualche vantaggio, si richiede il sacrificio personale e l'obbedienza, non solo del diretto interessato, ma anche della famiglia.

Di solito se si vuole fare carriera in queste istituzioni è necessario ubbidire ed accettare trasferimenti che non sempre sono favorevoli ad entrambi, specialmente se entrambi i membri della coppia hanno fatto carriera, ognuno nel proprio campo.

> dall'altra parte lo detesto proprio perchè questa situazione espone unicamente me al dovermi adattare alle sue scelte di vita (seppur prese insieme,fase dopo fase di questo concorso).

Alcuni mesi fa mi capitato il caso di una donna che doveva scegliere se rinunciare alla propria carriera per seguire il marito trasferito d'ufficio per i suoi meriti in una città più difficile. Loro, con molte difficoltà han scelto il male minore della distanza fisica, dato che il trasferimento familiare era molto complesso: rinuncia di lei al proprio lavoro, cambio scuola per i 4 figli. Scelta sofferta e difficile, ma necessaria. Difficile per entrambi i coniugi. Anche lui ha avuto enormi difficoltà.

I suoi sono grossi interrogativi che non hanno risposta immediata e facile.
Comunichi i suoi dubbi ed i suoi interrogativi con il suo compagno, con la sua famiglia. Fa parte del normale processo di crescita, di ingresso nell'età adulta. E se questo porcesso è molto doloroso, allora cerchi aiuto, di persona da uno psicologo o da uno psicoterapeuta, dato che un sostegno psicologico in un importante fase di cambiamento aiuta.
Se l'ansia è tanta, può parlarne anche con il suo medico, che saprà aiutarla con lievi rimedi, che non risolvono il problema, ma che aiutano ad avere quella lucidità mentale necessaria ad affrontare meglio i problemi!

Dr. Fernando Bellizzi
Albo Psicologi Lazio matr. 10492

[#3]
dopo
Utente
Utente
Gent.ma Dott.ssa Randone,rispondo al suo interrogativo: certamente ho degli interessi e degli hobby al di là dello studio e del mio fidanzato,ma il problema è la mia totale apatia al riguardo. Non ho voglia di far niente,studio compreso. Quindi credo che il problema fondamentale sia proprio questo,il non aver voglia di vivere una vita mia ed una dimensione mia in attesa di un ricongiungimento futuro.
[#4]
dopo
Utente
Utente
Gent.mo Dott. Bellizzi,
quello che Lei mi consiglia di fare riesco a farlo solo in parte: di questi miei stati d'animo complessi e contrastanti ne parlo quasi ogni giorno con il mio fidanzato e per questo litighiamo spesso,proprio perché nella situazione in cui lui di trova, mi rendo conto dei sacrifici e dei continui rischi ai quali di sottopone anche solo per poter parlare con me qualche minuto in più. Ciò che mi viene difficile fare è parlare di questo ai miei genitori,poiché loro non di rendono conto neanche minimamente di ciò che provo. Forse all'inizio un po' di comprensione c'è stata,ma non quella che avrei sperato. Mio padre è una persona estremamente dedita al sacrificio,motivo per cui non capisce il mio comportamento. Anzi,al contrario,ritiene la situazione come una condizione ottimale affinché io possa terminare i miei studi senza "interruzioni". Capisce bene che, essendo questi i presupposti logici del suo pensiero, mi viene estremamente complicato anche solo pensare di poter spiegare la mia condizione mentale a casa.
Certa di una Sua risposta,
Porgo Cordiali Saluti.
[#5]
Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Cara ragazza,

una relazione iniziata a 16 anni e durata 9, basata sulla simbiosi, sulla continua presenza dell'altro, nel passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta, è difficile che possa essere reinterpretata in maniera differente; è quindi comprensibile il suo stato d'animo.

Ciò non toglie che se la relazione non si evolve in una modalità più "matura" resta comunque una relazione disfunzionale e, come lei sta emotivamente avvertendo, non può che procurare uno stato di malessere e di frustrazione.

E' importante, quindi, che lei provi a coltivare interessi personali che possano tenerla impegnata in una vita "propria".

Per "vita propria" intendo qualcosa che sia solo suo, che possa ridarle il piacere di sorridere e di cogliere le opportunità, anche banali, che la vita inevitabilmente offre quotidianamente.

Forse all'inizio potrebbe essere necessario un'atto di fede, dovrà far leva sulla sua forza di volontà per provare a coltivare gli hobby e gli interessi che dice comunque di avere; può provare a partire dalle piccole cose per ricominciare a dare un senso alla sua vita.

