Disturbo d'ansia, paura, crisi di identità, non saper vivere

Buongiorno,
Sono una ragazza di 25 anni. Cercherò di raccontarvi la mia storia. Finito il liceo mi sono iscritta a legge, non sapevo bene cosa fare nella mia vita, sapevo solo che volevo studiare, come ho sempre fatto nella mia vita. La facoltà è stato un ripiego. Cominciando a frequentare le lezioni però ho cominciato a prenderla seriamente. È stato tutto molto difficile, tra il primo ed il secondo anno ho fatto 3/4 esami, seguivo con interesse le lezioni, mi impegnavo, poi una volta dato il primo esame a maggio il tempo per preparare gli esami successivi sembrava non esser mai abbastanza. Dentro di me coltivavo sempre il pensiero che questo percorso non lo avevo scelto, questa cosa non l'ho mai accettata. È stato uno dei fardelli. Pensavo spesso di mollare tutto. Il terzo anno ho dato 6 esami, tutti voti altissimi, avevo la media del 28. Studiavo almeno 10 ore al giorno.
Iniziò quarto anno, si avvicina la sessione, dó il primo esame prendendo 30 e lode, invece di essere felice ho cominciato a pensare agli esami successivi. Nel preparare l'esame successivo mi sono stressata da morire, studiavo tantissimo, la mia vita era diventata un incubo. Fatto sta che ho cominciato a svegliarmi con la voglia di piangere, il mio corpo ha cominciato a decidere per me, appena mi mettevo sul libro sudavo e mi veniva da piangere. Ho preso la decisione di lasciare dopo 12 esami. Da qui comincia la seconda parte della mia vita. Mi sono totalmente persa nel mondo. Due anni difficili. Mi sono ammazzata a fare la cameriera, morivo ogni giorno di più. Ho provato a riprendere gli studi INVANO. Il mio corpo lo rifiutava ogni volta. Quest'anno a febbraio ho iniziato terapia, comprendendo che non potevo più piangere e guardare gli altri che studiavano..ed io rimanevo ferma impantanata nel mio limbo. Adesso come lavoro guardo una bambina e mi rende felice occuparmi di lei ma non è mai il mio posto.
Dal mio psicologo vado una volta ogni due settimane, mi capisce e quando so che devo andare da lui mi sento bene. Avevamo deciso che avrei provato a ristudiare perché in realtà è il mio desiderio, cambiando però percorso di studi, volevo provare a studiare per entrare in infermieristica ma niente lo studio mi dà malessere. Mi bloccano i tremila pensieri negativi, le previsioni del futuro, il ricordo di chi ero, di quello che studiavo... Chi sono ora? Non voglio continuare a vagare. Mi sta dando dei libri dì mindfullness sui quali esercitarmi per vivere il presente senza pensare. Ho un comportamento da evitamento ansia. Il pensiero che più mi blocca è che niente faccia per me e che sto cercando solo, di nuovo, nuovi ripieghi solo per studiare. Mi manca avere una vita vera. Questo limbo non mi permette di essere felice, sono in continua attesa di qualcosa e nel frattempo non sono in grado di agire. Pensare di non avere futuro, io che sono stata sempre ambiziosa, mi uccide letteralmente. La vita che ho ora non l'avrai mai potuta prevedere. Come si chiama quello che ho ?
Grazie
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Dr.ssa Marta Stentella Psicologo 355 5
Gentile utente,
Non è poi così importante etichettare i suoi problemi dandogli un nome. Non è di certo questo che può aiutarla. Credo che queste domande le abbia già poste al suo psicologo. Nel titolo del consulto ci parla di disturbi d'ansia e di crisi di identità, ma oltre a non essere questa la sede giusta per fare diagnosi, sembra comunque azzardato parlare di tali patologie.
Sicuramente si è come smarrita, persa e ha bisogno di ritrovare la sua strada. Cercare e dare un senso alla propria vita e "lavorare" per realizzarlo è ciò che potrà tornare a farla stare bene.
Il suo terapeuta dovrà aiutarla in questo: prenderla per mano e accompagnarla in questo percorso di ricerca.

