Tristezza

Sono un ragazzo di 24 anni, ormai al VI anno di medicina, ho una buona media e dopo tanta fatica, perché tutto si può dire tranne che la mia carriera universitaria sia stata serena, sono abbastanza in regola con gli esami. E cosa importante ho un ragazzo che mi ama.

La mia famiglia è come tante una famiglia complicata, con molte problematiche sia dal lato materno che paterno. I miei genitori hanno avuto storie difficili, non do la colpa a loro per avermi inserito in certe dinamiche e sono abbastanza sereno sotto questo punto di vista. A 15 anni di mia sponte e contro il parere dei miei genitori ho iniziato una psicoterapia durata in pratica 8 anni (con qualche interruzione per motivi vari) e conclusasi in maniera serena perché gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti.

MA. Ovviamente c'è un ma se scrivo qui sopra per cercare un confronto.

Crescendo si cambiano interessi, le persone cambiano e soprattutto io più di altri sono cambiato per il percorso che ho fatto su di me e per gli accadimenti che si sono verificati nella mia vita. A 24 la stragrande maggioranza dei miei coetanei "si diverte", mentre quello che per i miei coetanei è divertimento per me non lo è mai stato. Mi guardo intorno e sono annoiato dalla maggior parte delle persone di cui in passato mi sono circondato perché le piccole invidie che si portano dietro, i problemi che si creano perché evidentemente hanno delle questioni irrisolte con loro stessi, mi stancano. Faccio molta fatica a trovare le parole per spiegare questi miei pensieri lo ammetto: mi sento addosso più anni degli altri, più vita vissuta, più esperienze e degli altri è la mancanza di consapevolezza, di sé stessi e del mondo che li circonda, che trovo stucchevole.

Ovviamente non sto dicendo che mi sento "migliore" degli altri, ma mi rendo conto che leggendo questo messaggio io possa apparire come la persona più supponente del mondo ed è per questo in realtà che lo sto scrivendo.

Quello che vorrei chiedere è un parere, professionale, ma anche personale, su questo sentirsi outsider in una società in cui sento di inserirmi a fatica perché la maggior parte dei suoi membri è impegnata a guardare solo un albero e vive inconsapevole del fatto che ci sia un'intera foresta.

Dormo bene, esco la sera, non ho ansia, depressione, ideazioni suicidarie o altro si intenda: avendo io sperimentato sia una depressione reattiva che un disturbo d'ansia generalizzato so bene come siano e che peso abbiano certe sintomatologie.

Quella che avverto è più un'inquietudine esistenziale che suppongo sia dovuta alla mia giovane età: non sono molti i coetanei che hanno un vissuto come il mio e che hanno lavorato su questo vissuto in terapia come ho fatto io. E' da questo che dipende questa inquietudine?

Spero vivamente di potermi confrontare con qualcuno di voi che con grande professionalità e pazienza spende il suo tempo e le sue competenze su questa piattaforma per fornire un aiuto, una parola, un parere.

Intanto grazie in anticipo!
[#1]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Caro Utente,

aver effettuato una psicoterapia durata anni in un periodo fondamentale per la sua crescita e la sua formazione l'ha ovviamente reso più "profondo", più riflessivo, più capace di capire persone e situazioni rispetto ai suoi coetanei.
L'ha reso migliore, se vogliamo usare questa parola, perchè ha ovviamente compiuto enormi progressi rispetto a chi non ha mai effettuato un percorso psicologico.

Il "pezzetto" che manca in tutto questo è l'accettazione del fatto che ci si possa divertire anche con attività non "impegnate", che il peso del suo vissuto familiare e personale le rende poco gradevoli perchè le considera stupide e superficiali:

"A 24 la stragrande maggioranza dei miei coetanei "si diverte", mentre quello che per i miei coetanei è divertimento per me non lo è mai stato".

E' probabile che la pesantezza della sua storia passata la porti a ridimensionare e a vivere come inutili e limitati gli svaghi dei suoi coetanei, proprio perchè si sente molto diverso da loro - e a ragione, perchè è molto più consapevole di certe dinamiche che la annoiano perchè ne osserva dall'esterno l'apparente insensatezza, mentre hanno un significato e svolgono una serie di funzioni all'interno del gruppo.

In tutto questo mi sembra che sia in atto un potente meccanismo di generalizzazione, che contribuisce a farla sentire ancor più diverso dagli altri: non è affatto vero che tutti si divertono in maniera futile o dannosa, così come non è vero che tutti condividono gli stessi svaghi o che quasi tutti non hanno vissuto esperienze come la sua.
Le famiglie problematiche e le situazioni quanto meno borderline sono molto più diffuse di quanto lei non creda, ma ovviamente le persone non le pubblicizzano di fronte agli estranei.
In realtà tanti bambini e ragazzi sono o sono stati in psicoterapia e hanno effettuato i suoi stessi passi avanti e le sue stesse conquiste, da punto di vista psicologico.