Quali sono le cose che farebbe se non avesse questo pensiero costante che la mantiene in uno stato di immobilità?

Il consulto con uno psicologo di persona potrebbe davvero aiutarla a fare un po' d'ordine nel suo vissuto emotivo e per ridarle la serenità che la sua giovane età merita.

Un caro saluto

Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com

[#6]
Dr. Fernando Bellizzi Psicologo, Psicoterapeuta 1.1k 37 6
Gent.le Ragazza,

Lei ha 25 anni... ma quanti esami Le mancano dato che il papà esulta all'allontanamento dell'elemento distrattore?

Lo scrivente qui presente si è laureato a 27 anni, ma se l'è presa molto comoda. Alcuni miei compagni di corso si sono appunto laureati in corso, e non fuori corso, come il sottoscritto. Ma io lo so che ho procastinato e che m'inspiro più a una tartaruga che non a un ghepardo.

Ora sarò poco *gent.mo* e forse un pò duro e più diretto rispetto a quello che in forma "politically correct" cercano di dirle i colleghi.

Se da una parte c'è sofferenza, questa è funzionale al passaggio all'età adulta, cioè dall'adolescenza scolastica al mondo del lavoro o del matrimonio.

Solo che, e qui sarò più diretto e drastico, l'immagine che evoca è Linus con la copertina o una bambina a cui hanno tolto l'orsacchiotto, laddove l'orsacchiotto interiore manca, per cui soffro se non lo tocco o non lo sento, o se non fa più quello che voglio io quando lo voglio io, soffro ed ho paura.

Delle volte non sempre gli altri reagiscono come vorremmo noi, perchè forse vedono le cose in modo diverso da come le vediamo noi. Solo che delle volte, è vero che solo io so quello che provo (o almeno così credo), ma questo non vuol dire che ho davvero ragione e che io sono nel giusto e gli altri sbagliano.

Per citare *il suo cane che si morde la coda*, la invito a riflettere su una cosa: il cane sembra muoversi, ma in realtà è sempre fermo nel suo ristretto spazio. Illusoriamente si muove, e realmente si stanca, ma occupa sempre quei 2 metri quadrati.

Quando scrive > perchè non so davvero come continuare in questo modo
quel *continuare* è statico, non mutevole... e qui è richiesto un cambiamento importante, sia dal ragazzo che dalla famiglia, dalla società!

Il cambiamento è importante, ma se la forza di restare dove è potente, solo con incontri *live* può trovare una motivazione profonda a prendere > la scelta migliore per me!

Forse questo articolo può esserle d'aiuto: https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1441-la-motivazione-allo-studio-e-stili-di-attaccamento.html
[#7]
Dr.ssa Silvia Rotondi Psicologo, Psicoterapeuta 117 6
Gentile ragazza,
a volte per capirsi occorre vedersi con la giusta distanza, quella che lei in questo momento non trova perchè presa dal vissuto depressivo causato dalla non più presenza fisica del suo fidanzato. Quella giusta distanza che probabilmente ha invece il suo papà e che lo porta ad avere uno sguardo verso il futuro.
Io credo che il suo stato d' animo sia un passaggio necessario conseguente a quello che lei ora vive come un abbandono (una sorta di lutto) ; pian piano diventarà un occasione per vivere con il suo fidanzato un rapporto più maturo e per lei di fare delle scelte diverse da quelle che magari vorrebbero i suoi genitori (avvicinarvi con una convivenza) .
Non si spaventi quello che sta vivendo si chiama : crescita .
Anzi sproni il suo ragazzo, il quale anche lui ha intrapreso un percorso costatogli una scelta importante, a non rinchiudersi in caserma a parlare le ore con lei!!!!
Si fidi un pò di questo ragazzo non lo faccia diventare un suo martire solo perchè la ama ! e in quella pausa che vi prenderete l' uno dall' altro probabilmente non solo troverete il gusto di fare le cose da soli, ma anche il piacere di ritrovarvi.