Dr.ssa Marta Stentella - Roma e Terni
Psicologa Clinica e Forense, Psicodiagnosta
www.martastentella.it

[#2]
dopo
Utente
Utente
Gentile dottoressa, la ringrazio davvero...
Ma In che senso è azzardato parlare di queste patologie ? Il disturbo d'ansia, ahimè lo ho.... Crisi di identità è un'etichetta che ho dato io, per il fatto che non riesca più a trovare la mia strada nel mondo.
Comunque ha ragione lei, non serve dare etichette, difatti oltre a sapere che soffro di ansia non mi è interessato approfondire su ciò che ho chiedendo al mio psicologo. Me lo sono cominciato a chiedere ora che sono frustrata nel continuare a vivere così. Non riesco ad impegnarmi.
La ringrazio ancora
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Dr.ssa Marta Stentella Psicologo 355 5
Cara ragazza,
Azzardato in questo contesto, nel senso che non ci sono elementi per poterlo dire. Qui non possiamo fare diagnosi. Anche perche per fare una corretta valutazione diagnostica è necessaria l'osservazione diretta, colloqui clinici e somministrazione di test. Solo dopo aver fatto ciò si può parlare di patologie, disturbi, tratti ecc.

Comunque davvero, le etichette e gli incasellamenti diagnostici non servono. Lei è molto altro. Lei non è i suoi disturbi. Basta soltanto fermarsi e con serenità e l'aiuto di un professionista cercare e perseguire la sua strada. Riesce a comprendere ciò che voglio dirle?

Un caro saluto
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dopo
Utente
Utente
Si, lo capisco bene ed ha perfettamente ragione. Essendo, però, ferma da due anni ormai mi concentro solo su quelli purtroppo.
Molto professionale...grazie
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buongiorno a lei, ho letto con interesse il suo racconto, dal quale mi sembrano emergere numerosi aspetti significativi legati alla sua esperienza esistenziale.

Mi ha colpito senz'altro che la scelta universitaria sia stata un ripiego e, nonostante questo, lei si sia impegnata tanto. Deve avere impiegato tutta se stessa in questo immagino.
Certo in corso d'opera può capitare che si sviluppi un interesse inaspettato e ci si dedichi con una imprevista passione a un'attività, come può essere quella degli studi universitari ad esempio.

Non so però quale sia la sua posizione in proposito, se in verità questo non sia avvenuto ed è stato più un impegno legato al senso del dovere, in qualche modo per non pensare, potremmo dire nel tentativo di darsi una qualche forma di identità.
Tendo a immaginare che lei non abbia scoperto una passione imprevista, perché sottolinea che non ha mai accettato il suo percorso universitario, che definisce un "fardello".

A un certo punto succede una cosa importante, direi straordinaria, come lei acutamente sottolinea: il suo corpo ha cominciato a darle delle indicazioni, dolorose ma allo stesso tempo preziose. E lei ha scelto di ascoltarlo, di non opporvisi.

Afferma un vissuto suggestivo di sé, quando dice: "Mi sono persa nel mondo". Lo comunica con chiarezza vivida attraverso il titolo del suo consulto, parlando di "crisi di identità e non saper vivere", con una costellazione emotiva di "ansia e paura".

Quello che mi preme dirle in questa sede riguarda due cose.
Prima di comunicargliele si lasci intanto dire che sta facendo un'importante ricerca interiore, che è capace di percorrere, nonostante la fatica.

Venendo alla prima cosa, essa è in riferimento al fatto che questa crisi di identità si manifesta ora nella sua più aperta espressione, ma forse c'era anche prima. Secondo il mio orientamento teorico che è psicoanalitico, è in un tempo passato che bisogna tornare, non solo prima degli studi universitari ad esempio, quando cioè fa una scelta per ripiego, ma ancor prima.