Le suggerisco quindi di pensare che i suoi coetanei non sono tutti uguali e che può trovare persone con le quali condividere un idem sentire.
E' probabile che debba riflettere su quali ambienti sia utile frequentare per incontrarle, perchè è ovvio che i ragazzi che può conoscere sono generalmente diversi a seconda degli ambienti che frequentano.

Se ad esempio si avvicinasse al mondo del volontariato o individuasse un interesse/hobby da coltivare potrebbe conoscere persone più "profonde" e/o più simili a lei, che avranno sicuramente dei difetti (come li ha lei), ma che non le appariranno più superficiali e infantili come le appaiono ora i ragazzi che conosce.

Cosa ne pensa?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#2]
dopo
Attivo dal 2017 al 2017
Ex utente
Grazie anzitutto per il suo tempo e per la sua risposta.

Quando ero verso quella che si sarebbe poi rivelata la fine del mio percorso terapeutico, la mia psicologa mi chiese se a quel punto volevo o meno continuare la terapia: ero in grado di affrontare serenamente la vita e avevamo lavorato su tutti gli aspetti del passato su cui era necessario lavorare, ma mancava ancora un pezzetto. Io le dissi che volevo continuare, quindi lei mi avvisò che se lo avessi fatto probabilmente ci sarebbe stato un punto in cui mi sarei ritrovato a mettere in discussione la quasi totalità dei rapporti interpersonali che avevo. Ed è successo a quanto pare.

Quindi sì, concordo con lei e mi rendo conto di aver "generalizzato" molto, ma per spezzare una lancia a mio favore devo dire che gli ambienti all'interno dei quali mi trovo attualmente inserito, in particolare quelli dell'università, non sono certo pieni di persone con le quali avere un comune sentire. Anche per mia colpa, lo ammetto, perché ad un certo punto la pigrizia ha prevalso sulla voglia di cercare e mi sono un po' chiuso su me stesso.

Certo un pranzo fuori, una cena, una birra, un cinema, una pizza a casa sono tutte attività che faccio con i miei amici e con i miei colleghi, divertendomi anche lo ammetto, ma sento come se mancasse qualcosa e io stesso mi sento un po' fuori posto.

Personalmente poi sono convinto che la mia facoltà abbia molto a che fare con tutto ciò. Quando dovevo scegliere cosa fare dopo le superiori non ho scelto medicina illuminato da chissà quale vocazione o bisogno di aiutare il prossimo né tanto meno per la necessità di ottenere uno status sociale che mi facesse sentire al di sopra del resto del mondo. Molti dei miei colleghi hanno questo "complesso del Dio" perché evidentemente spinti nella loro scelta di studiare medicina da motivi e bisogni diversi sai miei e anche lì diciamo che mi sento un po' fuori luogo e questo senso diffuso di superiorità che c'è tra i miei colleghi mi irrita. Personalmente dico sempre che anche il più scemo del mondo potrebbe studiare medicina, posto che abbia la pazienza di sacrificare ore della sua vita sui libri per mandare a memoria uno sciame smisurato di nozioni.

Comunque sia concordo con lei e penso che in futuro, cercando "gruppi sociali" più consoni alla mia personalità e alle mie caratteristiche, troverò una compagnia diversa e "migliore" (mi passi il termine) che mi permetterà di crescere come persona.

Magari la troverò proprio nella scuola per psicoterapeuti, che mi piacerebbe frequentare in contemporanea alla specializzazione, sperando di non trovare anche lì persone che tentanto di curare se stessi attraverso i pazienti.

In ogni caso grazie ancora per il suo tempo e per le sue parole!
[#3]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233 114
Se ha intenzione di percorrere la strada della formazione in psicoterapia le sarà necessario risolvere prima di tutto i suoi problemi personali: quasi tutte le Scuole richiedono infatti che gli iscritti si sottopongano ad una psicoterapia dell'orientamento insegnato presso la Scuola stessa ed alcune chiedono che questa psicoterapia sia già in corso da tempo.
Le suggerisco di informarsi su questo punto e in ogni caso di ripensare alla possibilità di "limare" anche quegli aspetti che non le consentono di essere sereno oggi, piuttosto che attendere di essere sereno fra qualche anno nell'ipotesi di conoscere persone con le quali potrebbe trovarsi maggiormente in sintonia rispetto alle frequentazioni attuali.

I disturbi di personalità si verificano in caso di alterazioni di pensiero e di comportamento nei tratti della persona: classificazione e caratteristiche dei vari disturbi.

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