Cordialmente Dr.ssa Silvia Rotondi
www.silviarotondi.it
338-26 72 692

[#8]
dopo
Utente
Utente
Gen.mo Dott. Callina,
La ringrazio per le sue parole attente e comprensive. Ha descritto molto bene un quadro psicologico che solo vivendo si riesce a percepire. Come ha detto, la mia magica storia con il mio fidanzato è iniziato quando avevo appena compiuto 16 anni. Andando ancora più indietro, abbiamo frequentato le scuole elementari e le scuole medie presso lo stesso istituto e ci conosciamo quindi dalla tenera età di 6 anni... Ho dimenticato di scrivere nel mio primo post che tra me e lui c'era già stata una simpatia alle scuole medie,ma eravamo ancora troppo piccoli e quella storia fini quasi subito. Preciso tutto questo perché le nostre vite sono un po' più che legate dal semplice e,per così dire,"banale" stare insieme da tanti anni!!!! Leggo il nostro amore in una chiave più complessa e perché no,molto romantica... Ho sempre sentito che lui facesse parte di me,non so se riesco ad essere chiara...è come se la vita ci avesse destinati... È un amore che è AMORE con la "A" maiuscola!!!! É amore,è passione,è amicizia,è affetto sincero e profondo... Scusi se sono prolissa,ma credo che spiegare meglio questo punto possa rendere più chiaro il mio problema. Lei ha ragione, dovrei impegnarmi,anche a costo di far violenza su me stessa, in qualcosa di semplice,di gratificante...in qualcosa che possa aiutarmi,come Lei stesso di e,a recuperare il piacere delle piccole cose e delle piccole,grandi gioie quotidiane. Ci ho già provato, inizialmente sento di potercela fare ma,dopo, quando cerco di cimentarmi concretamente in una piccola "impresa",ecco che la mia mente si blocca,comincia a pensare e a farsi del male...e allora mollo tutto,qualsiasi cosa io stia facendo...all'improvviso ritengo che comunque non abbia un senso ed che non posso farcela...questo mi capita principalmente con lo studio... Forse perché è un qualcosa che ero solita fare con lui e allora il mio cervello rielabora quei momenti???? Ma se così fosse,come posso aiutarmi???? Quali sono gli "strumenti" di cui posso avvalermi???? Teoricamente reputo la Sua soluzione la più corretta e la più sana,ma nella pratica non riesco ad attuare ciò che Lei mi consiglia.
Spero di essere stata chiara nella mia esposizione.
Certa di una Sua risposta,
Le porgo Cordiali Saluti.
[#9]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317 528
Cara Ragazza,
nessuno vuole sminuire il suo sentire, l'amore con la A maiuscola da lei provato e descritto, ha soltanto bisogno di un momento di rielaborazione.
L'immobilismo in cui verte, potrebbe essere spia di un momento depressivo, da analizzare ed elaborare, con aiuti specialistici.
A volte, quando tutto sembra buio, nero, senza uno spiraglio di luce, non si riesce da soli ad aiutarsi, perchè prosciugati di risorse interiori , gli psicologi aiutano a trovare nuove e più funzionali strategie adattive al suo disagio.
Riprendere a coltivare i suoi hobby, i suoi spazi, il suo giardino interiore, sarebbe un'ottima strategia da cui popter ripartire.
Cari auguri
[#10]
Dr. Roberto Callina Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 1.3k 32 6
Cara ragazza,

si è spiegata perfettamente; comprendo il suo sentire quando dice di non riuscire a cimentarsi concretamente in una piccola impresa senza che la sua mente si blocchi e cominci a pensare, a farsi del male (come lei stessa dice), a perdere la concentrazione necessaria a portare a termine qualsiasi cosa.

E' un meccanismo per il cui "smantellamento" è necessario che lei apprenda delle strategie di adattamento differenti.

Personalmente, vista la mia formazione psicodinamica, credo che un percorso che l'aiuti a rielaborare emotivamente i significati di questo attaccamento simbiotico disfunzionale potrebbe essere un giusto investimento per la sua vita futura; potrebbe offrirle una lettura differente della sua vita ed aiutarla a gestire meglio le eventuali situazioni avverse che il futuro potrebbe riservare, così come capita a tutti.

Tuttavia, per uscire da questo stato di immobilità, anche il "semplice" apprendimento di alcune strategie, come sopra esposto, potrebbe rappresentare un aiuto più concreto e spendibile nell'immediato.

A lei la scelta: un lavoro approfondito su se stessa o un lavoro che le insegni ad affrontare queste momentanee difficoltà in maniera differente.
In entrambi i casi non è possibile, da qui, darle consigli specifici o cosnigliarle la lettura di qualche "vademecum". E' necessario che lei si rivolga ad un professionista di persona che, sono certo, saprà consigliarla al meglio ed aiutarla ad uscire da questa "prigione" in cui si è, involontariamente, rinchiusa.

Spero davvero che possa trovare presto una soluzione.

Un caro saluto
Allergia ai farmaci

Allergia ai farmaci: quali sono le reazioni avverse in seguito alla somministrazione di un farmaco? Tipologie di medicinali a rischio, prevenzione e diagnosi.

Leggi tutto