Fin da quella scelta per ripiego sembra infatti evidenziarsi il fatto che lei non prende in mano la sua vita e non sceglie per sé. Questo sembrerebbe indicare che delle incertezze, ipotizzo, fossero già presenti da prima e che lei sia arrivata alla fine delle superiori non potendo autorizzarsi a progettare la sua strada. Perché?
Dal mio punto di vista non possiamo esimerci da questo interrogativo, che va approfondito adeguatamente, aprendo i tanti capitoli della sua vita.

Il fatto che sia entrata in crisi oggi, in verità, potrebbe essere positivo, affinché lei possa affrontare ciò che le impedisce di essere se stessa, come dicevo, forse da tanto tempo. Si dice spesso che la crisi è un'occasione e questo mi sembra uno di quei casi.
Per fortuna quindi il suo corpo le indica di prendere provvedimenti, e forse quello che sarebbe avvenuto nel suo futuro, oggi, era prevedibile. Prima o poi avrebbe dovuto farsi carico di se stessa, per non vivere in uno stato "di ripieghi", in cui si corre il rischio di mortificare se stessi e annullarsi.

In questo periodo sembra sentire un profondo senso di smarrimento, di incertezza e di mancata appartenenza, e non può credere di trovarsi in questa situazione. Si pone una domanda esistenziale molto valida: chi sono?
A volte immagino possa vivere anche un senso di profonda inquietudine e di disperazione. Ma è da qui che può partire, facendo i conti con i suoi vissuti emotivi e ricostituendo se stessa per non vagare più, per rintracciare i suoi desideri e riuscire a esprimersi autenticamente.

Venendo alla seconda cosa che mi interessava comunicarle, vorrei chiederle come valuta il suo lavoro terapeutico, come sente il suggerimento di leggere i libri proposti, se non sente forse l'esigenza di aumentare la frequenza delle sedute. Se ha voglia di parlarne, qual è la sua opinione in merito?

Un saluto,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#6]
dopo
Utente
Utente
La ringrazio per la sua risposta approfondita, mi ha reso molto felice.
Allora punto primo, durante i miei studi mi sono appassionata, perché a me piace proprio studiare e costruirmi, quindi ci ero dentro e lo facevo bene altrimenti non lo avrei proprio fatto. Le cose o le faccio bene o non le faccio. Quel tipo di studio, lo dico anche al mio terapeuta, in parte apparteneva al mio carattere, che purtroppo definisco perfezionista ed anche rigido con me stessa. I primi due anni ho fatto MOLTA fatica. Mi confrontavo sempre con i miei colleghi ed avevo in continuo senso di ESTRANEITÀ che mi soffocava, che ci facevo in quella facoltà? Come ci ero arrivata? Studiavo TROPPO, mi stavo demolendo perché non accettavo poi di essere indietro con gli esami. Il fardello è diventato sempre più grande, il mio corpo mi ha mandato grandi segnali ed è stato più forte di me. Pensare di mollare tutto e cominciare da capo, cosa avrei fatto? Ho DOVUTO ascoltare il mio corpo.
Stimo moltissimo il mio terapeuta. Inizialmente sono rimasta stupita che avessi una seduta ogni 10/14 giorni però poi mi sono resa conto fosse giusto così, non posso parlare ogni settimana sempre delle stesse cose, DEVO IMPEGNARMI io in primis e quei giorni che passano tra una seduta e l'altra mi danno più tempo di riflettere e sperimentarmi, anche se poi porto sempre poche novità positive. NON RIESCO e questo mi soffoca. Non vado avanti. So che sto perdendo gli anni più belli e ciò che più mi fa male è che vorrei con tutta me stessa impegnarmi in qualcosa e dare il meglio di me e non posso farlo.
I libri li leggo con interesse, mi ci rispecchio molto, mi fanno riflettere e capire tante cose, sono sempre io che mi applico poco agli esercizi di consapevolezza ed ho difficoltà. Il mio psicologo sa bene che vivo più nella mia mente che nella realtà. Se io faccio poco, lui che può fare?
Sono sempre stata molto insicura di me stessa, mi sono sempre sentita sottovalutata dalle medie al liceo classico, non sono mai stata premiata come avrei voluto, nonostante facessi tanto ed anche questo l'ho sempre portato con me, non mi sento all'altezza di poter scegliere. Ed ora non riesco proprio a farlo. Come se non provassi nulla. Tutte le scelte sono uguali. Quindi si, chi sono? Sono tutto e niente. Tante anime e nessuna concreta. Non voglio continuare così. Assolutamente.
Poi non mi sono mai presa seriamente e non ho mai preso seriamente i miei problemi, come se fossi io a credere che fossero tali ma in realtà non avessi niente e tutt'ora lo faccio.
La ringrazio di cuore
[#7]
dopo
Utente
Utente
I miei studi mi piacevano più per il tipo di studio -analitico-, non so come spiegarlo, ho difficoltà a farlo. Però al contempo sentivo non mi appartenessero quelle materie, mi stavano opprimendo e soffocando ed ora, a distanza di due anni, ho ancora il rifiuto totale. Ho riprovato a mettermici anche se poco perché il pensiero è sempre lo stesso 'che cavolo sto facendo?questa roba non mi appartiene'!
Ho sempre detto, tornassi indietro, nonostante il dolore, questa scelta la rifarei altre mille volte, prima o poi dovevo fare i conti con me stessa, era scritto dovesse succedere. Meglio stare così che continuare a stare in un posto in cui ti senti estranea, chissà a quest'ora come sarei stata, ancora dentro a quella gabbia, ancora a farmi le domande. Forse mi sarei laureata o forse sarei stata ancora più legata con le corde a quei libri e a quella vita.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Le sue parole arricchiscono il racconto della sua esperienza in modo prezioso. Devo dire che sono nate in me ulteriori domande, su cui sarebbe importante soffermarsi per capire quali itinerari percorrere.

In queste sede, avendo il limite di non essere dal vivo, voglio soltanto lasciarle un ultimo pensiero, che è relativo alla terapia, ma anche alla sua vita più in generale.

Forse impegnarsi e dare il meglio di sé potrebbe riflettere il suo perfezionismo e un senso di estraneità, vissuti cruciali di cui ci parla.
Magari fare meno, in modo più autentico, potrebbe essere la strada per riappropriarsi di se stessa, anche se a una parte di lei questo potrebbe risultare inconcepibile.
Per questo è necessario un lavoro profondo su di sé, che può richiedere un certo tempo.

Voglio anche dirle che per essere interessanti, per essere considerati, e per trovare intorno a sé persone con le quali entrare in sintonia, non deve fare niente se non essere se stessa.

Quanto agli esercizi in terapia non posso entrare nel merito, poiché ho un punto di vista differente e non li utilizzo; stesso discorso circa la frequenza delle sedute che, nel mio modo di lavorare, è intensiva.
Parlandole dal vertice del mio orientamento teorico, in questo caso rifletterei se vive con lo stesso "dovere di impegno" anche questi esercizi e suggerimenti che le vengono dati. Merita una particolare attenzione questo discorso, ci tengo a dirglielo e spero di riuscire a comunicargliene l'importanza anche se siamo online.

In questo caso, l'esecuzione mancata dell'esercizio potrebbe essere l'occasione per osservare se stessa e condividere il suo stato d'animo - anche se non c'è bisogno che sia io a dirglielo - con il suo terapeuta, proprio in virtù della difficoltà che si presenta nel vivo della terapia. Altrimenti il rischio è il paradosso di proseguire nell'idea di un perfezionismo di cui mi sembra volersi lei stessa, almeno per ora tramite l'espressività del suo corpo, liberare.

Grazie a lei per le sue parole e per avere condiviso il valore della sua esperienza.

Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#9]
dopo
Utente
Utente
Buonasera,
In realtà agli esercizi mi applico veramente poco, mi sento 'in colpa' perché penso di impegnarmi poco per migliorarmi. Comunque quegli esercizi auspicano poco alla perfezione, anzi, portano ad accettarti per quello che sei e soprattutto a vivere nel presente, a gustartelo. Io non lo faccio assolutamente. Lei pensa che la mindfullness miri alla perfezione? Io comunque si, voglio liberarmene perché non vivo assolutamente bene, vorrei fare le cose in modo sano e fregarmene molto di più.
Per quanto riguarda l'intensità delle sedute, io spesso ho difficoltà anche dopo 10 giorni, a volte ho addirittura paura di non saper cosa dire perché non voglio ripetere sempre le stesse cose... E non impegnandomi nella vita di tutti i giorni nel migliorarmi, mi vergogno anche di tornare sempre con i stessi problemi e pensieri, evito il problema lavorando e non riesco a stare sui libri, evito il malessere che mi causano anche solo in 10 minuti. Lui mi dà dei compiti ma io faccio ben poco purtroppo. Il fatto è che non voglio più star male e sui libri non riesco a mettermici serena e quindi scappo più veloce che posso.
In che senso il rischio è di proseguire nel perfezionismo? Non mi ci applico con dovere di impegno ed ho solo dispiacere perché penso che probabilmente potrebbe farmi bene la 'meditazione' ed invece la ignoro completamente.
Proprio l'ultima volta il mio terapeuta ha detto che è terrificante vivere all'insegna del dovere, quello che ho sempre fatto io.
Lo so devo accettarmi per quello che sono con tutti i miei trascorsi... Ma su tante cose devo cambiare.
Spero lei possa esplicarmi meglio il suo pensiero...
[#10]
dopo
Utente
Utente
Ps comunque i libri mi vengono dati per lavorare su di me anche da casa, oltre alla terapia, perché dice che la terapia non basta da sola e che così imparo quelle cose che 'sbaglio' da me. Rendermi conto quanto e come la mia mente vaga, in continuazione! Quanto riesco ad essere concentrata sul presente invece che sempre sul passato e futuro... Questo mi permettono di capire questi libri, nonostante mi debba ancora impegnare negli esercizi, perché senza farli capire non basta. Dovrei vivere meno nella testa rendendomi conto di quando vaga ed invece godermi gli attimi della vita. Ora mi godo poco e niente. Ho il pensiero fisso sul mio futuro che non c'è più. A lui ho detto: ci penso anche quando non ci penso.
Grazie ancora
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Quando chiede: "Lei pensa che la mindfullness miri alla perfezione?", no, intendevo dire un'altra cosa. Il discorso è riferito al fare gli esercizi e alla difficoltà nel farli, non alla mindfulness.

"Gli esercizi mirano poco alla perfezione" d'accordo, e in effetti volevo sottolineare che è lei che potrebbe mirare alla perfezione, sentendosi in dovere di svolgerli.

Il perfezionismo, il senso del dovere, l'estraneità mi sembrano aspetti tra di loro correlati.

Quindi, in altri termini, il fatto di non impegnarsi nel fare gli esercizi non necessariamente è un cattivo segno. Potrebbe essere coerente con i messaggi del corpo degli ultimi due anni. E questo potrebbe essere un elemento molto importante da discutere in terapia, almeno nel mio modo di lavorare.

Come le dicevo, forse deve imparare a impegnarsi meno. Se lei, invece, facesse gli esercizi impegnandosi, sentendosi in dovere di farli, non cambierebbe il suo perfezionismo, anzi.

Spero di essermi riuscito a spiegare meglio, un saluto,
Enrico de Sanctis
[#12]
dopo
Utente
Utente
Adesso ho capito molto bene cosa volesse intendere.
Si effettivamente mi sembra di avere rigetto proprio di impegnarmi in qualcosa, mi sento impotente forse più o meno in modo eguale nel fare gli esercizi come nello studio. So che posso benissimo farlo ma la mia mente rimanda sempre, cerca scappatoie.
A questo non avevo pensato sinceramente. Comunque prendo come impegno anche leggere questi libri, all'inizio di più, ora non ho più tanto entusiasmo perché tanto so che mi applico poco.
La ringrazio ancora per il suo interesse... Molto apprezzato!
[#13]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Esatto, in modo eguale esercizi e studio.

Grazie a lei e un sincero augurio,
Enrico de Sanctis

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